La nuova Politica agricola comune? Meno verde del previsto
I ministri dell’agricoltura dell’UE hanno approvato l’accordo di riforma della Politica agricola comune, raggiunto lo scorso 25 giugno. Ma l’intesa sembra aver già deluso le ambizioni ecologiche proposte originariamente dalla Commissione.
Il 25 giugno scorso, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio sulla riforma della Politica agricola comune (PAC) per il 2023-2027, che dovrebbe aprire le porte a una PAC «più semplice, più equa e più verde». Nel corso della riunione di Consiglio “Agricoltura e pesca” del 28-29 giugno in Lussemburgo, l’intesa è stata confermata dai ministri dell’Agricoltura dell’UE e, per entrare in vigore, dovrà adesso essere approvata dalla commissione Agricoltura dell’Europarlamento e, in via definitiva, dall’assemblea plenaria.
La PAC e il pacchetto di riforme 2021-2027
La Politica agricola comune è una delle principali politiche comunitarie, gestita e finanziata a livello europeo con risorse che rappresentano circa un terzo del bilancio dell’UE. La PAC opera attraverso due “pilastri”: il primo pilastro è costituito dal sostegno al reddito degli agricoltori – vale a dire l’erogazione di finanziamenti diretti agli agricoltori che garantiscono la sicurezza alimentare e adottano metodi di coltivazione sostenibile – e dalle misure di gestione del mercato, che regolamentano la commercializzazione dei prodotti agricoli degli Stati membri intra ed extra UE; il secondo pilastro prevede invece l’adozione di misure di sviluppo rurale, volte al miglioramento della sostenibilità sociale, ambientale ed economica delle zone rurali.
La PAC è inevitabilmente una politica dinamica che, negli anni, ha necessitato di varie riforme per adattarsi alle nuove sfide nel settore agricolo. Nel 2013, la riforma proposta dalla Commissione per il periodo 2014-2020 – adottata per la prima volta con la procedura legislativa ordinaria ed entrata in vigore il 1° gennaio 2014 – aveva già posto l’accento su un uso più sostenibile delle risorse naturali e sulla lotta ai cambiamenti climatici.
Nel 2018, con l’obiettivo di rendere la PAC più semplice e ancora più ambiziosa in termini di sostenibilità ambientale e climatica, la Commissione europea ha presentato un nuovo pacchetto di riforme per il periodo compreso tra il 2021-2027, predisposto sulla base dello schema di bilancio a lungo termine dell’UE e comprensivo di tre proposte legislative: la proposta di regolamento sui piani strategici della PAC, la proposta di regolamento per l’organizzazione comune di mercato (OCM unica) e la proposta di regolamento orizzontale sul finanziamento, la gestione e il monitoraggio della PAC.
L’iter per l’adozione della nuova riforma
L’iter per l’approvazione della riforma è risultato particolarmente travagliato. I regolamenti proposti dalla Commissione avrebbero dovuto applicarsi, infatti, a partire da gennaio 2021. Alcuni ritardi nei negoziati, dovuti anche al protrarsi di quelli sul Quadro Finanziario Pluriennale, hanno reso necessaria l’adozione di un regolamento transitorio, proposto dalla Commissione nell’ottobre 2019 e adottato dal Consiglio e dal Parlamento europeo, che ha esteso la maggior parte delle norme della PAC in vigore nel periodo 2014-2020, fino al 31 dicembre 2022.
La nuova PAC dovrebbe dunque applicarsi a partire dal gennaio 2023, dopo due anni di regolamentazione transitoria. Nel corso dell’ultimo anno, il Consiglio ha avviato i negoziati con il Parlamento europeo, al fine di raggiungere un accordo globale su tutte e tre le proposte legislative di riforma.

Dopo il fallimento dei negoziati del maggio scorso, a causa delle divergenze tra Parlamento e Consiglio – in particolare sulle quote degli investimenti verdi a lungo termine e sulle condizioni da soddisfare per ricevere i sussidi dell’UE, con il Parlamento europeo che spingeva per un maggiore ancoraggio della riforma della PAC al Green Deal europeo – nel corso del Consiglio dello scorso 28 giugno si è raggiunto un accordo con il Parlamento europeo sulla nuova riforma della PAC, ora approvato anche dai ministri dell’agricoltura dell’UE.
Le principali novità proposte dalla Commissione
La Commissione ha fissato nove obiettivi specifici (tra cui il reddito equo degli agricoltori, la tutela ambientale, la lotta al cambiamento climatico e la salvaguardia della biodiversità), da garantire con finanziamenti diretti ed erogati sulla base delle dimensioni degli ettari delle aziende agricole (come è sempre stato) ma anche con un aumento dei sostegni a piccole e medie aziende. È prevista anche una “nuova architettura verde”, che prevede l’individuazione di requisiti obbligatori più stringenti e maggiori opportunità di finanziamenti per l’agricoltura ecocompatibile, attraverso i cosiddetti eco-schemi.
