L’insurrezione dei «traditori» della patria

Di Daniele Monteleone – Partito da Palermo il sussulto contro il decreto Sicurezza” promosso dal ministro dell’Interno Matteo Salvini – divenuto legge da poco – prosegue raccogliendo l’appoggio di altri cinque sindaci di altre grandi città italiane e di diverse regioni (Umbria, Toscana, Lazio, Emilia-Romagna, Basilicata e Piemonte) che stanno valutando se chiedere l’intervento della Corte costituzionale.

Piuttosto che parlare degli «altri problemi ai quali i sindaci non pensano» restiamo sulla questione centrale (Dl 113/2018) e cerchiamo di capire il motivo del contendere dopo una settimana di botta e risposta.

In generale, il decreto Sicurezza voluto da Salvini si occupa di diversi problemi che secondo l’indirizzo di governo generano insicurezza: dalle occupazioni degli edifici al daspo, dall’uso del taser da parte delle forze dell’ordine alla lotta al terrorismo, passando per il contrasto al fenomeno mafioso.

C’è poi una parte del decreto che si occupa di immigrazione, ed è questa che viene genericamente contestata dai sindaci dell’insurrezione dei «traditori», come li ha definiti il ministro Salvini. Una contestazione del tutto legittima dato che esistono diversi strumenti per regolare i contrasti tra Stato centrale ed enti locali, come previsto – fortunatamente – in ogni stato democratico che decentra il potere dalla capitale.

sanatoria-2012-per-immigrati-clandestini-il-governo-dice-si-450x270Quali sono i punti contestati della “sezione immigrazione” del decreto? Per prima, e certamente tra le fondamentali misure criticate, c’è la complessiva riduzione del rilascio del permesso di soggiorno umanitario. Il permesso di soggiorno derivante dalla concessione della protezione umanitaria durava due anni e dava diritto al lavoro, ai servizi sociali e all’edilizia popolare.

La nuova normativa lo limita fortemente riferendolo solo ad alcuni casi speciali (vittime di sfruttamento e violenze, emergenze di salute e calamità naturali nel paese di origine) che hanno diritto a un permesso speciale di un anno. Chi ottiene il permesso di soggiorno umanitario (o chi lo ha già e in scadenza) potrebbe non averlo rinnovato, senza la possibilità di proseguire un percorso di integrazione sociale e lavorativa – spesso già avviato – restando di fatto “in mezzo alla strada”.

orlando-renziSull’articolo (il 13) che dispone l’impossibilità dell’iscrizione all’anagrafe da parte dei richiedenti asilo, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha avviato, nel momento in cui il decreto Salvini è divenuto concretamente attuabile sul territorio italiano, una procedura di “resistenza” da parte della sua amministrazione, non applicando di fatto alcune norme previste dal decreto partorito a Roma. Orlando ha definito il decreto «criminogeno in quanto trasforma persone legalmente sul territorio italiano in soggetti illegali».

143710421-779a68a2-c0dd-4523-aab4-93545229310fLo scopo, come dichiarato dallo stesso Sindaco palermitano, è quello di tutelare «gli stranieri eventualmente coinvolti dalla controversa applicazione della legge, da qualunque procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, riferimento alle procedure di iscrizione della residenza anagrafica».

Questa la bomba che ha fatto esplodere la diatriba: il Dl Sicurezza non rende sufficiente il permesso di soggiorno dei richiedenti asilo per l’iscrizione anagrafica (elemento importante per la documentazione inerente la residenza) senza indicare un documento alternativo utile alle pratiche burocratiche in merito.

