In Olanda vince Rutte e l’Europa sorride a denti stretti

Test superato con riserva. Usando un eufemismo di natura scolastica, potrebbe essere questa, per l’Unione Europea, la sintesi delle elezioni in Olanda di qualche giorno fa. La vittoria del partito liberale, VVD, guidato da Mark Rutte, fa tirare più di un sospiro di sollievo. Soddisfazione su social e quotidiani da parte dei vari leader europei e vertici comunitari. Ma, dalle elezioni olandesi emerge anche una pericolosa conferma: l’estremismo di destra, xenofobo e euroscettico, è vivo e in crescita. Un segnale da tener conto in vista del prossimo test di “francese”.

I timori della vigilia, con i sondaggi che preannunciavano una distanza risicata tra il premier uscente e il candidato anti-islam Geert Wilders, sono stati scacciati via da un’affermazione più larga rispetto alle attese. 21% per il VVD di Rutte contro il 13 % ottenuto dal PVV di estrema destra, e più precisamente 33 seggi a fronte di 20. Numeri che dovrebbero rendere più semplice il lavoro di Rutte nella formazione della maggioranza di governo, che sarà di coalizione, presumibilmente con cristiano-democratici (CDA) e liberali di sinistra (D66), vista anche la débâcle dei socialdemocratici.

Il risultato ottenuto dalle altre forze tradizionali del paese permetterà a Rutte di non esser soggetto ai ricatti di Geert Wilders Ma, i numeri dicono anche altro. In primis, la necessità di un governo formato da almeno quattro forze politiche differenti trova fondamento nella accentuata frammentazione politica olandese, a sua volta specchio dello stato in cui versano i suoi partiti tradizionali. Una tendenza che trova conferma nel risultato dello stesso VVD di Mark Rutte, in calo, con otto seggi in meno, rispetto al 2012, ma anche nella débâcle dei socialdemocratici. Storia diversa, invece, per il partito euroscettico e anti-immigrati di Geert Wilders, che seppur senza exploit, è cresciuto conquistando 5 seggi in più.

L’estrema destra, xenofoba, populista e euroscettica, insomma avanza, al contrario dei partiti fautori del sostegno all’Europa unita. Un’Unione che, ormai è evidente, sembra aver scelto da quel famoso giugno 2016 (giorno della Brexit) di attendere impassibile il verificarsi degli eventi. Nessun passo in avanti è stato fatto sui macrotemi su cui i paesi litigano da tempo e che generano malumore nel cittadino medio europeo. La questione dei migranti, il pericolo terrorismo, la rigidità sui paletti economici, la bassa crescita dell’eurozona, così come una qualche tipo di risposta all’isolazionismo di Trump. Tutti punti su cui l’Unione ha mostrato e mostra ancora la propria condizione di inadeguatezza e lentezza politica.

Un guaio se si pensa che i tempi del 2017 sono serratissimi dal punto di vista degli appuntamenti elettorali, tutti determinanti per il futuro comunitario. L’Europa ha superato, infatti, solo il primo test di verifica. E tra un mese ci si sposterà a Parigi, dove la Marine Le Pen appare uno spauracchio molto più resistente di Geert Wilders.

Mario Montalbano


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