Come il gruppo etnico Oromo sta cambiando l’Etiopia a costo della vita

Di Sara Sucato (per il dossier Violenze Invisibili) – Feyisa Lilesa, secondo classificato nella maratona delle Olimpiadi di Rio del 2016, ha permesso al mondo di conoscere la guerra che sta distruggendo l’Etiopia e dimezzando il gruppo etnico Oromo, colpito anche dal punto di vista economico e sociale.

L’atleta, una volta sul podio, ha incrociato i polsi disegnando una X come se gli fossero appena state messe delle manette. Il mondo non ne era cosciente, ma in quel momento Feyisa Lilesa ha rischiato la vita, ha messo a repentaglio la sicurezza della sua famiglia detenuta in Etiopia.

«I miei parenti sono in prigione e se si mettono a parlare di diritti democratici verranno ammazzati», ha dichiarato. «Se torno in patria, rischio la vita. E se non vengo ucciso, potrei finire in prigione. Non ho ancora deciso cosa fare, ma forse andrò direttamente in un altro Paese».

Questa la condizione che accomuna 24 milioni di Oromo, l’etnia maggioritaria dell’Etiopia che ne costituisce il 32% della popolazione. L’Oromia è la più estesa regione all’interno del confine etiope e circonda la capitale Addis Abeba; il Congresso Federalista Oromo (Ofc) è il più grande partito dell’Oromia ma non ha seggi in Parlamento.

Gli scontri tra il governo centrale, che rappresenta la minoranza etnica tigrina stanziata nella regione dei Tigrè e la popolazione Oromo e la contestuale protesta anti-governativa che ha visto il supporto dell’etnia Amhara, hanno avuto inizio tra l’ottobre e il novembre del 2015: in quell’anno, l’esecutivo guidato dal Fronte Rivoluzionario del Popolo Etiopico aveva approvato un piano di espropriazione delle terre Oromo, conosciuto come Integrated Development Master Plan, per espandere il confine amministrativo della capitale. I membri dell’etnia Oromo sono scesi in strada per chiedere riforme politiche e più diritti, denunciando anni di abusi da parte del governo.

Il 9 ottobre 2016 viene dichiarato lo stato d’emergenza, durato sei mesi, poiché alle proteste Oromo si unirono le rivendicazioni degli abitanti della regione dell’Amhara, i quali costituiscono il 27% della popolazione etiope e la seconda etnia più numerosa dello Stato del Corno d’Africa. Questa solidarietà ha portato ad una profonda crisi governativa dal momento che il Fronte Rivoluzionario aveva acquisito e mantenuto, nel corso degli anni, il proprio potere puntando sulla divisione tra Oromo e Amhara, che presentava radici storiche.

Nel contesto delle proteste, l’episodio più grave si è verificato il 2 ottobre 2016 durante l’annuale raduno religioso a Bishoftu, in Oromia, a 40 chilometri dalla capitale Addis Abeba. La polizia è intervenuta esplodendo colpi d’arma da fuoco e gas lacrimogeni sulla folla, in mezzo alla quale c’era anche chi scandiva slogan anti-governativi. Uomini, donne e bambini sono morti calpestati nella calca. Secondo il governo le vittime sono state 52. Secondo Human Rights Watch (HRW) le vittime sono state 500 e 1600 gli arresti. Cifre esagerate per il governo e prontamente smentite.

In base al rapporto della stessa HRW, dopo aver ascoltato le testimonianze di un centinaio di persone, la polizia e l’esercito avrebbero fatto un uso eccessivo della forza, sia durante le manifestazioni che contro i detenuti, dall’inizio delle proteste. Molte donne hanno raccontato di essere state molestate e violentate, coloro che si trovavano in carcere di essere stati torturati e appesi per le caviglie, altri ancora di aver ricevuto scosse elettriche. Decine di migliaia di persone sono state arrestate e centinaia sono scomparse.

Nonostante l’Etiopia sia sempre stata vista dalle maggiori potenze internazionali come garante di stabilità nel Corno d’Africa, il governo sembra aver fatto più affidamento sulla violenza e sulla repressione del dissenso, piuttosto che sul dialogo, aggiungendo a tutte le limitazioni imposte alla libertà di opinione e di stampa la censura del web. Bloccando gli accessi a internet, l’esecutivo puntava a impedire l’organizzazione di nuove proteste di piazza. Le strade, costantemente presidiate da militari e polizia, non permettevano gli spostamenti in sicurezza per i membri delle etnie Oromo e Amhara.

Le proteste Oromo, nel febbraio 2018, hanno portato alle dimissioni del primo ministro Hailemariam Desalegn e all’elezione parlamentare del successore Abiy Ahmed. Ahmed, ex ufficiale dell’esercito e ministro per la scienza e la tecnologia, è anche il primo politico Oromo a diventare premier in territorio etiope. La sua elezione costituisce una speranza per la fine degli scontri e delle violenze, in un Paese che soffre anche a causa di frequenti carestie dovute alla pratica del land grabbing, ovvero l’espropriazione da parte di multinazionali estere (principalmente olandesi, indiane e italiane) di territori coltivati o abitati dalla popolazione locale.


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