Applicando le leggi già in vigore – precedenti al decreto e non abrogate – per i richiedenti asilo, la documentazione utile torna a essere il modello C3, il documento per l’avvio delle procedure per la protezione internazionale, e l’identificazione fatta in questura in tale occasione. Questi due elementi assolvono perfettamente alle condizioni per l’iscrizione anagrafica. Si direbbe allora che lo scontro è (quasi) tutto politico, anche se è indiscutibile che la norma provochi un groviglio burocratico che sembra creato ad arte.

body_sprar-percorsi-di-secondo-welfare“Risolto” (teoricamente) un problema, resta comunque un altro grande punto fortemente criticato: la rinnovata gestione del sistema Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Il sistema Sprar consiste sostanzialmente in una risposta sociale da parte delle amministrazioni in favore dei richiedenti asilo. Queste persone, in attesa di risposta sul proprio destino – spesso per oltre un anno – vengono avviati in piccoli centri diffusi dove trovano accoglienza, seguono corsi, svolgono attività utili e vengono avviati al lavoro.

Il decreto cambia anche questo processo di integrazione: negli Sprar potrà essere accolto solo chi ha già la protezione internazionale (riconosciuta in automatico per la provenienza da determinati stati) e i minori non accompagnati. Tutti gli altri sono destinati nei Cas o nei Cara, i centri di accoglienza dove notoriamente gli immigrati stanno a “non fare nulla” divenendo facile preda della malavita. Una «bomba sociale» – come la definiscono i sindaci traditori della Patria – sulle amministrazioni.

Insomma, la diatriba politica che si è aperta a suon di dimettiti! contiene in sé importanti elementi di valutazione: quello all’iscrizione all’anagrafe è un diritto elementare che testimonia che una persona esiste ed è radicata nel territorio; renderla difficoltosa o impossibile (apparentemente) è un chiaro messaggio discriminatorio nella possibilità di usufruire di un diritto piuttosto basilare. Si palesa l’indirizzo di Governo nel mantenere un atteggiamento “speciale” verso i richiedenti asilo e certamente la volontà di ridurre le opportunità di inserimento sociale ed economico per loro.

È stata poi invocata la sacra firma del capo dello Stato, come se quest’ultimo potesse esprimere un giudizio vincolante sulla costituzionalità della legge firmata. Ma se così fosse, la Corte costituzionale non esisterebbe. Inoltre essendosi trattato di un decreto legge, la mancata firma del Presidente Mattarella – e conseguente rinvio alle Camere – avrebbe fatto decorrere, e scadere, il periodo di conversione in legge massimo consentito di 60 giorni, facendo crollare l’intero decreto.

http___media.polisblog.it_9_9e6_salvini-vs-sindaciSalvini chiede in uno dei suoi (tanti) video social le dimissioni dei ribelli. Ma ogni sindaco, come gestore della macchina amministrativa cittadina (e quindi anche dell’anagrafe) può sospendere un provvedimento nazionale che reputa incostituzionale o in contrasto con altre leggi anche di tipo comunitario, sollevando la questione davanti a un giudice che possa successivamente avviare la procedura con la Corte costituzionale. Perfino il richiedente asilo può fare ricorso sulla propria domanda d’iscrizione anagrafica – nel caso specifico – respinta, secondo lui, ingiustamente.

In definitiva potrebbero esserci elementi di incostituzionalità e il ricorso con l’intervento delle Regioni sarebbe fondato. Non si tratta di una questione semplicemente etica o di buoni sentimenti. Restano però le posizioni dei contendenti, chi più chi meno, in aperta campagna elettorale.

Certo, chi vuole mettere prima gli Italiani facendo appello a quei «5 milioni di poveri che non hanno mangiato salmone e sciato a Cortina per queste feste» – come se chi non lo facesse fosse un poveraccio – dimentica che tra questi ci sono più di un milione e mezzo di persone di origine straniera, a meno che ci siano “italiani più italiani degli altri”.

Dimentica che la povertà è una condizione senza passaporto che ha visto in Italia, negli ultimi dieci anni, il triplicarsi del numero dei poveri assoluti (coloro che non hanno reddito, o che hanno perso il lavoro o un tetto sopra la testa). E denota anche una pochezza nella comunicazione politica di un disagio, un problema, da prendere molto seriamente e su cui non è più possibile appartenere a un tifo richiamando il consenso popolare (sommato) delle componenti al Governo – che è comunque formato in larga parte da tecnici. Non si può combattere sulla pelle dei poveri, o su quella degli immigrati, specie se questi si trovano in mare da settimane.