Scorta sì, scorta no: cronaca di una polemica annunciata

Di Silvia Scalisi – È di appena poche settimane fa l’accesa polemica su alcune affermazioni dell’attuale ministro dell’Interno Matteo Salvini circa la possibilità di revocare la scorta allo scrittore Roberto Saviano, che vi è munito dal 2006, ovvero dalla pubblicazione del suo romanzo più famoso, Gomorra.

Polemica che, ovviamente, non ha tardato a dividere e infiammare gli animi, in un miscuglio di luoghi comuni e fantomatici schieramenti, che hanno dato vita alle affermazioni più disparate, che hanno avuto come unica conseguenza quella di generare un ambiguo caos e fomentare odio (come se già non ce ne fosse abbastanza in giro).

Proviamo, allora, a fare ordine. Innanzitutto, bisogna capire che caratteristiche abbia il sistema dell’assegnazione delle scorte nella nostra normativa, chi si preoccupi di assegnarla, chi (e come) abbia la facoltà di revocarla.

Partiamo da un assunto fondamentale: nessun uomo politico, nessun ministro, può, da solo e di propria sponte, alzarsi una mattina e decidere di revocare la scorta ad un soggetto che ne sia fornito. Così come non può decidere di assegnarla, o modificarla, si intende.

Prima del 2002, il sistema di assegnazione delle scorte era organizzato a livello provinciale, in assenza di un ufficio centrale unico. Come spesso accade nel nostro Paese, è stato un evento tragico a spingere verso una riforma della normativa già esistente: l’uccisione, avvenuta nel marzo 2002 ad opera delle Nuove Brigate Rosse, del giuslavorista Marco Biagi, al quale pochi mesi prima era stata proprio revocata la scorta.

A seguito di tale evento, viene stabilita con un decreto legge ad opera del governo Berlusconi II l’istituzione dell’Ufficio Centrale Interforze per la Sicurezza Personale (UCIS), poi formalizzato nella legge n. 133 del luglio del 2002.

L’UCIS ha il compito di gestire e coordinare l’assegnazione della scorta «per la protezione delle personalità istituzionali nazionali ed estere, nonché delle persone soggette, per funzioni o per altri comprovati motivi, agli specifici pericoli o minacce individuati dalla norma».

Quattro sono gli uffici che compongono l’UCIS, diretti da dirigenti della Polizia di Stato o generali dei Carabinieri, al cui vertice vi è un dirigente generale:

  • Ufficio analisi, che raccoglie le informazioni in merito a situazioni personali a rischio (sono i Prefetti che, in base alle notizie raccolte a livello locale, inviano le loro proposte per l’eventuale assegnazione della scorta, o per la revoca o modifica della stessa);
  • Ufficio servizi di protezione e vigilanza, che pianifica la protezione della persona interessata, e le risorse da utilizzare;
  • Ufficio formazione e aggiornamento del personale, che si preoccupa di formare il personale di polizia con addestramenti mirati, coordinando iniziative anche con Paesi esteri;
  • Ufficio per l’efficienza dei mezzi e degli strumenti speciali, che, oltre alla verifica dei mezzi utilizzati dalle forze di polizia, ricerca anche nuove tecnologie e sistemi per i programmi di tutela delle personalità a rischio.

Semplificando al massimo, si può dire che il Prefetto segnala all’UCIS i soggetti che avrebbero bisogno della scorta, allegando prove e indagini a sostegno di ciò; l’UCIS esamina la richiesta, dettagliatamente, dispone nuovi accertamenti, stabilendo se assegnare o meno la scorta, e con quali modalità (numero di agenti, mezzi a disposizione, ecc).

Quattro sono, infatti, i livelli di allerta, in base ai quali si decide l’assegnazione della scorta: il primo livello prevede due o tre auto blindate con tre agenti per auto; il secondo consta di due auto blindate con tre agenti ciascuna; il terzo consiste in una sola auto blindata con due agenti; infine, il quarto e ultimo livello, prevede una sola auto non blindata con uno o due agenti.

Come si può evincere, quindi, è  palese che siamo di fronte ad un sistema in cui ogni passaggio è ben scandito, e la divisione dei compiti è abbastanza precisa, per cercare di ridurre al minimo eventuali abusi nelle assegnazioni: prima del 2002, infatti, il problema non era tanto il costo, quanto l’organizzazione del servizio stesso, che mancava di un ufficio che vagliasse le richieste e coordinasse tutto a livello centrale.

E se è vero che, paragonata ad altri Paesi, l’Italia risulta essere quello con più soggetti muniti di scorta (numeri più recenti parlano di quasi 600 persone), è anche vero che non si possono utilizzare argomenti populisti solo per fomentare odio e accaparrarsi simpatie momentanee, fatte di like e visualizzazioni, battendo sul malcontento generale, ma è necessario contestualizzare per non lanciare messaggi sbagliati e, soprattutto, fatalmente incompleti.


 

 

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