La «Maestà Sofferente» a Milano: quegli spilli siamo noi

Di Virginia Monteleone – Nella settimana milanese del Salone del Mobile non è mancata la grande contestazione per l’installazione di Gaetano Pesce, Maestà Sofferente, la grande immagine semi antropomorfa che rivendica l’orrore e le sofferenze vissute da molte donne vittime di abusi.

Come ogni grande e ingombrante opera d’arte concettuale, questa è stata contestata da molti e soprattutto dal collettivo transfemminista Non una di meno, additando l’opera come irrispettosa e sessista. Ma andiamo ad analizzare la questione.

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Up 5_6, Gaetano Pesce

L’opera riprende le forme dell’iconica Up 5_6, poltrona edita sempre da Pesce nel 1969. La poltrona ricordava nelle sue forme il caldo e sinuoso abbraccio femminile. Anche da qui è scaturita la riflessione dell’oggettificazione del corpo della donna, soprattutto per il fatto che l’opera nascesse per mano di un uomo.

Il 6 aprile scorso l’opera è stata installata a piazza Duomo a Milano, dinnanzi il grande tempio della fede. L’oggetto  riprende le forme di quella poltrona ma, riassorbendo le originarie fattezze femminili, è trafitta da 400 spilli. A Non Una di meno non è piaciuta per niente. Il collettivo dichiara su Facebook: «Ma non bastava l’utilizzo del corpo femminile reso oggetto ai fini del design, ora l’idea viene rielaborata per rappresentare la violenza sulle donne. Il risultato? Una poltrona-donna trafitta da centinaia di frecce (rievocazione del martirio?). Una rappresentazione della violenza che è ulteriore violenza sulle donne perché reifica ciò che vorrebbe criticare».

San Sebastiano

San Sebastiano, Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma

La sua rappresentazione così flagellata ricorda veramente un martirio, un San Sebastiano impalato e trafitto. Credo che la citazione sia imminente e quasi scontata, ma perché chiamare in causa la reificazione? L’opera è grande e brutta, anche sconcertante… come la violenza stessa! Un’opera concettuale è tale perché impersona un concetto e lo ripropone sotto un’interpretazione spesso personalissima dell’autore.

«La donna per l’ennesima volta è rappresentata come corpo inerme e vittima, senza mai chiamare in causa l’attore della violenza». Anche qui non ci si può che appoggiare, come riferimento, all’opera pittorica la morte di Marat di Jacques-Louis David, dove viene rappresentato l’atto spregevole dell’omicidio, o meglio, il momento dopo, rappresentato solo dal corpo esanime del politico e giornalista eliminando la presenza dell’omicida, come a condannarlo ad una sorta di damnatio memoriae. Così indegno da non poter essere rappresentato. Come risulta indegno un uomo che ferisce o, peggio, uccide una donna per mero senso di possesso. Come se una donna fosse un oggetto da possedere, come una poltrona! 

«E tutto questo senza passare dalla forma umana: alla poltrona e al puntaspilli mancano infatti testa, mani e tutto ciò che esprime umanità in un soggetto». Qualcuno urlò a Giacometti che le sue rappresentazioni disumanizzate erano oscene. Ma come poteva essere rappresentato l’uomo dopo un orrore grande come la guerra e l’olocausto? Quelle sculture rappresentavano i fantasmi di loro stessi. Non più esseri umani, non più anime.

Nei giorni scorsi l’attivista Cristina Donati Meyer, già autrice di un’opera anti-Salvini distrutta da sostenitori del ministro, ha vandalizzato la maxi-poltrona con vernice rosso intenso. «Abbellito» – ha dichiarato la Meyer – con simboliche mestruazioni fra le gambe della scultura. E anche questo va benissimo: è un’opera viva che muta e si reinterpreta anche visivamente e non solo nelle menti di chi la guarda. Un’opera d’arte non sarebbe tale se non venisse contestata. Il senso non è dichiarare quanto sia bella o brutta, quanto possa significare A invece che B. Importa che sia stata fatta, che abbia un suo significato forte, che faccia parlare del problema di fondo che è il costante deturpamento delle donne. Deturpamento anche oltre l’atto, con una sentenza ingiusta, senza sostenerne le denunce.

Inaugurazione opera di Gaetano Pesce

Inaugurazione opera di Gaetano Pesce, ANSA

Maestà Sofferente rappresenta a pieno quello che spesso fanno gli uomini: trasformano le donne in un oggetto di arredamento. E quegli spilli non sono solamente le coltellate, le cinghiate, gli schiaffi. Sono quella carezza non data, quella lacrima ignorata sul cuscino, quel silenzio preso come ostilità, quelle nuvole nere che oscurano il sorriso lasciate lì, senza la minima volontà di far risplendere il sole. Quegli spilli sono quel puttana, troia, fallita che arrivano anche da altre donne. Quegli spilli sono la mancanza di compassione che non viene via nemmeno ricoprendola di vernice rossa.

L’arte concettuale esiste per farci pensare. Siamo stati abituati alla critica e a contestare ogni cosa. Siamo così avvelenati dalle cattive intenzioni che anche il vederci porgere una mano o un fiore diventa sessista. Qualsiasi gesto che non faccia tacere sull’argomento è sempre un buon gesto.

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Messier 87, galassia Virgo A (o M87), 55 milioni di anni luce

Urliamo contro una forza al potere che vuole comprarci con promesse, e poi mettiamo lo stesso elettorato dissidente sulla gogna pubblica. Urliamo contro la politica che crea vittime sociali, e si legittima la donna poltrona perché «così piace a Dio», o perché la famiglia è quella e non si può scegliere chi amare.

La Maestà è stata contestata. È giusto che sia così. Abbiamo fatto una foto ad un buco nero lontano anni luce da noi, ma non riusciamo a «restare umani», ad accettare lotte sociali che darebbero a tutti dei diritti, e non imposizioni basate sui culti religiosi. Siamo nel 2019 e ci sono leggi che riportano la donna ad uno status da angelo del focolare. Forse questo è un altro grosso spillo piantato sul peto di tutte le donne. Andiamo pure tra le stelle a guardare da lontano il genere umano che si annienta da solo, ma nessuna statua ingombrante e brutta riesce a farcelo capire.


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