Guardando a sinistra: PD, da contenitore di idee a residuo organico
Di Giuseppe Sollami – «L’ex partito comunista è in una posizione al centro del dispositivo di ricomposizione della vita politica del paese. Escluso per quarant’anni dal potere, esso appare come il bastione più solido contro le avventure della destra». Titolava cosi Le Monde il 23 novembre 1993 in un editoriale dedicato al Partito Democratico della sinistra, evoluzione di quel PCI e di quell’ideologia che ormai era svanita con la riunificazione tedesca e con la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991.
PDS, che è anche l’antenato di quel PD che nel 2007 vede la luce: guarda caso, il nome è lo stesso, eccezion fatta della S, acronimo di Sinistra, scomodo per il Partito che si professa moderato e di Centro-Sinistra, raccogliendo le anime più eterogenee della vecchia classificazione partitica: dai democristiani ai socialisti, passando per i radicali, insomma, un grande contenitore di politica, che ha come obiettivo quello di divenire la più grande forza politica d’Italia.
Qualcosa non è andata per il verso giusto in questi dieci anni, dal momento che oggi il Pd rappresenta la terza (se non quarta) forza politica italiana, dietro al M5S, alla Lega e alla coalizione di centro-destra: il punto più basso raggiunto dal partito dopo aver sfiorato la “democristiana” quota del 40,8% alle elezioni europee del 2014.
Le cause sono la risultante di una gestione nazionale, e soprattutto locale, molto scadente, si potrebbe dire pessima: la prima, sicuramente è il risultato di una scarsa unione di tutte le varie componenti di partito, che hanno promosso il loro interesse individuale al posto dell’interesse di partito.
Da esperienze diverse, camminando in un’unica direzione, insieme! Doveva essere questo il filo conduttore per far sì che il Pd nazionale potesse competere con le varie coalizioni per il potere del paese. Insomma, è mancata la filosofia de “i panni sporchi si lavano in casa”.
A livello locale, l’élite, i vari baronati ex democristiani e comunisti, hanno continuato a padroneggiare le segreterie comunali e provinciali, impedendo alle nuove generazioni, ai più capaci e ai più volenterosi, di spendersi e farsi carico dei sacrifici di gestione della macchina democratica. Risultato: ad oggi non esiste una classe dirigente di alto livello, capace di formulare idee e proposte per il rilancio, dalla più piccola sezione alla segreteria nazionale, del partito.
Alla luce del grande declino che serpeggia nell’aria, alcuni avanzano l’idea di sciogliere il partito e rifondarlo; altri, come la ex sottosegretaria Boschi crede che «sia meglio sciogliere le correnti» ; altri ancora abbandonano la nave in rotta verso un orizzonte buio e sconosciuto.
La soluzione può e deve essere quella di ripensare la leadership, puntando sulle capacità e il merito, ripensare il metodo delle primarie (molto spesso rivelatesi una gara tra clan interni) e pensare al partito dei democratici e non al partito delle correnti: queste ultime hanno creato un vortice che sta, piano piano, distruggendo l’intero partito. Il Pd deve acquisire definitivamente la consapevolezza di essere l’unico partito in grado di guidare la parte progressista e socialdemocratica del Paese.