Nel primo pilastro, la proposta della Commissione ha previsto infatti un nuovo pagamento diretto a ettaro, aggiuntivo a quello base, volto a premiare gli agricoltori che si impegnano ad adottare pratiche agricole rispettose e benefiche per il clima e l’ambiente. Si tratta, in breve, di azioni volontarie, corrispondenti a pratiche agricole più o meno conosciute dagli agricoltori, e messe in atto dagli stessi in maniera libera, a tutela di clima e ambiente.
La principale novità della riforma consisterebbe, comunque, in quello che la stessa Commissione ha definito un “nuovo metodo di lavoro”, fondato essenzialmente sull’elaborazione, da parte di ciascuno Stato membro, di un piano strategico nazionale, comprensivo delle misure di sostegno al reddito (e dunque degli eco-schemi) oltre che di quelle finalizzate allo sviluppo rurale (secondo pilastro).
Sulla base di una serie di indicatori comuni di monitoraggio e valutazione delle prestazioni forniti dalle Commissione stessa, gli Stati devono indicare come intendono destinare i finanziamenti della PAC rispetto agli obiettivi specifici fissati a livello europeo. Prima di entrare in esecuzione, i piani strategici devono essere approvati dalla Commissione, e ciascuno Stato membro deve presentare una relazione annuale esplicativa dei progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi prefissati.
In linea generale, secondo la Commissione, l’elaborazione dei piani strategici dovrebbe consentire una maggiore flessibilità e libertà agli Stati, che «potranno definire le regole e i finanziamenti in funzione delle esigenze degli agricoltori e delle comunità rurali, purché siano in linea con le norme e gli obiettivi dell’UE».
L’intesa raggiunta dal Consiglio e dal Parlamento UE. L’ennesima occasione mancata?
Rispetto alla “svolta ecologica” proposta dalla Commissione, l’accordo raggiunto dal Consiglio e dal Parlamento per la nuova Politica agricola comune appare senza dubbio meno verde del previsto. In molti hanno evidenziato, infatti, come l’intesa – sostenuta dai 387 miliardi di euro stanziati dal bilancio pluriennale – abbia finito per tradursi in un “compromesso al ribasso”, in cui gli interessi degli agricoltori e dei governi nazionale sembrano, al momento, avere avuto la meglio.
Il punto nodale del dibattito ha riguardato essenzialmente il primo pilastro della PAC, e in particolare la percentuale di denaro da destinare alle pratiche agricole ecologiche adottate dagli agricoltori più “virtuosi”. Il Consiglio aveva chiesto il 20 per cento dei fondi previsti per il primo pilastro, mentre il Parlamento – che inizialmente aveva optato per una quota pari al 30 per cento – si era poi detto propenso ad accettare il 25 per cento. E così effettivamente è stato.
Sugli eco-schemi è stato raggiunto un compromesso al 25 per cento, assieme però a quella che è stata definita una vera e propria “scappatoia”. L’intesa prevede infatti un meccanismo di compensazione per cui gli Stati membri potranno investire meno sugli eco-schemi laddove dimostrino di aver adottato un numero maggiore di interventi a favore di clima e ambiente nel secondo pilastro della PAC, rivolto allo sviluppo rurale.
Per questo, alcuni rami del Parlamento, e i Verdi in particolare, hanno ritenuto l’accordo molto distante dagli standard di tutela ambientale originariamente previsti dalla Commissione. «La critica degli ambientalisti – scrive Politico – è che la considerazione data alla spesa nel secondo pilastro non innescherà lo stesso tipo di cambiamenti radicali verso metodi di produzione alimentare più ecologici come le richieste di eco-schemi nel primo pilastro».
Secondo i Verdi – che si sono detti pronti a osteggiare la riforma al voto finale in plenaria – il compromesso raggiunto dal Consiglio e dal Parlamento risulterebbe non adeguatamente connesso agli obiettivi generali fissati nel Green Deal e rappresenterebbe, perciò, un’occasione mancata per l’UE di introdurre pratiche agricole realmente rispettose del clima e dell’ambiente.
Il commissario per l’agricoltura Wojciechowski ha invece guardato all’accordo finale come a «una delle riforme della PAC più ambiziose della storia». «Su alcuni punti», ha aggiunto Wojciechowski, «avremmo potuto desiderare un risultato diverso, ma nel complesso penso che possiamo essere contenti dell’accordo che abbiamo raggiunto».
Quel che è certo è che, oltre a quanto sopra delineato in termini di tutela ambientale, nell’accordo rimane il rischio che la maggior parte dei sussidi diretti vadano comunque alle aziende più grandi. Nella proposta, infatti, non è previsto nessun limite ai sussidi per le grandi aziende, ma solo l’obbligo del 10 per cento delle risorse dedicato a finanziamenti diretti da ridistribuire tra le aziende più piccole.
L’introduzione di un meccanismo di “condizionalità sociale”, che dal 2025 subordinerà in via obbligatoria i pagamenti diretti per gli agricoltori al rispetto dei diritti dei lavoratori, non basta ad allontanare l’idea che quella sulla PAC sia una riforma in realtà poco incisiva, meno verde ma anche meno equa di quella sperata. Oltre che l’ennesimo esempio della difficoltà dei due legislatori europei di bilanciare gli interessi degli Stati, da un lato, e quelli strettamente comunitari dall’altro.