MES vs Eurobond: disgregazione all’Eurogruppo

 
 
 

L’emergenza epidemiologica del Coronavirus (SARS-CoV-2) si è posta nello scenario globale delle ultime settimane quale delicata sfida dalle forti ripercussioni non solo sanitarie, ma anche economico-sociali. Con specifico riguardo al panorama dell’Unione Europea (UE), la pandemia ha messo in risalto la necessità di una risposta rapida e coordinata sia a livello nazionale che sovranazionale, alimentando il dibattito politico circa le misure più appropriate da adottare per fornire un sostegno finanziario agli Stati membri sensibilmente colpiti dalla nuova crisi.

A tal proposito, a seguito dell’inedita sospensione del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) e dell’attivazione della clausola di salvaguardia generale (general escape clause) ad opera della Commissione europea, è stata riconosciuta quella flessibilità necessaria ai bilanci nazionali per sostenere l’economia e rispondere in modo coordinato all’impatto della pandemia, in conformità a quanto sancito dall’art. 5 del Regolamento (CE) N. 1466/97. Tale disposizione, infatti, garantisce ai Paesi UE la possibilità di “essere autorizzati ad allontanarsi temporaneamente dal percorso di aggiustamento all’obiettivo di bilancio a medio termine” nel caso in cui “si produca un evento inconsueto al di fuori del controllo dello Stato membro interessato che abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale di detto Stato o in caso di grave recessione economica della zona euro o dell’intera dell’Unione“.

L’ultima riunione dell’Eurogruppo, tenutasi tra il 7 e il 9 Aprile scorsi, si è svolta sulla scorta del contesto appena descritto, in un clima già notevolmente inficiato, sotto il profilo economico-finanziario, dagli effetti – ancora parzialmente presenti – della Grande Recessione del 2008 e della crisi dei debiti sovrani del 2011. In tale prospettiva, le divergenze politiche all’interno dell’Eurozona – tra gli Stati membri sostenitori della rigida austerità fiscale e quelli più inclini ad un approccio fondato sulla condivisione del rischio e su quello “spirito di solidarietà” sancito dai Trattati dell’UE – sono emerse in misura ancora più netta di quanto accaduto durante i precedenti shock, nonostante l’emergenza coinvolga non solo l’UE nel suo insieme, ma l’intero panorama globale. Appare opportuno, ai fini di una compiuta comprensione ed analisi di tali divergenze, fornire qualche chiarimento sul funzionamento dell’organo in questione e sulle misure che sono state poste sul tavolo delle trattative, nel tentativo di costruire ed attuare una pronta e coordinata risposta all’emergenza epidemiologica.

L’Eurogruppo è un organo informale dell’UE composto dal relativo Presidente – attualmente Mario Cénteno – e dai Ministri delle finanze degli Stati membri dell’area euro. Al suo interno, i rappresentanti degli esecutivi nazionali si occupano di questioni relative alle responsabilità condivise riguardanti la moneta unica, assicurando uno stretto coordinamento delle politiche economiche tra i Paesi dell’Eurozona e favorendo le condizioni per una maggiore crescita. Tale organo va distinto dal Vertice euro e dal Consiglio “Economia e Finanza”(ECOFIN): il primo riunisce i Capi di Stato o di Governo dell’area euro che, insieme al Presidente di tale organo e quello della Commissione europea, forniscono orientamenti strategici sulla politica economica dell’Eurozona, al fine di garantire il corretto funzionamento dell’Unione Economica e Monetaria (UEM); il secondo, invece, è composto dai Ministri delle finanze di tutti i Paesi UE, insieme ai pertinenti commissari europei, e si occupa di questioni di carattere economico-finanziario e fiscale, tra le quali la politica economica, la preparazione del bilancio annuale UE, così come la promozione della convergenza delle politiche degli Stati membri inerenti tali materie.

Il Presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno

L’aspetto più rilevante e di attualità dell’Eurogruppo riguarda la sua natura informale, sancita in ottemperanza a quanto disposto dal Protocollo (N. 14) allegato al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), cui fa espresso rinvio l’art. 137 dello stesso. Tali disposizioni rappresentano la base giuridica per le riunioni tra i Ministri delle finanze degli Stati membri che adottano l’euro, e ne stabiliscono le specifiche modalità pratiche: in quanto organo informale, l’Eurogruppo non adotta decisioni vincolanti, ma fornisce proposte che verranno discusse in seno al Consiglio europeo, istituzione politica primaria che racchiude i Capi di Stato o di Governo.

