Dublino, la pietra miliare del sistema di asilo

 

Il regolamento di Dublino stabilisce, sulla base di alcuni criteri, quale paese dell’Unione europea debba esaminare una domanda di asilo. Votato nel giugno del 1990, nasce dalla necessità di costituire un Sistema europeo comune di asilo. Modificato prima da Dublino II e poi da Dublino III, rispettivamente nel 2003 e nel 2011, è ancora oggi sotto discussione. Col variare dei flussi migratori, infatti, si è reso necessario rivedere un sistema di asilo che possa effettivamente garantire solidarietà e un’equa condivisione delle responsabilità tra tutti gli Stati membri.

Dall’inizio la necessità era quella di assegnare la responsabilità per esaminare una richiesta d’asilo a un solo stato membro, che doveva quindi essere competente al riguardo. Dublino III individuava poi una serie di criteri, delegando la quasi completa responsabilità allo Stato da cui il richiedente asilo sia entrato irregolarmente nell’Unione europea. In pratica quindi, il criterio prevalentemente utilizzato era quello del primo paese d’accesso irregolare; il che significa che, in quest’ultimi anni, il carico maggiore è stato sostenuto da tutti quei paesi che si trovano geograficamente collocati ai confini caldi dell’Europa.

Per questa ragione nel maggio 2016 la Commissione ha presentato una sua proposta di revisione del Regolamento, che rimane tuttavia una proposta debole. Sebbene prevedesse il meccanismo correttivo di assegnazione (volto a suddivisione delle domande di asilo tra tutti gli stati membri), manteneva ancora l’impianto del “primo paese d’accesso”, aggiungendo sanzioni forti per i movimenti secondari.

Nel Parlamento europeo la proposta della Commissione è stata assegnata alla Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE), tramite la bozza presentata dalla relatrice del parlamento, la svedese Cecilia Vikstrom. Dopo un anno e mezzo e circa 1021 emendamenti, la proposta è stata approvata il 19 ottobre 2017 con una larga e rara maggioranza, dai socialdemocratici, ai verdi e la sinistra unitaria, per arrivare ai popolari e ai liberali.

I principali punti riformati, che cambierebbero l’assetto dell’accoglienza e della gestione delle richieste d’asilo, sono:

  1. l’eliminazione del criterio del primo paese d’accesso, sostituito con un meccanismo permanente e automatico di ricollocamento, a cui tutti gli stati membri devono rispondere, a pena di conseguenze sui fondi strutturali;
  2. procedura accelerata di ricongiungimento familiare, per cui saranno sufficienti delle indicazioni sulla presenza di un familiare per un rapido ricollocamento;
  3. parziale estensione della nozione di famiglia, che comprende ora i fratelli e i figli adulti ancora a carico;
  4. valorizzazione dei legami del richiedente con altri stati membri, come precedenti soggiorni, diplomi e qualifiche;
  5. rafforzamento delle garanzie procedurali e degli obblighi di informativa per i richiedenti, in particolare per i minori;
  6. qualora nessuno di questi criteri di responsabilità trovasse applicazione, scatterebbe automaticamente il meccanismo di ricollocamento, dando al richiedente la possibilità di scegliere tra quattro Stati membri, che al momento della sua domanda sono più lontani dal raggiungimento della loro quota (determinata da Pil e popolazione);
  7. possibilità di una sponsorship, tramite la quale alcune organizzazioni possono prendersi carico di un richiedente fino a che la sua domanda sia esaminata;
  8. cancellazione dei check obbligatori di inammissibilità proposti dalla Commissione.

Sebbene il mandato negoziale approvato in commissione LIBE fosse dovuto passare in Plenaria con una procedura automatica, l’opposizione da parte di alcuni parlamentari del gruppo Visegrad e di estrema destra ha fatto in modo che venisse messo ai voti. Il 16 novembre la riforma ha ottenuto la maggioranza anche in Parlamento, con 390 voti favorevoli, 175 contrari e 44 astenuti. 

Per quanto riguarda l’Italia, mentre Partito Democratico e Forza Italia hanno votato a favore, il solo voto contrario è stato dato dal M5S (la Lega si è astenuta). Laura Ferrara, portavoce europarlamentare,

lamenta infatti l’ipocrisia di questa riforma dichiarando che «va a peggiorare il sistema attualmente in vigore».

Sebbene effettivamente ci siano dei punti negativi (periodo transitorio di tre anni per i Paesi del Visegrad e la possibilità che alcuni richiedenti che nella domanda avessero fornito solo elementi irrilevanti ai fini dell’asilo la vedano esaminata nel primo Paese d’arrivo), frutto di compromessi e negoziati fatti in Parlamento tra diversi gruppi politici, non pare plausibile non affermare che la riforma migliora comunque il meccanismo attuale. A testimonianza di ciò anche il tentativo estremo di alcuni parlamentari – di cui sopra – che hanno provato a bloccare la riforma.

Diverse associazioni si sono espresse positivamente sulla riforma, tra queste anche Amnesty International che tramite Iverna McGowan, Direttrice di AI alle istituzioni europee, dichiara: «Per anni il sistema di Dublino ha causato inutili sofferenze a troppi richiedenti asilo e rifugiati. Il voto di oggi apre la strada a un sistema che darà dignità ai richiedenti asilo, privilegiando i loro legami familiari, nonché una distribuzione equa tra gli stati membri europei».

Ma la partita è ancora tutta da giocare. Ci si prepara adesso al Consiglio Europeo, i colegislatori, in cui siedono i governi nazionali, protesi sempre più all’esternalizzazione delle frontiere.

Il regolamento di Dublino è quella pietra miliare del sistema di asilo europeo e di accoglienza, piena di punte taglienti, che qualcuno sta cercando di smussare. Lame affilate che hanno intagliato la vita di tanti esseri umani, lasciandoli impigliati in un sistema di (non) accoglienza e di (de)responsabilizzazione.


 
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Martina Costa

Laureata magistrale in Cooperazione e Sviluppo, sostengo e lotto per un’informazione libera, la tutela dei diritti umani, la parità di genere e i processi di ristrutturazione sociale dal basso.