La donna è ancora un oggetto da possedere?
Di Alice Castiglione – Dal diritto di decidere del suo corpo all’indipendenza economica, dal diritto all’istruzione all’abolizione del delitto d’onore, al diritto di voto, molto è stato fatto dalle donne stesse per sottrarre il genere femminile a millenni di patriarcato.
Ma ancora molta è la strada che deve essere percorsa, perché millenni di patriarcato non si possono rovesciare in cento anni. Se da un lato le donne danno battaglia ai continui messaggi sessisti dei media e al (micro) machismo quotidiano, dall’altro il cambiamento è dolorosamente lento. Il panorama politico attuale è spaventoso in quasi tutti i Paesi del mondo, e in Italia ci teniamo a non farci mancare nulla. Ma c’è una connessione tra la rappresentazione massmediatica della donna, l’iniquità sociale e la violenza?
Lorella Zanardo, autrice di Il corpo delle donne e Senza chiedere il permesso: come cambiamo la tv e l’italia, in questa intervista del 2013 spiega la pericolosità dei media, in particolare in Italia, dove il servizio pubblico è asservito agli interessi politici e dove il media activism è quanto mai necessario per arginare il danno e proporre nuovi modelli di strutture sociali, della rappresentazione di genere e dei diritti di tutti coloro che non siano nella posizione privilegiata del maschio bianco etero.
Se da un lato la comunicazione (soprattutto in ambito commerciale, cinema e tv) è incentrata sull’uso oggettivizzato del corpo della donna, dall’altro ci si domanda perché in Italia succede più che in altri Paesi. La motivazione è che in Italia si trova terreno fertile perché politicamente, eticamente e storicamente, chi ha guidato il popolo italiano aveva, e ha tutt’ora, una visione della donna e del suo ruolo all’interno della società molto conservatore.
Ovviamente la rappresentazione della donna non è l’unica causa, ma è parte del problema: se si pone il corpo della donna come oggetto, chi guarderà interiorizzerà la figura della donna come oggetto, instillando l’idea che la donna è un oggetto da possedere. E non si può accettare che un oggetto abbia autonomia. L’impossibilità del maschio di accettare l’autonomia della donna è palese se osserviamo quanti uomini rispondono «mi voleva lasciare», con conseguente imbarazzante articolo che millanta raptus di follia o amore estremo sfociato in gelosia.
Nel Global Gender Gap Report 2018 troviamo un dato sconsolante che ci indica quanto e come il sistema in cui viviamo e le sue strutture sociali siano incentrate sul potere del maschio. La proporzione del lavoro non pagato (in questo caso alle donne italiane) è un dato importante per comprendere in che senso il patriarcato non ha niente da guadagnare e tutto da perdere. Il potere economico maschile è una catena alla quale tutte le donne del mondo, prima o poi, si sono dovute e/o si dovranno scontrare. Perché l’empowerment delle donne passa dal distacco economico del padre/marito.
Per questo in ogni ufficio, centro commerciale, ospedale e scuola abbiamo bisogno di femministe che abbiano il coraggio di cambiare lo status quo. Come una donna che sceglie di stare a casa con i figli non fa il patriarcato, nemmeno una donna nella stanza dei bottoni fa il gender empowerment.
Se è vero che da un lato abbiamo acquisito diritti di base come appartenere a noi stesse e avere diritto di voto e parola, dall’altra parte il pattern del patriarcato capitalista cambia forma con il tempo, dando la sensazione di essere finalmente libere di decidere per noi stesse.
Il 13 Novembre del 1913, Emmeline Pankhurst fa un discorso che rimarrà nella storia del femminismo internazionalista interclassista e che getterà le basi per le ondate femministe successive. Il discorso, intitolato Freedom or Death (libertà o morte) è parte di un libricino intitolato The Suffragettes, pubblicato dalla Penguin Little Black Classics, e descrive molto bene lo spirito e la determinazione con cui le donne hanno lottato in quegli anni:
«Se si ha a che fare con una rivoluzione industriale, se donne e uomini di una determinata classe sociale si ribellano contro le donne e gli uomini di un’altra classe, se c’è uno sciopero generale, sapete esattamente dov’è la violenza e come la rivolta sarà ripagata. Ma nella nostra battaglia non è così. Noi apparteniamo a ogni classe sociale, noi non abbiamo marchi, noi permeiamo ogni classe della comunità, dalla più bassa alla più alta; così potete vedere come nella guerra civile femminile (in Inghilterra) come gli uomini stanno scoprendo che è assolutamente impossibile fermarci. Non potete localizzarla, non potete fermarla».