L’appannato Macron

Di Francesco Paolo Marco Leti – L’inizio della Presidenza Macron era stato salutato con ottimismo, sia all’interno della Francia che all’estero. Sembrava che il muro repubblicano avesse retto contro l’avanzata dei “barbari populisti” del Front National, e che la futura presidenza si caratterizzasse per un equilibrio delle riforme su posizioni centriste, avvalorata anche dalla presenza nel governo di figure provenienti sia dall’area socialista, sia da quella gollista. La popolarità presidenziale era al massimo – un fenomeno comune a tutte le elezioni e dovuto alla tendenza dell’elettorato di salire sul carro dei vincitori ex post – e sembrava che l’azione riformatrice sarebbe stata spedita.

Nel corso dei mesi, le cose sono cambiate parecchio. Uno dei primi momenti di appannamento è avvenuto dopo l’abolizione dell’Impôt de Solidarité sur la Fortune (ISF), una tassa patrimoniale su valori mobiliari e immobiliari, istituita dalla Presidenza Mitterand. Macron ha sostituito questa imposta con l’Impôt sur la Fortune Immobilière (IFI), che si limita ai soli immobili e che esenta il capitale mobiliare (strumenti finanziari) dalla tassazione. image (1)Con questa prima riforma, il Presidente francese ha perso il sostegno di alcuni deputati di sinistra eletti nel suo movimento e ha ricevuto una forte critica sindacale all’interno del paese, fondata sulla tendenza, comune a tutto il mondo occidentale, Francia inclusa, alla crescita delle diseguaglianze sociali.

Altre critiche per l’abolizione dell’imposta sono state fatte per ragioni relative alla contabilità di Stato: la Francia ha sfondato il tetto del rapporto deficit/pil a partire dal 2007 fino al 2016, rientrandovi solo lo scorso anno (2,6%), grazie ad alcuni “artifici” contabili (ad esempio ha contabilizzato soltanto parte degli aiuti, 2,3 mld dei 5 effettivamente usati, verso il colosso nucleare pubblico francese AREVA). Sempre guardando ai conti pubblici, il tetto del 100% del debito/pil è sempre più vicino e probabilmente verrà sfondato nell’arco di tre anni.

FRANCE-LABOUR-STRIKEIl peso eccessivo del settore pubblico ha spinto verso una serie di riforme in questo campo che hanno ulteriormente dato fiato alle opposizioni di sinistra nel paese. Il culmine dello scontro è stato raggiunto, in questi mesi, col braccio di ferro ingaggiato nei confronti dei ferrotranvieri. Una serie di scioperi ad oltranza è stato dichiarato dai sindacati; scioperi che hanno raggiunto un grande livello di partecipazione, paralizzando il paese. Pietra del contendere è la cancellazione di alcuni “privilegi” della categoria, come i prepensionamenti, la possibilità di licenziamento o il blocco degli scatti di stipendio annuali. Tale sciopero è stato accompagnato dalle proteste di altre categorie toccate dai progetti di liberalizzazione e dismissione di società pubbliche, come nel caso dei netturbini che hanno proclamato scioperi in contemporanea a quello dei ferrovieri. Accanto a questa protesta si è sviluppato – ma non è strettamente connessa alle politiche governative – lo sciopero dei dipendenti di Air France, che da diversi anni non vedono l’ombra di aumenti. Infine, a queste proteste, si sono aggiunte quelle degli studenti universitari contro la riforma delle università pubbliche, con occupazioni e scioperi.

Dal punto di vista politico, dato il contenuto delle riforme messe in campo, non si può negare lo spostamento del Presidente Macron verso posizioni maggiormente liberiste e questo ha rianimato sia il vecchio Partito Socialista Europeo (PSE) che la recente formazione della France Insoumise di Mélenchon. Anche a destra il Front National sembra aver riguadagnato posizioni.

La Francia ha una necessità fortissima di modernizzarsi e di mettere sotto controllo i conti pubblici. Il problema è che il Presidente sembra aver preso un piglio decisionista di stampo “napoleonico” poco consono al confronto e alla mediazione, con la conseguenza di aver portato ampi settori del paese allo scontro ed aver incrinato la pace sociale. In alcuni momenti, specialmente durante gli scioperi e le manifestazioni, il paese sembra nel caos. Il Presidente non può uscirne bene e, in effetti, sembrerebbe che la sua figura, all’apice del consenso fino a pochi mesi fa, risulti notevolmente appannata.  


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