Elezioni in Egitto: Al-Sisi contro Al-Sisi. Chi avrà vinto?

Di Valentina Pizzuto Antinoro – Si sono concluse da pochi giorni le elezioni presidenziali egiziane che hanno decretato la vittoria di Abd al-Fattah al-Sisi permettendogli di ottenere così il suo secondo mandato. Dai dati ufficiali pubblicati dall’Autorità elettorale egiziana, al-Sisi ha ottenuto il 97% di voti (pari a più di 21 milioni di preferenze) battendo il suo unico avversario, Moussa Mustafa Moussa, che ha ricevuto il 2,9% di voti (circa 656 mila preferenze).

Salito al potere nel 2013, il presidente al-Sisi ha represso tutti i movimenti e le forze politiche contrarie al suo governo arrestando molti dei suoi oppositori. La sua politica repressiva è stata attuata anche durante queste elezioni e la mancanza della possibilità di una corretta partecipazione politica e della libertà di espressione hanno portato a sollevare molti dubbi sulla regolarità del voto.

Infatti i suoi potenziali rivali sono stati costretti a ritirare la propria candidatura: tra i nomi in lizza vi erano Sami Anan, ex-generale delle forza armate egiziane, arrestato dopo aver annunciato la propria candidatura, e Khaled Ali, avvocato e attivista per i diritti umani che, dopo l’arresto dell’ex generale Anan ha preferito ritirarsi per mancanza di condizioni per una corretta competizione elettorale.

L’unico a non essersi ritirato è Moussa Mustafa Moussa, ricco imprenditore noto per essere sempre stato un grande sostenitore del presidente al-Sisi, guadagnandosi così l’appellativo di “al kombares”, ossia la comparsa.

Non sono mancate le accuse di «elezioni fasulle» e le conseguenti proteste nei limiti della libertà di espressione concessa in Egitto: per denunciare il ritiro delle candidature sono state lanciate campagne sui social network usando l’hashtag #èinutilecandidarsiperché; personaggi influenti e movimenti dell’opposizione egiziana hanno invitato, con la campagna StayHome, il popolo egiziano a boicottare le votazioni per far perdere consensi a chi già sa di avere la vittoria assicurata. Il governo ha risposto a questi attacchi oscurando circa 500 siti web per tutto il periodo delle presidenziali.

Dunque, la vittoria elettorale di al-Sisi era già scontata dal momento in cui i potenziali rivali si sono ritirati dalla competizione, ma il rischio astensionismo è rimasto alto. Davanti a un plebiscito annunciato i dati che riguardano l’affluenza risultano significativi. Il presidente al-Sisi si era preposto di superare la percentuale delle precedenti elezioni, convogliando a sé coloro che nel 2014 lo avevano votato per paura di vedere al potere i Fratelli musulmani e che oggi risultano far parte della fetta degli elettori indecisi (come le donne – nel 2014 il 53% votò per lui – e la comunità copta).

Sebbene la sua campagna elettorale è stata incentrata sull’importanza della partecipazione lanciando appelli a recarsi alle urne attraverso i media nazionali, i dati ufficiali che riguardano l’affluenza parlano chiaro: si è registrato un calo di sei punti passando dal 47% nel 2014 al 41% nel 2018. Ciò significa che solo 24 milioni su 60 milioni di votanti iscritti nei registri ufficiali dell’autorità elettorale si sono recati alle urne.

Durante le votazioni l’Autorità elettorale egiziana ha minacciato di multare chi non si fosse recato alle urne con 500 sterline egiziane, pari a circa 25 euro. Non sono mancate le schede nulle (circa il 7%). Il caso più significativo, però, riguarda il conteggio di circa un milione di voti, ritenuti nulli, per Mohamed Salah, l’attaccante del Liverpool molto amato in Egitto, che ha superato il “vero” avversario di al-Sisi.

Il malcontento diffuso nei confronti del governo al-Sisi è evidente: l’instaurazione di un regime autoritario incentrato sul culto della sua personalità e le forti limitazioni della libertà di stampa rappresentano, per quanto gravi, solo una parte della crisi di cui l’Egitto soffre.

Per quanto riguarda la politica interna l’Egitto presenta un elevato tasso di disoccupazione giovanile e una situazione economica sempre più grave, con un’inflazione del 30% e i prezzi dei generi alimentari alle stelle. Il Financial Times afferma che si stanno creando i presupposti per una nuova primavera araba. Infatti, i fallimenti economici del governo di al-Sisi e la mancanza delle più semplici libertà civili, sono le stesse ragioni che hanno dato il via alla rivolta contro Mubarak nel 2011.

Questa supposizione è rafforzata dall’incremento delle nascite dopo la rivoluzione del 2011: in Egitto nel 2018 la popolazione ha raggiunto quota 96 milioni di persone, con 11 milioni di bambini nati in sette anni. Secondo la rivista economica statunitense Bloomberg Businessweek, questo boom demografico «non promette niente di buono al presidente Al Sisi […]. Una delle principali spinte della gioventù, era stata la mancanza di opportunità lavorative. È un problema che persiste: oltre un quarto dei giovani tra i 18 e i 29 anni è senza lavoro, secondo l’agenzia statistica egiziana, e un terzo dei disoccupati ha un diploma universitario».

Nel luogo simbolo della rivoluzione egiziana, Piazza Tahir, oggi non ci sono più quei manifestanti che gridano “Il popolo vuole la caduta del regime” come nel 2011, forse per paura o forse perché chi ha creduto veramente di poter proclamare la democrazia in Egitto pensa che ormai la rivoluzione è morta. Ma i risultati elettorali sono sempre lo specchio di una nazione. E sono proprio  questi a dimostrare che, anche se si è trattato di un plebiscito annunciato, l’Egitto non si è del tutto arreso.


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