Da Ventotene parte la speranza di una nuova Europa (forse)

È andato in scena il 22 agosto sull’isola di Ventotene, al largo della costa tra Lazio e Campania, il vertice, il secondo dopo quello di giugno a Berlino, tra Renzi, Merkel e Hollande. Un incontro programmato per rilanciare l’immagine e soprattutto l’idea di Europa, a distanza di due mesi dall’evento, la Brexit, che ha rappresentato il punto di maggior criticità della storia recente dell’Unione.

Lo scenario scelto è l’isola in cui, durante gli anni di confino per la dittatura fascista, uno dei padri fondatori dell’Europa, Altiero Spinelli, scrisse assieme a Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, il Manifesto per un’Europa libera ed unita. “Da Ventotene lanciamo il guanto di sfida per cambiare l’Ue”, aveva detto Renzi, nel corso dell’Assemblea Pd, nell’annunziare l’incontro. Partendo dall’esempio di Spinelli, i tre leader europei hanno voluto dar slancio ad una nuova fase dell’Europa, che propenda ad una maggiore e quanto mai necessaria integrazione politica. In molti lo hanno auspicato, una volta preso atto del referendum della Brexit, ma adesso dalle parole bisognerebbe passare ai fatti.

“La Ue non è finita con Brexit”, hanno voluto ribadire tutti e tre i protagonisti, durante la conferenza stampa a bordo della portaerei Garibaldi. Un messaggio chiaro di speranza, di unione al di là di ogni divisione e differenze, che comunque permangono. Le buone intenzioni sembrano non mancare, ma da qui a giungere a reali e concrete risultanze, purtroppo la strada è lunga. E di certo, al di là delle questioni economiche, su cui il vertice si è focalizzato maggiormente, restano delle grandi incognite, soprattutto a livello politico. Da Spinelli ad oggi, l’Unione Europea è sensibilmente cambiata, ma nel corso degli anni le resistenze nazionali non sono mai sopite, finendo per rafforzarsi nell’ultimo periodo. Soprattutto a livello di politica estera, l’Unione stenta a presentarsi in maniera compatta, non riuscendo al contempo a formare una difesa comune di fronte alle emergenze del momento; come emerso d’altronde con i recenti attentati terroristici. Ma, a ben vedere, è una situazione che l’Unione si trascina da tempo. E anche qui, la storia di Spinelli ci funge da esempio.

Il fondatore del Mfe è stato uno dei sostenitori del primo progetto europeo di difesa comune, che era la Comunità europea di difesa, meglio nota come Ced. Anche all’epoca, furono le resistenze nazionali a stroncare un progetto, che doveva essere solamente il primo passo verso la realizzazione di una comunità politica europea, dotata di una propria costituzione e di un proprio apparato istituzionale. Spinelli, e con esso altri leader europei, ritenevano la formazione di un esercito europeo una tappa imprescindibile verso la tanto agognata svolta federalista, che avrebbe dovuto porre la fine allo stato d’instabilità e d’insicurezza politica in cui l’Europa post bellica e dei primi anni della guerra fredda era piombata. Nessuna comunità politica indipendente avrebbe avuto senso, senza il superamento del simbolo del nazionalismo, ossia la presenza dei singoli eserciti nazionali. “È il governo e non il comandante militare, che stabilisce la politica estera, economica e fiscale. Non si può separare la politica militare dalla politica estera, economica e fiscale, perché sono rigidamente interdipendenti”, sosteneva Spinelli. Una barriera insormontabile all’epoca ed ancor di più negli anni successivi, se si pensa che da allora, nessun altro progetto di comunità di difesa comune, così approfondito, sarebbe stato ideato. Le resistenze nazionali, a dire il vero, rappresentano tutt’oggi un ostacolo difficile da superare.

Dal fallimento della Ced, l’Unione Europea ha tentato di dotarsi di una incisiva politica estera, riuscendovi in parte, e ha lavorato più volte alla costituzione di forze d’azione, ma sempre all’interno di un quadro di collaborazione fra forze armate piuttosto che per la formazione di una vera e propria struttura militare; i risultati sono stati alterni, e talvolta scadenti. Per ultimo, il tentativo nel 2007 dei gruppi di combattimento, battlegroups, ossia formazioni di uomini pronti all’azione in breve tempo, previa il consenso di tutti i stati membri. Fattore da non sottovalutare, che ci riporta ad un vecchio problema, su cui anche Spinelli e gli altri padri fondatori si sono imbattuti: la necessità di una struttura di comando indipendente che possa dirigere e controllare un esercito comune in grado di agire all’occorrenza, senza alcun ostruzionismo nazionale. Un tema, questo, particolarmente sentito dagli europeisti, e che adesso, dato il contesto internazionale dei nostri tempi, sembra ritornare. E di cui si è parlato anche durante il vertice di Ventotene, seppur a latere delle questioni economiche, che come sempre ormai hanno assunto la piena esclusiva dei tavoli comunitari. I tre leader hanno potuto dialogare sulla proposta italiana, emersa negli ultimi giorni, ed elaborata dai ministri Pinotti e Gentiloni, sulla cosiddetta “Schengen della difesa”, la quale dovrebbe vedere, sulla base di un accordo costitutivo in cui si fisserebbero le modalità e le finalità, un gruppo di Stati (per lo meno all’inizio) formare una forza europea multinazionale, dotata di una struttura di comando, e di meccanismi decisionali e di budget comuni. Un progetto che è ancora allo stato preliminare, e che al momento di concreto ha semplicemente una disponibilità di base da parte di Germania e Francia. Siamo ben lontani, almeno nelle intenzioni iniziali, dal progetto di esercito comune legato alla comunità politica europea indipendente, pensato da Spinelli e gli altri padri fondatori. A dimostrazione che, gli Stati membri non ritengano maturi i tempi di una cessione della propria sovranità a livello politico e militare; il che non sarebbe una novità, in barba all’esempio di Spinelli.

Mario Montalbano


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