Decreto dignità: una partita a scacchi con il futuro

Di Giuseppa Granà – Il decreto dignità, d.l. n. 87/2018 pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 161 del 13 luglio 2018, è stato fortemente voluto da Luigi Di Maio, Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico appartenente al M5S.

Esso nasce in seguito alla necessità e urgenza  di  attuare delle misure a tutela della dignità dei  lavoratori e delle imprese.

Critiche sono state mosse sulle reali condizioni di necessità e urgenza, in quanto si è in presenza di un decreto legge del Governo, che entra immediatamente in vigore e che deve essere approvato dalle Camere entro sessanta giorni per la conversione in legge ex art. 77 Cost. Ciò che preme sicuramente al nuovo Governo è dare risposte a interrogativi irrisolti facendo fronte all’inerzia del legislatore. Questo ha acuito nel tempo le incertezze nel nostro Paese, dove le parole dignità e lavoro sono ormai due rette parallele.

Quale linea si è deciso di seguire? Per contrastare il precariato sono state introdotte, al Capo I, una serie di norme. Infatti, al contratto di  lavoro  subordinato  può  essere  apposto  un termine di durata non superiore a dodici  mesi, e questo può avere una durata superiore che non ecceda, però, i ventiquattro mesi (non più trentasei come previsto dal Job Act, ovvero il D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81). Se il contratto supera i 12 mesi, chiunque voglia assumere un lavoratore dipendente con un inquadramento precario dovrà  specificare il perché del ricorso all’assunzione a tempo determinato, piuttosto che indeterminato.

Quindi, in caso di controversia, se il giudice ritiene che la causale non sia legittima, l’azienda sarà tenuta ad assumere il lavoratore a tempo indeterminato. Per quanto riguarda le assunzioni precarie, le aziende sino ad oggi hanno proceduto con il rinnovo del contratto per cinque volte in tre anni; adesso all’articolo 1, lettera b, comma 2 del decreto di cui si tratta si prevede la sostituzione della parola «trentasei» con «ventiquattro»,  la  parola  «cinque» è sostituita dalla seguente «quattro», e la parola «sesta» è sostituita da «quinta». Quindi, dalla sua conversione in legge i rinnovi a disposizione delle aziende saranno quattro in due anni.

Il decreto intende così combattere la precarietà a salvaguardia dei livelli occupazionali, modificando gli articoli 19, 21 e 28 del Job Act.

Per quanto concerne il disincentivare delle delocalizzazioni, si prevede, al Capo II, la decadenza totale del beneficio nel caso in cui la riduzione dei livelli occupazionali sia superiore al 50%; decadenza prevista anche nel caso in cui imprese italiane ed estere – operanti nel territorio nazionale  – che hanno beneficiato di aiuti decidano di delocalizzare in Stati non appartenenti all’Unione europea.

In altre parole, le imprese che abbiano ricevuto aiuti di Stato per il finanziamento di investimenti produttivi non possono spostare per almeno cinque anni la loro attività o una sua parte dall’Italia, verso Stati non facenti parte dell’Unione. Nel caso in cui decidessero di farlo, le imprese dovranno restituire quanto ricevuto con  una maggiorazione degli interessi pari al 5%.

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Al Capo III si prevedono strumenti volti a consentire un efficace contrasto alla ludopatia, vietando la pubblicità concernente giochi  o  scommesse  con  vincite  di  denaro. A tal fine, nel caso in cui si verificasse una violazione delle disposizioni, l’Autorità  per  le garanzie nelle comunicazioni procederà con l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria commisurata nella misura  del  5%  del  valore  della  sponsorizzazione  o  della pubblicità e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, a € 50.000. Tuttavia, il gioco d’azzardo verrà veramente contrastato con queste misure? Inserire la dicitura «nuoce gravemente alla salute» fungerà da deterrente?

Infine, al Capo IV, recante misure in materia di semplificazione fiscale, si individuano per le imprese aggiornamenti in merito al redditometro, disposizioni in materia di invio dei dati  delle  fatture emesse e ricevute –  relativi al terzo trimestre  del  2018 – che possono  essere  trasmessi  entro  il  28 febbraio 2019, l’abolizione dello split payment per i professionisti, ovvero il meccanismo di inversione contabile IVA.

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Se da un lato c’è chi sostiene il decreto, dall’altro c’è chi ne denuncia gli effetti negativi che questo comporterà. Tra i vari aspetti affrontati dal decreto si evidenzia il contributo dato dal Presidente dell’Inps Tito Boeri, il quale, in un’audizione presso le Commissioni riunite Finanze e Lavoro della Camera dei deputati, ha sottolineato come porre in essere la stretta sui contratti a termine contenuta nel decreto dignità rischia di far perdere circa 80.000 posti di lavoro nel breve periodo. Tuttavia, il Presidente ha dichiarato di non essere «[…] contrario allo spirito del provvedimento che viene qui discusso. Ma questo non mi esime dal fare i conti con la realtà che, spesso, ci impone delle scelte fra avere più di una cosa desiderata e meno di un’altra in qualche modo auspicabili».

La riduzione della durata massima dei contratti, produce un aumento meccanico del turnover dei contratti e lavoratori. Potrebbe accadere che l’impresa decida di assumere il lavoratore in scadenza con un contratto a tempo indeterminato, oppure di assumere un altro lavoratore con un nuovo contratto a tempo determinato o di somministrazione. O decidere, nella peggiore delle ipotesi, di sopprimere il posto di lavoro.

Assumere a tempo indeterminato il lavoratore risulta essere l’opzione meno conveniente per le imprese dinanzi a un incremento del 50% dei costi per l’interruzione del rapporto di lavoro. Uno degli incentivi dovrebbe essere, invece, la previsione di sgravi contributivi per le assunzioni di under 35.

Altro aspetto non di poco conto è la soppressione dei voucher avvenuta a opera del governo Gentiloni. La loro reintroduzione consentirebbe di pagare lavoratori senza sottoscrivere alcun tipo di contratto, piuttosto che aumentare l’area del lavoro sommerso.

Il decreto è stato approvato dalla Camera per la sua conversione in legge. Adesso è la volta del Senato, dove la riforma dovrebbe essere approvata definitivamente entro il 10 agosto.


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