ungheria diritti donne

Ungheria, l’educazione femminile come pericolo per la società

Secondo un discusso report, in Ungheria l’educazione femminile sarebbe un pericolo sociale, economico e demografico. Il governo di Orbán lancia l’allarme per la famiglia tradizionale.


Nell’Ungheria di Orbán continua il contrasto alla denatalità e il rilancio della famiglia tradizionale. A finire nel mirino delle autorità di governo, questa volta, sembrerebbe essere l’istruzione femminile. È quanto emerge da un rapporto redatto dall’Ufficio dei revisori dei conti statali lo scorso luglio ma diffuso dal giornale di stampo socialdemocratico Népszava soltanto pochi giorni fa, che ha causato non poche critiche e perplessità. Il rapporto, infatti, ammonisce circa i rischi e le conseguenze sociali ed economiche di un sistema di educazione “troppo femminile”. Si parla, a tal proposito, di “istruzione in rosa”.

Il contenuto del rapporto 

Il sistema educativo vigente, si legge nel report, danneggerebbe l’economia del Paese, provocherebbe un ulteriore abbassamento dei tassi di natalità e porrebbe gli uomini in una situazione di svantaggio. 

In primo luogo, il rapporto denuncia una sovrarappresentazione delle donne nell’istruzione superiore con il conseguente rischio che elevati gradi di istruzione femminile riducano la propensione delle donne a sposarsi e ad avere figli. Infatti, nell’ultimo decennio, le università ungheresi risultano essere maggiormente frequentate da donne rispetto a uomini, con un percentuale di iscritte che, questo autunno, si attesterà al 54,5%. 

Sul fronte opposto, si assiste ad alti tassi di abbandono universitario della popolazione maschile. Ad aggravare la situazione, secondo quanto riportato nel rapporto, si aggiunge un ulteriore dato: circa l’82% degli insegnanti ungheresi è donna. 

In secondo luogo, se l’educazione favorisce tratti tipicamente femminili, quali la maturità sociale ed emotiva, e conduce ad una sovrarappresentazione femminile nelle università, ne risulta seriamente indebolita l’uguaglianza di genere. 

Al contempo, questa sovrarappresentazione impedirebbe agli uomini, generalmente più propensi all’assunzione del rischio, all’imprenditorialità e alla logica-matematica, di sviluppare liberamente il loro potenziale e favorirebbe negli stessi l’insorgere di malattie mentali e disturbi comportamentali. 

Quanto detto finora, secondo il rapporto, avrebbe un doppio risvolto poiché, da un lato, configurerebbe un danno all’economia del Paese, il cui sviluppo ottimale dipende da tratti tipicamente maschili come la creatività e la competitività e, dall’altro, cagionerebbe un danno allo sviluppo demografico, in quanto donne altamente istruite farebbero fatica a trovare compagni con la stessa formazione. 

La lotta alla denatalità in Ungheria 

Sebbene il rapporto abbia sollevato numerose critiche tra gli oppositori politici e i sostenitori dei diritti umani, questa rappresentazione del sistema educativo ungherese non desta alcuna sorpresa, inserendosi nel più ampio disegno della rivoluzione conservatrice condotta da Orbán fin dal suo insediamento e che vede tra i suoi pilastri la difesa della famiglia tradizionale, la promozione delle nascite e il contrasto all’immigrazione.

Obiettivi che, nella visione politica di Orbán, possono essere raggiunti esclusivamente allontanando le donne dal lavoro retribuito e relegando loro al compito di “angeli del focolare”. Dunque, le uniche posizioni che la donna dovrebbe ricoprire sono quelle di moglie e madre.

È con questa intenzione che, a partire dal 2019, il governo ungherese ha varato una serie di misure di politica sociale volte a scoraggiare il lavoro femminile e a promuovere la famiglia tradizionale come unico modello di famiglia possibile, con una sempre più accentuata erosione dei diritti e delle libertà delle donne e delle minoranze. Prima tra tutte, la riforma costituzionale del 2020 che sancisce come unica famiglia possibile quella costituita da uomo e donna e che di conseguenza rende inammissibili le adozioni da parte di persone dello stesso sesso o da single.

Tra le altre misure, si pensi anche all’esenzione a vita dalla tassa sui redditi per le donne che partoriscono e si prendono cura di almeno quattro figli, o alla misura per cui le donne sotto i 40 anni che si sposano per la prima volta possano godere di un prestito a tasso ridotto fino a 31.500 euro, il quale si intende parzialmente estinto con la nascita del secondo figlio e totalmente estinto alla nascita del terzo figlio.

Il risultato di simili politiche sulla famiglia è l’esacerbazione di una profonda disuguaglianza di genere che vede negata alle donne qualsiasi possibilità di emancipazione professionale, economica e sociale. Non stupisce, infatti, che negli ultimi anni l’Ungheria non abbia fatto passi avanti nella promozione della parità di genere, collocandosi, secondo lo European Gender Equality Index, al penultimo posto tra i Paesi europei. 

Le politiche sulla famiglia sono a rischio anche in Italia?

Le politiche sulla famiglia su cui insiste Orbán iniziano a destare parecchia preoccupazione anche nel nostro Paese, prospettandosi come scenario possibile qualora i risultati delle prossime elezioni diano per vincitrici le forze di destra. 

Proprio negli ultimi giorni, il segretario della Lega Matteo Salvini ha dichiarato di volersi ispirare al modello di famiglia imposto da Orbán, considerando quest’ultimo come «la legge più avanzata per la famiglia». Il rischio è, dunque, che anche in Italia si torni indietro di decenni e che vengano vanificati tutti i tentativi di condivisione dei compiti di cura tra uomo e donne e ogni sforzo di promozione dell’occupazione femminile. 

Matteo Salvini, Segretario della Lega

Un esempio fra tutti sarebbe il congedo di paternità. Mentre in Italia si sta timidamente iniziando a parlare di condivisione del lavoro di cura (e non di conciliazione), con la progressiva estensione del numero di giorni di congedo di paternità obbligatorio – sebbene siano ancora altamente insufficienti – in Ungheria il compito dei padri non è neppure tenuto in considerazione con la previsione di soli cinque giorni di congedo retribuito. 

Le donne lavoratrici sono il vero problema?

Dalla narrazione delle destre europee sembra che il problema della denatalità sia direttamente riconducibile alle donne altamente istruite e ad alti tassi di occupazione femminile, in quanto si ritiene che donne maggiormente istruite o che lavorano decidano di avere meno figli senza considerare le ragioni di tali scelte, prima fra tutte la quasi totale assenza di servizi per l’infanzia o adeguate politiche di welfare

Tuttavia, recenti ricerche sembrano contraddire una simile convinzione. Trova sempre più spazio, infatti, l’idea che, nei Paesi ad alto reddito, occupazione femminile e numero di figli sono correlati positivamente

In particolare, tali ricerche evidenziano come la decisione di avere figli sia strettamente influenzata da una serie di fattori quali: la disponibilità di servizi di cura all’infanzia e altre politiche familiari favorevoli, padri collaborativi, mercati del lavoro più flessibili e norme sociali in favore delle madri lavoratrici.

Dunque, le ricerche dimostrano che, in netta contrapposizione a quanto sostenuto nel report, laddove carriera e famiglia sono più facilmente compatibili, si registreranno alti tassi di occupazione femminile e un alto numero di figli. Viceversa, laddove carriera e famiglia sono in conflitto, le donne lavorano meno e decideranno di avere meno figli.


Immagine in copertina di European People’s Party