Risvolti di un ritiro annunciato

Di Marco Cerniglia – Della crisi in Siria ormai se ne parla quasi quotidianamente. Un conflitto che sta ormai per compiere il suo ottavo anno di età, definito una guerra civile dal Comitato Internazionale della Croce Rossa. Tuttavia, nonostante la sua natura geograficamente localizzata, le ripercussioni di ciò che avviene al suo interno si fanno sentire a livello mondiale, e anche molte decisioni dello scacchiere politico internazionale vengono prese sulla base di quanto sta succedendo all’interno di quei confini.

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Donald Trump

Il 19 dicembre del 2018, per esempio, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato ufficialmente l’imminente ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria, in seguito alla conclamata sconfitta dell’ISIS. Ma c’è di più: secondo le previsioni del tycoon, il ritiro sarebbe dovuto avvenire entro 30 giorni dalla sua dichiarazione, in quanto con la disfatta dello Stato Islamico veniva a decadere la necessità di mantenere oltre questo stato di guerra continua.

La decisione è stata immediatamente contestata da più fronti. Poco dopo questa affermazione, sono arrivate le dimissioni del ministro della difesa degli USA, Jim Mattis; alcune critiche in merito a questa scelta sono arrivate anche da Emmanuel Macron, il presidente francese.

Entrambi, nelle loro dichiarazioni contro la decisione di Trump, parlano di errori di tempistica sulla presa di posizione, e soprattutto sull’attuazione; inoltre, viene anche nominata da entrambe le parti quella che viene definita «una mancanza di rispetto verso gli alleati».

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Un gruppo di guerriglieri curdi

Quest’ultimo riferimento riguarda la posizione precaria dei curdi, alleati degli Stati Uniti in territorio siriano, e protetti, grazie all’esercito statunitense, dalle rappresaglie della Turchia, che li considera terroristi, alla stessa stregua dei membri dell’ISIS. Un abbandono da parte degli USA farebbe decadere la protezione sul territorio curdo, e questa, sempre secondo Macron e Mattis, sarebbe una prova di poca affidabilità nei confronti degli alleati.

Il presidente degli Stati Uniti si è dunque trovato costretto a ritrattare le tempistiche, spostando il limite dai 30 giorni proclamati in precedenza, a 4 mesi. Tuttavia, il ritiro delle truppe avverrà, seppur a condizioni ben precise: per esempio, attraverso il suo consigliere alla sicurezza, John Bolton, Trump fa sapere che «distruggerà economicamente la Turchia», se dovessero avvenire attacchi contro i curdi.

Trattando della situazione siriana, viene facile fare un paragone con l’Iraq, abbandonato nel 2011 dalle truppe statunitensi al comando del presidente Obama, seppur ancora troppo debole per mantenere il controllo sul territorio, e quindi spesso costretto a cedere zone del paese alle milizie di al Baghdadi, califfo dell’autoproclamato Stato Islamico.

La posizione dello Stato Islamico in Siria appare molto più debole di quella in Iraq, tuttavia i detrattori di Trump hanno preso anche questo fattore in considerazione nelle loro rimostranze. E, proprio in queste ultime ore, un attacco da parte di un kamikaze dell’ISIS è avvenuto nella città di Manbij, nel nord della Siria; il bilancio provvisorio è di circa una ventina di morti, di cui quattro americani. Altri punti contro Donald Trump, dunque, che, già alle prese con una politica interna abbastanza instabile, si ritrova a dover rendere conto anche di questo episodio, avvenuto nei confini di uno Stato che si trova, a detta della comunità internazionale, in una guerra civile.


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