L’Europa murata

Nell’era della globalizzazione, del multiculturalismo, della migrazione e della comunicazione senza limiti spaziali, si fa sempre più evidente una sottile e labile necessità di marcare le differenze, attraverso la costruzione di confini, muri e barriere, a volte più porosi, delle altre invalicabili.

L’isolamento di centinaia di migliaia di persone in fuga dalla povertà, dalla mancanza di libertà e dalla violazione di diritti umani, risulta oggi giustificabile dalla lotta al terrorismo e dal sovraffollamento territoriale, scarno di adeguate risorse economiche. Il confine è spesso lo spazio geografico e non, che più di ogni altro viene utilizzato come base nella costruzione di muri e barriere. Il confine diventa allora la manifestazione esasperata di quei muri che evidenziano una volontà intransigente ad escludere.

Nella storia, l’esistenza di limiti e confini costituisce regolarmente una necessità. Le delimitazioni territoriali operano una spazializzazione politica, sociale e persino esistenziale dell’individuo. L’uomo ha bisogno di vivere all’interno di un territorio delimitato, al fine di potersi identificare all’interno di una comunità, nei suoi usi, nei suoi modi, nelle sue ideologie. Questa confinizzazione è utile anche per potersi distinguere; di fatto ogni specie vivente è tale in funzione della differenziazione che culturalmente vi si applica rispetto a un altro essere vivente.

Per certi aspetti quindi un confine, essendo storicamente e socialmente costruito, non implica solo la divisione geografica del mondo, ma anche una sua configurazione.

Per altri aspetti, invece, la costruzione di confini, fisici o astratti che siano, viene ricoperta di un valore ideologico più che dettata da logiche politiche o di regolamentazione. Confini mentali, culturali, ideologici, frammentano il mondo in spazi insormontabili ad accesso controllato. In questo modo riescono a gettare le basi per la costruzione di barriere sempre più ingombranti.

Nel corso dei secoli i muri sono stati eretti per differenti scopi, difensivi, militari, politici, amministrativi, tutti riconducibili, il più delle volte, alla volontà di separare popoli e comunità umane. La pietrificazione dei confini statali risponde a diverse esigenze pratiche; innanzitutto effettuano una (in)efficace individuazione e selezione del target richiesto, potendo stabile a priori l’inammissibilità di un candidato in relazione alla provenienza (o al colore della pelle). In questo contesto capiamo bene che la rigidità dei confini riguarda sempre l’esclusione delle persone e della relativa forza lavoro, mentre ne sono escluse le merci, che rappresentano invece una risorsa economica irrinunciabile.

In particolare oggi, questi confini murati, sono tutti accumunati da un intento: escludere la minaccia migranti dai propri sistemi. E se un muro si definisce in relazione all’altro, è per questo che possiamo parlare di una crescita esponenziale di muri anti migranti che mirano a fortificare le frontiere in previsione dell’infiltrazione di migranti.

Infine la cementificazione dei confini porta a creare e\o a definire l’illecito e quindi l’irregolare e il clandestino. Quest’ultimo diventa una pedina ricattabile, all’interno di una società che sfrutta il suo status minoritario e di illegalità per i propri semplicistici scopi. Ergo salari a basso reddito, lavori precari, sfruttamento sessuale, criminalità, sono il prezzo da pagare per la sopravvivenza.

Diffidenti tra loro, gli Stati membri risultano inadeguati ad affrontare il problema dei rifugiati e uno degli aspetti più evidenti dell’irrigidimento delle politiche migratorie è la costruzione di muri e barriere fra gli Stati. Se la caduta del muro di Berlino segna l’inizio di una lenta distensione, oggi i paesi membri, protagonisti e pionieri di quel nuovo clima di fiducia, sgretolano uno dei capisaldi dell’Unione, la libertà di movimento, e lo fanno costruendo nuovi muri. Sotto la superficie di una fallace unità, l’Europa assiste inerme e atterrita alla cementificazione dei suoi confini.

Queste frontiere murate si trasformano spesso in fronti di guerra, protagonisti di scontri, ostilità e discriminazioni in una battaglia combattuta tra il Nord e il Sud, il ricco e il povero, il cittadino e gli irregolari. Una guerra in cui ci si inizia ad abituare al numero di morti, causa collaterale della war on wall.

Nei prossimi articoli cercheremo di analizzare alcune delle più effimere costruzioni di questo XXI secolo in Europa. Partendo dalle prime costruzioni in territorio europeo, quelle nell’enclaves di Ceuta e Melilla, analizzeremo l’isolamento a cui è stata sottoposta la Turchia tramite le costruzioni messe in atto da Grecia e Bulgaria, il muro ungherese al confine con la Serbia, per poi arrivare a Calais, da dove i migranti cercano di raggiungere il Regno Unito.

Martina Costa


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