Quando il peggior nemico dell’arte non è il tempo

Di Silvia Scalisi – L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita: questa la frase che capeggia monumentale sul frontone del Teatro Massimo, e sulla testa di chi, palermitani e non, si trova a passare di fronte ad esso. C’è chi ci fa caso, e la legge col naso all’insù, magari strabuzzando gli occhi per sconfiggere il riflesso del sole, chi neppure se ne accorge, e passa oltre.

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Nonostante tutto, quella frase sta lì, impressa nei secoli, una sorta di monito inconscio e silenzioso, per ricordarci l’importanza e il valore di tutta l’arte nel suo complesso. L’arte che, in ogni sua forma, dovrebbe essere apprezzata, ma soprattutto, rispettata e tutelata, sia da chi ha deciso di farne un mestiere, sia da chi vive stabilmente in un determinato luogo, ma anche da chi vi soggiorna temporaneamente per vacanza, studio, lavoro, o altro.

Questo dovrebbero tenerlo a mente i tanti, troppi, turisti che ogni anno sfregiano (spesso irreparabilmente) monumenti dal valore inestimabile, mostrando una superficialità e una noncuranza agghiaccianti.

Solo in questi mesi estivi abbiamo assistito ad atti di vandalismo, i più eclatanti nella Capitale, che hanno colpito al cuore, metaforicamente, tutta la penisola: è di pochi giorni fa la notizia di un ragazzo inglese di 21 anni che ha tentato di incidere il suo nome con una pietra appuntita sul muro che costeggia la Via Sacra, all’interno dell’area archeologica del Colosseo, per fortuna prontamente visto da una dipendente del Ministero dei Beni Culturali, e fermato da una pattuglia dei carabinieri.

b1b2f196794d845bbbfd387ae1a9201e-kthH-U1100816874076I0D-1024x576@LaStampa.itSempre il Colosseo, circa due mesi fa, è stato teatro di un altro atto di vandalismo: un ragazzo brasiliano di 17 anni ha pensato bene di lasciare un segno indelebile del proprio passaggio, incidendo una G su una delle pareti interne dell’Anfiteatro Flavio. A giugno, un altro giovanissimo turista (austriaco, 17 anni anche lui) è stato bloccato mentre cercava di staccare un pezzo di laterizio di epoca romana del colonnato esterno.

Ma non sono solo giovani adolescenti a compiere queste stupide bravate. Sempre a danno del monumento simbolo della nostra Capitale (spesso, tra l’altro, davanti agli occhi di genitori che li lasciano agire indisturbati), ad agosto dello scorso anno, una turista tedesca poco più che quarantenne aveva inciso su una parete la scritta Suba; un turista dell’Ecuador ha pensato bene di incidere il nome della moglie e della figlia su uno dei pilastri, così come una turista francese qualche mese prima.

Ma il bersaglio preferito dei turisti-vandali (i nuovi barbari, come sono stati chiamati) restano sempre le fontane, complice il caldo afoso, usato per giustificare, a loro dire, un bagno rinfrescante.

È del mese scorso la notizia di un gruppo di ragazzi stranieri in visita a Roma, i quali hanno pensato di tuffarsi, totalmente nudi, nella Fontana dell’Altare della Patria di Piazza Venezia, accompagnando il gesto con tanto di risate, video e selfie pronti da postare sui social, davanti all’indifferenza degli altri turisti, forse anche più grave del gesto compiuto dai ragazzi.

Anche la Fontana di Trevi non resta indenne da malriuscite imitazioni della Anita Ekberg di felliniana memoria: è di qualche settimana fa la notizia di una coppia di turisti americani multati per avervi fatto un tuffo all’indietro; stesso destino capitato poco prima ad un turista russo.

fontana-di-trevi-turista-nudo-535x300Che dire, poi, di chi maschera questi gesti parlando di forme d’arte: questo quanto dichiarato l’estate scorsa da Adrian Pino Olivera, spagnolo di 30 anni, che si è immerso nella fontana di cui sopra con solo una tunica bianca, che si è poi sfilato restando completamente nudo, lanciando fiori verso la scalinata gremita di increduli visitatori.

E ancora: gente che utilizza le sculture come trampolini, per tuffarsi nell’acqua delle fontane che diventano occasionali piscine; altri che le scambiano per le vasche di casa propria, lavandosi con tanto di shampoo e bagnoschiuma; altri ancora vi svuotano una lattina di olio per motori (sì, è proprio quello che è successo l’anno scorso alla Fontana di Piazza Bocca della Verità).

Per non parlare, poi, del discutibile modo di esultare di alcuni tifosi, che mostrano l’entusiasmo per la propria squadra di appartenenza vandalizzando come bestie impazzite tutto ciò che trovano a tiro: è successo nel 2015 quando la Fontana della Barcaccia di Bernini di Piazza di Spagna è stata deturpata dai tifosi del Feyenoord in trasferta, riportando danni per milioni di euro; ed è successo anche il 15 luglio di quest’anno, in occasione dei mondiali di calcio, quando tifosi francesi hanno assaltato il monumento di Campo de’ Fiori a Roma, il quale, fortunatamente, non ha riportato danni.

Può esistere una spiegazione a tutto questo? Forse la smania di protagonismo, la voglia di lasciare una traccia indelebile di sé, rovinando per sempre opere che hanno resistito, più o meno intatte, a centinaia, a volte, migliaia di anni? Forse per la brama di apparire, di compiere qualcosa di eclatante, magari da postare sui social, per avere visualizzazioni, e per avere i propri quindici minuti di gloria? Davvero un like può valere più di un’opera d’arte? Sicuramente, alla base c’è l’incapacità di capire e di rendersi conto del valore inestimabile che si ha davanti agli occhi, che si ha la fortuna di osservare, e che si dovrebbe avere cura di preservare; forse la colpa è della semplice ignoranza, oppure, più banalmente, di quell’attitudine alla maleducazione e alla strafottenza, sempre più di moda e a cui non possiamo che assistere impotenti.

Gli unici sfregi che siamo disposti ad accettare, forse, sono quelli degli autori stessi, come il famigerato lancio del martello ad opera di Michelangelo sul ginocchio del Mosè, al suon di: «Perché mi guardi e non favelli?», davanti alla perfezione della sua opera (episodio, peraltro, ormai pacificamente sfatato, ma che ha colorato per decenni la storia di questa scultura).

Questi sfregi quotidiani, invece, sono reali: e ciò che fa più male è che a pagarne le conseguenze è soltanto l’arte, che sembra avere come peggiore nemico non il tempo, non l’incuria, non le intemperie, bensì l’uomo stesso, colui che dovrebbe proteggerla.