L’emergenza Covid-19 deve riportare al centro il diritto universale alla salute

La pandemia da coronavirus ha smosso tanti punti fermi nelle nostre vite. Per la prima volta ci siamo trovati obbligati ad agire per il bene comune, lasciando al libero arbitrio solo l’alternativa della punizione. Per quanto sfiduciati nei confronti della politica, abbiamo deciso di obbedire alle direttive, per salvare il salvabile, spesso non per la nostra vita ma per quella degli altri. Ci siamo trovati a invidiare regimi non democratici, perché maggiormente in grado di sottomettere la popolazione al proprio volere, dimenticandoci del fatto che rinunciare alla democrazia significa rinunciare alla libertà. Ci siamo dimenticati l’importanza della libertà in meno di sei settimane dal giorno in cui ci è stata tolta. Tutto questo per preservare un bene inestimabile per ogni vita: la salute.

Il diritto alla salute è parte integrante dei diritti umani fondamentali ed è alla base della fondazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che, nella sua Costituzione afferma: «il godimento delle migliori condizioni di salute fisica e mentale è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione, opinione politica, condizione economica o sociale». Sarebbe illusorio affermare che questo diritto fosse tutelato ovunque prima della pandemia, eppure, la situazione attuale ci impone di interrogarci sulla questione.

L’espansione a macchia d’olio del virus ha acceso i riflettori sulle politiche di azione e prevenzione di tutti gli Stati coinvolti, mostrando, spesso, tanta inadeguatezza. Non colpevolezza, bensì impreparazione, sia chiaro. Eppure resta l’eco delle prese in giro di chi ha visto altri Paesi in ginocchio e non ha fatto nulla per correre ai ripari, sacrificando così centinaia di migliaia di vite umane.

Nonostante l’esempio cinese ci avesse già mostrato l’unica soluzione percorribile, la paura di un crollo economico ci ha spaventato più della morte e questo errore, con conseguenze più o meno gravi, è stato fatto da molti Stati.

Prima di puntare il dito contro gli altri, però, non dimentichiamoci di “Milano non si ferma”, la campagna per il mantenimento a pieno regime delle attività della città metropolitana, che ancora oggi paga le conseguenze per numero di contagiati. Per quanto questo errore di valutazione sia stato fatto in buona fede, questo ha privato molti italiani del proprio diritto alla salute.

Lo sbaglio è stato pagato amaramente da tutti noi, che però sembriamo aver imparato la lezione, attuando dall’8 Marzo 2020 tutte le misure necessarie per evitare che la crisi da Covid-19 mettesse in ginocchio il sistema sanitario italiano e, per quanto i numeri del nostro Paese non possano ancora rincuorarci, almeno quell’obiettivo è stato raggiunto.

Altri sono stati ancora “meno furbi” di noi. La teoria dell’immunità di gregge abbracciata dal Leader britannico Boris Johnson gli è costata un bello spavento e, sicuramente, non sarà l’unico a pagare per l’azzardo. In questo caso l’errore non è stato di valutazione: la teoria prevedeva il sacrificio di un’ampia percentuale della popolazione, in piena negazione di più diritti umani fondamentali, non solo di quello alla salute ma anche di quello alla vita.

Donald Trump, dal canto suo, è passato in un battito di ciglia da “il covid non è che un influenza” a “la Cina ha cercato di ucciderci tutti” e poi ancora da “riapriamo il prima possibile” a “tagliamo i fondi all’OMS”. Non è il luogo per analizzare la politica del pensiero schizofrenico ma, una cosa la possiamo dire per certo: questo percorso a zig-zag è valso agli USA il primo posto per numero di contagiati nel mondo. Il primo posto di un Paese nel quale durante le prime settimane di emergenza il numero di tamponi rasentava lo zero per il costo troppo elevato degli stessi.

La sanità non è mai stata la punta di diamante statunitense e adesso sta dimostrando tutta la sua inadeguatezza. Negli USA la salute non è un diritto, bensì un privilegio e questo, probabilmente, lo sapevamo. Eppure, in una condizione di eccezionalità come una pandemia, si sarebbe immaginato che le cure sarebbero state garantite in modo universale; non avremmo pensato che la povertà sarebbe stata il discrimine tra la vita e la morte, come è stato per un ragazzino lasciato morire in California a soli diciassette anni.

Sembra sfuggire il concetto che far accedere i contagiati alle strutture ospedaliere, garantendo i trattamenti, è indispensabile per fermare la trasmissione del virus a livello planetario. La negazione del diritto alla salute, in questo caso, è molteplice: è nei confronti del malato che non verrà curato, così come nei confronti del resto della comunità, che vedrà la diffusione del virus aumentare esponenzialmente.

Di fronte a realtà come quella americana è necessario ricordare l’importanza della sanità pubblica. L’Italia non vedrebbe il suo trend di contagio scendere – anche se lentamente – se non fosse stato per un sistema che, seppur denigrato e degradato, è riuscito a reggere il colpo.

Non possiamo che essere grati di essere nati in questa parte del mondo e, la prossima volta che invocheremo a gran voce il bisogno di essere liberati dalla nostra prigionia dorata, ricordiamoci che è importante che tutto questo non finisca prima di essere sicuri di garantire il diritto alla salute di tutti.


 

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