Per quanto riguarda l’acceso dibattito politico che ha caratterizzato l’ultima riunione dell’Eurogruppo, le rappresentanze degli Stati membri dell’Eurozona hanno focalizzato la loro attenzione principalmente su due principali strumenti: il noto Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e gli Eurobond. Il primo è un’organizzazione internazionale – costituita con un Trattato che si inserisce fuori dal quadro giuridico dell’UE – che è nata nel 2012, a seguito delle crisi economico-bancarie dell’ultimo decennio, col compito di salvare i Paesi in gravi difficoltà finanziarie mediante la concessione di prestiti, seppur a fronte di una rigida condizionalità legata alla firma di un Memorandum of Understanding (MoU) che definisce con precisione e rigore quali misure si impegna a prendere lo Stato richiedente in termini di tagli al deficit/debito e di riforme strutturali. Tale fondo permanente – la cui dotazione prevista dal relativo Trattato ammonterebbe a circa 700 miliardi di euro, non ancora del tutto versati dagli Stati sottoscriventi – presenta due linee di credito: la Precautionary Conditioned Credit Line (PCCL), riservata a tutti i Paesi dell’area euro la cui situazione economica e finanziaria è fondamentalmente solida e che rispettano i parametri di bilancio previsti dal TFUE; l’Enhanced Conditions Credit Line (ECCL), accessibile a tutti gli Stati dell’Eurozona con una situazione economica e finanziaria in generale solida, senza però rispettare alcuni dei criteri di ammissibilità per l’accesso al PCCL. Sotto tale profilo, il compromesso raggiunto in seno all’Eurogruppo prevede un eventuale ricorso al MES – fortemente sostenuto dai Paesi devoti al rigorismo fiscale, come Germania e Olanda – con condizionalità relative al semplice obbligo di destinare i fondi alle spese sanitarie dirette ed indirette, per un ammontare non superiore al 2% del Prodotto interno lordo (Pil) dello Stato richiedente.

Pur presentando delle caratteristiche diverse dalla classica ECCL, la dotazione del fondo potrebbe risultare inadeguata per far fronte agli effetti dell’emergenza epidemiologica, nonostante gli altri strumenti previsti in tal senso a livello europeo. Una possibile applicazione del MES per una crisi che presenta fattori diversi rispetto alle precedenti, inoltre, non potrebbe prevedere, in linea di principio, l’osservanza di rigide condizionalità, stante la sospensione del PSC e dei parametri di Maastricht prevista dalla Commissione europea, cui il funzionamento del MES è fortemente legato.

Con riferimento invece agli Eurobond, si tratta di titoli di debito tramite i quali tutti gli Stati membri dell’UE diventerebbero, in caso di eventuale adozione, responsabili del debito in maniera congiunta. Tale strumento – fortemente supportato dai Paesi che richiedono un approccio più flessibile e solidale, come Italia e Francia – consentirebbero agli Stati titolari del debito contratto dall’emissione degli Eurobond di essere garantiti dall’eventuale intervento degli altri Paesi in caso di insolvenza. L’obiettivo di questi titoli di Stato comunitari sarebbe quello di raccogliere la liquidità necessaria in questo momento per potenziare e finanziare la ripresa dell’economia continentale. Le principali critiche mosse contro tali misure riguardano il rischio del potenziale azzardo morale economico-fiscale da parte degli Stati membri più colpiti, anche in conseguenza della mutualizzazione del debito – ossia condivisione dei relativi oneri tra più soggetti – e della totale mancanza di un’armonizzazione in materia di politica fiscale e finanziaria tra i Paesi UE.

In conclusione, nonostante l’emergenza sanitaria rappresenti un’ulteriore occasione per progredire nel processo di integrazione europea, la mancanza di volontà da parte degli Stati membri di prevedere un’azione politica coordinata e unita finisce per comprometterne – ancora una volta – il completamento, rallentandone lo sviluppo e dando spazio ad un’idea troppo nazionale dell’UE. L’attuale contesto richiederebbe l’assunzione di responsabilità a livello statale, mediante l’attuazione di scelte politiche forti e coraggiose al fine di creare quella “unione sempre più stretta” sancita dal Trattato sull’Unione Europea (TUE).