Afghanistan, l’accordo fra Usa e talebani è il primo passo, ma la pace è ancora lontana

Un primo passo verso la pace dopo quasi un ventennio di conflitto: così è stato definito l’accordo di pace firmato il 29 febbraio a Doha, in Qatar, fra rappresentanti degli Stati Uniti e dei talebani. L’accordo include una tabella di marcia per il ritiro delle forze armate americane e della NATO dall’Afghanistan, secondo alcune fonti da completarsi entro 14 mesi. In cambio, i talebani si impegnano a rispettare una serie di condizioni – fra cui la promessa di respingere Al-Qaeda e altri gruppi terroristi, fra cui lo Stato Islamico – e a dialogare con il governo afghano del ri-eletto presidente Ashraf Ghani.

Per i sostenitori di questo accordo, firmato alla fine di un lungo anno di dialoghi frammentati, si tratta di un importante primo passo verso la pace. Di segnali positivi ce ne sono. L’Afghanistan è arrivato alla firma dopo una tregua parziale di sette giorni, la seconda in 19 anni di conflitto. «Se i talebani rispetteranno l’accordo» ha dichiarato Mark Esper, Segretario americano alla Difesa «gli Stati Uniti avvieranno un ritiro condizionato delle forze, e ripeto condizionato».

I dubbi sull’effettivo esito dell’accordo non mancano. I talebani hanno già – al 2 di marzo – annunciato la fine della tregua e la ripresa delle “operazioni afghane”.

I dialoghi con Kabul, che dovrebbero iniziare a 10 giorni dalla firma dell’accordo con Washington, non saranno facili. Gli esperti sottolineano che nella capitale c’è molto scetticismo verso la sincerità dell’impegno degli insorgenti e la loro effettiva capacità di controllare le varie cellule estremiste. Senza contare che, come ben sottolinea Giuliano Battiston dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, i talebani arriveranno al tavolo dei negoziati con Kabul – governo da loro mai riconosciuto e considerato un fantoccio americano – in una posizione di forza data dalla legittimazione politica di Washington.

Intanto, talebani e statunitensi cantano vittoria. Per il presidente Trump – ben intenzionato a capitalizzare questo risultato in vista delle elezioni di novembre – gli USA hanno avuto un «incredibile successo in Afghanistan». I talebani non sono proprio della stessa opinione. «Non c’è dubbio che abbiamo vinto la guerra» ha dichiarato Abbas Stanikzai, capo negoziatore talebano. «Per questo stanno firmando un trattato di pace».

A ciò si aggiunge la situazione politica dell’Afghanistan, tutt’altro che stabile. Il nuovo governo di Ghani – confermato vincitore delle elezioni dello scorso settembre solo il mese scorso – è al centro di dure contestazioni. Il principale rivale, Abdullah Abdullah, denuncia brogli elettorali e minaccia di stabilire un governo parallelo.

Da parte sua, Ghani ha accolto con favore l’accordo, ma non ha mancato – il giorno successivo alla firma – di sollevare dei paletti su alcuni punti. Uno su tutti: la promessa di liberare 5.000 prigionieri talebani. «Non c’è alcun impegno a rilasciare 5.000 prigionieri» avrebbe detto Ghani, specificando che un simile passo può essere deciso solo dagli afghani. «Può essere incluso in un piano di dialoghi intra-afghani, ma non può essere un prerequisito ai dialoghi».

La popolazione afghana ha reagito per lo più con scetticismo, se non timore. Gruppetti di persone si erano raccolti in dei bar per guardare la diretta della firma, accolta nel silenzio. La paura è di perdere quei diritti faticosamente ottenuti, che l’accordo non sia che una resa ben travestita, un preludio al ritorno al potere dei talebani. «Oggi è una giornata buia» ha dichiarato l’attivista afghana Zahra Hussaini, 28 anni, all’Agence France Presse. «Mentre guardavo la firma dell’accordo, avevo questa brutta sensazione che si trattasse più di un ritorno al potere che alla pace».

Sono timori non privi di fondamento. Quando i talebani presero il potere nel 1996 imposero una radicale interpretazione della sharia, impedendo alle donne di studiare, chiudendo le scuole femminili e vietando la musica e le altre forme di intrattenimento. Non aiuta che il gruppo insorgente respinga l’attuale costituzione afghana senza precisare cosa la dovrebbe sostituire e poco rassicurano, in questo senso, le numerose dichiarazioni di non volere il monopolio politico del Paese.

L’accordo fra talebani e Washington appare quindi come un primo passo, per certi versi necessario. Forse l’unico possibile, dopo quasi 20 anni di conflitto. Tuttavia, il percorso che lo seguirà è ancora lungo, incerto e senza dubbio accidentato.


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