La lenta agonia della prima repubblica
Le enumerazioni che sanciscono i cambi repubblicani sono totalmente sconosciute agli Italiani. Noi abbiamo una sola costituzione, approvata il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il primo gennaio 1948. Non c’è altro. Chi afferma altri passaggi repubblicani a causa di tangentopoli o del “Minotauro” di Mattarella è ampiamente fuori strada.
È necessario un concreto cambio per passare definitivamente alla seconda repubblica, non basterà il referendum di novembre. La carta costituzionale è il pilastro della nostra società assieme al codice civile che regola il rapporti umani all’interno dello Stato. Essa andrebbe adattata ai nostri giorni. Perché? Le condizioni storiche, sociali e politiche sono ampiamente cambiate nel corso dei decenni. I governi che si sono succeduti dagli anni ’90 ad oggi hanno fallito nel tentativo di cambiare la costituzione, sia per mancanza di volontà, sia per forti tensioni parlamentari. Molti sono convinti che cambiare la carta fondamentale del ’48 sia un sacrilegio mortale… allora i francesi sono pazzi? No, essi hanno invece compreso che il cambiamento è prioritario. Il 28 settembre 1958 la Francia ha votato per il cambio costituzionale, effettuando il passaggio alla quinta repubblica. L’impotenza dei governi, l’immobilismo parlamentare ed il folle ostruzionismo partitico portarono il presidente De Gaulle a chiedere il referendum. Attenzione, non tutto venne modificato. Il preambolo della costituzione del 1946 resta a tutt’oggi in vigore. Diceva Mirabeau ai tempi della rivoluzione francese “Solo gli stolti non cambiano opinione!”. Cosa abbiamo in meno rispetto ai francesi? Nulla, dobbiamo prendere innanzitutto coscienza del cambiamento. Comprendere la delicata fase storica e richiedere un vero referendum. È possibile anche per noi mantenere parte degli articoli della carta del 1948.
La prima parte che include i principi fondamentali ed i diritti civili e politici (art.1-54) non necessita di modifiche, ma per ciò che riguarda il riassetto dei poteri nella seconda parte (art.55-139) si può valutare una concreta modifica. Certo, ricordare il perché di questo frazionamento operato dall’assemblea costituente nel 1947 è doveroso, ma il fascismo è morto il 25 luglio 1943 con l’ordine di Dino Grandi. Oggi siamo nel 2016, non ci sono più rischi ed inoltre ci sono organi sovranazionali che sorvegliano il nostro operato. Rivalutare il ruolo dell’esecutivo per formare governi più solidi non è opera del demonio. Il dibattito sul riequilibrio dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario non può essere approfondito in questa sede a causa della mole immensa sul tema. Verrà trattato in un apposito approfondimento. Sicuramente il referendum a cui saremo chiamati a votare non ci darà un cambiamento netto, ma potrebbe essere almeno un inizio.
Indro Montanelli, uno dei più grandi giornalisti della storia italiana, paragonava la prima repubblica italiana a quella di Weimar in Germania nata dopo la prima guerra mondiale. Molto spesso, le decisioni dei governi tedeschi di quei tempi erano modificate a causa del potere di ricatto esercitato dai partiti di minoranza all’interno della coalizione; una situazione non tanto dissimile dalla nostra. È di fondamentale importanza capire perché abbiamo bisogno di una svolta. La crisi economica, le deboli politiche attuate dal governo Renzi, la disoccupazione ed il caos parlamentare degli ultimi 5 anni stanno pesantemente frenando la nostra ripresa. Abbiamo grandi risorse e non siamo coscienti del nostro potenziale. Purtroppo la corruzione, la pressione fiscale e la burocrazia non aiutano la società, ma se fosse anche la politica a dare un primo messaggio concreto, la reazione potrebbe riattivare un meccanismo efficiente che andrebbe solo controllato e regolato. La lenta agonia della prima repubblica è al termine? Potremo finalmente parlare di “seconda repubblica?” La risposta risiede in noi e nella nostra classe dirigente. Lascio che sia il grande Petrarca a farci comprendere quanto sia prezioso il nostro Paese:
“Vertú contra furore prenderà l’arme, et fia ‘l combatter corto ché l’antiquo valore ne gli italici cor’ non è anchor morto.”
Valentino Billeci