Chi più e chi meno Euro

Di Ugo Lombardo – Grazie al rapporto intitolato 20 anni di Euro: vincitori e vinti, redatto dal think tank tedesco del Centre for European Policy (Cep) di Friburgo, è stato possibile mettere in evidenza come il problema della competitività tra i vari Stati dell’Eurozona «rimane irrisolto» e «deriva dal fatto che i singoli paesi non possono più svalutare la propria valuta per rimanere competitivi a livello internazionale».

bank-note-bills-cash-63635Alla base di questa conclusione c’è il fatto che l’introduzione dell’euro sembra aver generato un’erosione della competitività internazionale che a sua volta ha portato «ad una minore crescita economica, a un aumento della disoccupazione e al calo delle entrate fiscali. La Grecia e l’Italia, in particolare, stanno attualmente attraversando gravi difficoltà a causa del fatto che non sono in grado di svalutare la propria valuta».

Secondo lo studio, l’impatto che la moneta unica ha avuto sui cittadini dei diversi Paesi è quello per cui un tedesco sembra abbia guadagnato 23 mila euro, mentre un italiano ne avrebbe persi ben 74 mila. La base è quella di un’analisi controfattuale che mette in evidenza come, più che il guadagno o la perdita, è la moneta che sembra non essere un motore di sviluppo, come si pensava agli inizi.

Nel dettaglio, grazie all’euro, dal 1999 al 2017 la Germania ha guadagnato complessivamente 1.900 miliardi di euro in termini di ricchezza. Italiani e francesi, invece, hanno subito le maggiori perdite. Anche i Paesi Bassi hanno guadagnato circa 346 miliardi, e cioè 21 mila euro pro capite. Nella maggior parte degli altri Stati si sarebbero registrate, invece, delle perdite: in Italia, la più colpita dal fenomeno, addirittura di 4300 miliardi, pari a 73.605 euro pro capite. In Francia, le perdite ammonterebbero a circa 3.591 miliardi, pari a 55.996 euro pro capite. Nel 2017, per esempio, il Pil tedesco è aumentato di 280 miliardi di euro e il Pil pro capite di 3.390. L’Italia ha perso di più di tutti.

Senza l’euro, calcolano i ricercatori del Cep, il Pil di Roma sarebbe stato più alto di 530 miliardi di euro, che corrisponde a 8.756 euro pro capite. Anche in Francia l’euro ha comportato significative perdite di benessere per 374 miliardi di euro complessivi, che corrispondono a 5.570 euro pro capite.

bandiera_germania_europa-586x439Ciò che si deduce dallo studio in esame, quindi, è che la Germania a essere la nazione che abbia maggiormente tratto vantaggio dalla sua appartenenza all’Eurozona. Ogni anno, infatti, esclusi il 2004 e il 2005, la sua ricchezza è aumentata e i profitti maggiori si sono dispiegati soprattutto durante la crisi del 2011. Quanto all’Italia, lo studio afferma che «in nessun altro Paese tra quelli esaminati l’euro ha portato a perdite così elevate di prosperità».

Questo perché «l’Italia non ha ancora trovato un modo per diventare competitiva all’interno dell’eurozona», poiché mentre «nei decenni prima dell’introduzione dell’euro, l’Italia svalutava regolarmente la propria valuta con questo scopo», successivamente all’avvento dell’euro non è stato più possibile. Bisogna precisare, però, che lo studio del Cep ha innescato un animato dibattito tra economisti e provocato molte reazioni anche politiche, così come è stato bersaglio di critiche di molti economisti per la metodologia utilizzata del controllo sintetico.

In sintesi, la metodologia fa ricorso a un campione di Paesi che non fanno parte dell’Eurozona, con un trend di crescita simile a quella dell’Italia (o di altri Stati analizzati), prima che questi aderissero alla moneta unica. Da ciò se ne ricava una media ponderata dei cosiddetti donors e si utilizza come sintesi dell’Italia senza l’euro. Il controfattuale non tiene, però, conto di altri fattori che possono impattare sull’economia di un paese, sostengono i critici.

Se cambia, infatti, la scelta del gruppo di controllo, da cui dipende il risultato e che varia da nazione a nazione, dando un diverso peso dei donors, i risultati potrebbero essere diversi per cui l’Italia sembra guadagnare dall’euro, mentre la Germania ne soffre. Sicuramente i metodi statistici sono attrezzi utili, ma dipendono dall’uso che se ne vuol fare: per questo è necessario sempre valutare l’analisi non in senso unilaterale, ma complessivo rispetto alla metodologia utilizzata quando si commentano i risultati.

In conclusione, il Cep, difendendo il suo studio secondo cui «i risultati non dimostrano che per un Paese dell’Eurozona sarebbe meglio uscire dalla moneta unica», mette in evidenza la necessità di «attuare le riforme per aumentare la competitività». Questo perché un’uscita dall’euro sarebbe seguita da «rischi ingestibili». Sono necessari, quindi, interventi strutturali perché le regole sono la chiave e non la moneta, in quanto un’unione monetaria senza una base politica, che ne definisce le regole per tutti, è come avere la Ferrari con il motore della 500.