La favola della quarantena

 

Per “Lettera Q“, le testimonianze da un mondo in quarantena per l’emergenza coronavirus, pubblicate da Eco Internazionale ogni domenica.


La pandemia da Covid-19 ha allungato le distanze tra tutte quelle coppie già separate. La storia di due fanciulli qualunque, due fanciulli senza nome, racconta il gusto amaro ma, senz’altro, profondo della distanza.

Smarriti in una foresta, non avevano ancora perso il sorriso e la positività, nonostante fossero coscienti dei pericoli che li attendevano. Quattro alti colli li avrebbero portati dalla parte opposta della perdizione, quel luogo che può essere facilmente un attimo e diventare perfino l’eterno. I due fanciulli avevano un solo grande obiettivo: riuscire a vedere il tramonto insieme, oltre la foresta. Quest’ultima era divisa da quattro alti colli, ognuno dei quali con un pericolo diverso.

Il primo colle si apriva con un sentiero spianato, evidentemente già attraversato da tante persone prima di loro. Non mostrava avesse pericoli evidenti, nessun serpente, pipistrello o bestia di alcun tipo. Era un colle perfetto da scalare: dalla vetta, a metà strada, si poteva scorgere il mare cristallino fare da cornice al tramonto tanto atteso. Era il colle della finzione, della falsità e della superficialità. Questo colle portava facilmente ad ammirare il tramonto, un tramonto ben presto raggiunto da nuvole, vento e pioggia. E lì sembrò svanire tutto.

Il secondo colle era fitto di vegetazione e buio, tanto da rendere necessaria una torcia, che i due fanciulli non avevano. Sin da subito capirono qual era il pericolo di questo monte. Tanti animali selvaggi: serpenti, pipistrelli, coccodrilli ed anche dinosauri. Un colle quasi del tutto inesplorato, proprio a causa dei pericoli che vi si trovano. Nella scelta del “vivo io o vivi tu”, i due fanciulli scartarono la possibilità di scalarlo. Non volevano essere assassini, e non volevano neanche disturbare quelle creature nel proprio habitat o maltrattarle per fini personali. Decisero dunque di andare avanti.

Giunsero allora al terzo colle. Qui furono accolti da grida e pianti. Inizialmente non capirono cosa fossero quei lamenti e allora spinti dalla volontà di aiutare, si addentrarono. Era il colle delle paure. Qualcuno ci vedeva la guerra, altri la morte dei propri cari, altri ancora semplicemente dei topi.

Arrivarono d’un tratto al quarto colle. Era il monte dell’incertezza e della distanza. Diviso da due sentieri che proseguivano in direzioni opposte, i due fanciulli si chiesero se avrebbe portato entrambi al tramonto. Come avrebbero potuto scoprirlo? Decisero allora di dividersi perché, anche se per raggiungere lo stesso obiettivo, pensarono che ognuno avrebbe avuto modi diversi di affrontarlo e viverlo. Pensarono che avrebbero condiviso il fine ma che ognuno di loro si sarebbe reso protagonista del proprio destino. Credettero però in quel tramonto. Erano sicuri che quella sarebbe stata la scelta giusta e che, non importava quando, un giorno li avrebbe fatti ricongiungere.

Partirono con la promessa di aspettarsi non appena i due sentieri si sarebbero incrociati, di rispettare l’uno i tempi dell’altro e di non superare quel limite che si erano imposti: fare il cammino da soli. Durante il cammino durato quasi sette giorni, si confrontarono con i loro limiti più grandi. La solitudine, la tristezza, la fame e la rabbia per essersi divisi. Anche se, a tratti, quasi pentiti della scelta fatta, animati dall’amore per l’altro, non perdettero mai la fede nell’incontrarsi.

Finalmente i due sentieri si incrociarono. Incredulo, il fanciullo vide una lettera. La iniziò a leggere: era la lettera che la fanciulla gli aveva lasciato. Lì vi trovò i suoi sentimenti, le sue avventure, gli animali che aveva incontrato, gli incubi che aveva fatto, la fame che aveva patito e i posti inesplorati che aveva visto. Nella lettera la fanciulla gli raccontava che aver creduto in sé stessa le permise di poter credere veramente al loro incontro. E che era felice, felice anche solo di saperlo felice. La fanciulla si firmava e in un post-scriptum gli comunicava l’albero in cui si sarebbe poggiata per riposare. Il fanciullo la trovò e la svegliò con un forte abbraccio e assieme andarono per l’ultimo giorno di cammino.

A differenza degli altri tre monti, l’ultimo risultò particolarmente lungo, lento e solitario. Era il monte in cui tutto poteva trasformarsi in pericolo, se così lo si vuol vedere. Era il monte necessario per apprezzare il gusto speciale della distanza perché, in fondo, è nei cuori che si è vicini.

Tutto ciò voleva forse dirci qualcosa. Non era poi tanto il tramonto ciò che li avrebbe uniti, ma il tragitto che avevano percorso per raggiungerlo. Che la tristezza della distanza si azzerava davanti al desiderio di potersi presto rincontrare. Che la bellezza dei risultati sta nella perseveranza che ci si mette per ottenerli, nella speranza di vederli un giorno realizzati, nell’aver creduto che se anche difficili per la mente da ideare, la passione sarebbe riuscita a concretizzarli.

A tutte le coppie divise nei corpi ma unite nei cuori.