Lo scandalo “Panama Papers”

Mentre i cittadini Europei e non continuano ad essere vessati da un fisco sempre più oppressivo e da regole sempre più invasive come quelle sulla trasparenza bancaria e sull’anti-riciclaggio, l’opinione pubblica mondiale, dalla Cina alla Russia, dall’Europa agli Stati Uniti, sembra essere fortemente scossa dal caso Panama Papers, nonché l’insieme di documenti relativi a circa 214 mila società e 14 mila clienti, mediante i quali è possibile risalire ai titolari delle società che hanno collocato i loro investimenti in uno dei paradisi fiscali per eccellenza.

Tali documenti, arrivati alla redazione del quotidiano tedesco “Suddeutsche Zeitung”, per mano di una fonte anonima e successivamente condivisi con l’ICIJ (un consorzio internazionale di giornalismo investigativo), svelano tutti gli investimenti in società offshore localizzate in paradisi fiscali da parte di numerosi Presidenti mondiali e non solo. 

Nel mirino vi è l’operato della Mossack Fonseca dal 1997, anno della sua fondazione, fino alla primavera del 2015. Mossack Fonseca, conosciuto anche come Mossfon, è uno studio legale con sede a Panama, creato nel 1977 da Jurgen Mossack, la cui funzione consiste nel cercare le migliori possibilità di investimento, creando e gestendo per conto dei suoi clienti società con sede in paesi considerati paradisi fiscali.

Considerata dal Guardian la quarta società al mondo per la gestione di società con sede in paradisi fiscali, Mossack Fonseca offre consulenza legale per attività di tipo societario e dispone di circa 14 mila società con sede nelle Seychelles, nelle Isole Vergini, in Svizzera e in Inghilterra. 

Uno scandalo dalle ingenti dimensioni su cui hanno lavorato più di 300 reporter del consorzio internazionale di giornalismo investigativo e portato alla luce in Italia dal settimanale L’espresso, che rischia di compromettere tanto la stabilità di numerosi governi quanto la tenuta di numerosi progetti europei che, cavalcando l’onda del dilagante malcontento, sembrano stare rimpiazzando i vecchi partiti tradizionali.

La notizia sembra già sortire i primi effetti e pochi esempi bastano a chiarire ogni dubbio. Si pensi alla crisi di governo che sta investendo il governo islandese con a capo il Primo Ministro Sigmundur Gunnlaugsson, al coinvolgimento dei più ristretti membri dell’entourage politico di Marine Le Pen, leader del Front National Francese, e al ricorso alla censura cinese per celare gli imbrogli del cognato dell’attuale premier cinese.

Questa volta, gli artefici di ingenti trasferimenti di denaro all’estero non sono singoli cittadini privati, bensì soggetti politicamente sensibili. La lista è abbastanza lunga, ma si segnalano almeno 12 leader mondiali. Ai precedenti si aggiungono alcuni stretti collaboratori del Presidente russo, Vladimir Putin, dell’attuale Presidente Cinese, Xi Jinping, il Presidente argentino, Mauricio Macri, stretti collaboratori del Premier pakistano, Nawaz Sharif, e del Presidente dell’Azerbaijan, Iiham Aliyev. A questi si aggiunge il Primo ministro inglese, David Cameron, e numerose celebrità del mondo dello spettacolo, della Formula 1 e dell’imprenditoria.

L’8 aprile, l’Espresso, in seguito a numerosi studi circa la veridicità dei documenti ottenuti, ha pubblicato i primi cento nomi sugli 800 disponibili degli italiani coinvolti nel caso Panama Papers. Per lo più imprenditori, uomini di affari come Luca Cordero di Montezemolo, ma anche attori e presentatori tv quali Carlo Verdone e Barbara D’Urso.

Si tratta, come più volte affermato da diverse testate giornalistiche mondiali, del più grosso scandalo finanziario mai successo e che, con una quantità abnorme di dati disponibili, rischia di avere effetti di gran lunga più destabilizzanti del caso Wikileaks risalente al 2010 e dei documenti pubblicati da Snowden nel 2013 sulla NSA.

La bufera non ha tardato a colpire i territori dei due nemici storici, la Russia e gli Usa, rischiando di compromettere in quest’ultimo caso lo scorrere sereno della corsa presidenziale verso Washington. In territorio russo, su cui aleggia l’idea di un complotto statunitense contro il governo, ad essere coinvolto pare sia uno dei più stretti collaboratori di Vladimir Putin.

Il suo nome è Sergei Roldugin, musicista russo e padrino della Figlia del Presidente Russo, già socio di minoranza di una azienda russa produttrice di camion e detentore del 3.2% di Bank Rossiya, la banca clientelare di Putin, che negli anni avrebbe acquisito beni per cento milioni di dollari. Negli Usa, l’imbarazzo coinvolge John Podesta, capo della campagna elettorale di Hillary Clinton e già ex capo di gabinetto del Presidente Bill Clinton e consigliere di Barack Obama.

Nonostante nell’immaginario collettivo i termini paradiso fiscale e società offshore risultino essere immediatamente assimilati all’evasione fiscale e alla esigenza di riciclare denaro proveniente da attività illecite, per onestà intellettuale occorre sottolineare che l’apertura e la gestione di società offshore non costituisce obbligatoriamente un fatto illecito, purché la suddetta società, così come la somma di denaro, vengano dichiarate alle autorità competenti del paese di residenza.

Di conseguenza, malgrado un documento diffuso secondo cui il 95% delle transazioni poste in essere abbiano uno stretto collegamento con l’evasione fiscale e fermo restando il dubbio di lecita provenienza sull’innocuo impiego di tali investimenti, occorre attendere che l’amministrazione finanziaria compia i dovuti accertamenti in seguito all’approfondimento caso per caso al fine di indagare sull’eventuale dichiarazione o meno delle suddette società.

D’altro canto, lo studio Mossack Fonseca corre ai ripari sbandierando al mondo intero le proprie ragioni. Dopo la reazione a caldo che li ha condotti a parlare di un attacco e di un crimine contro Panama, ha subito ribadito che le aziende da essa gestite hanno sempre operato nella massima legalità e che non hanno mai perseguito obiettivi connessi all’evasione fiscale, al riciclaggio o ad altre attività illecite.