L’Europa bifronte

Nel pomeriggio di giovedì 12 marzo è stata rilasciata, con eccessiva disinvoltura, in conferenza stampa da Christine Lagarde, attuale Presidente dell’Eurotower, una dichiarazione esplosiva: «Noi non siamo qui per ridurre gli spread. Non è questa la funzione né la missione della BCE. Ci sono altri strumenti ed altri attori deputati a questa funzione». Dopo tale affermazione, resa intorno alle 15:00, sono letteralmente crollati i mercati, con picchi mai visti.

Ad avere la peggio, però, sono state le borse dell’area euro. Milano ha perso il 16,9%, Madrid il 13,2%, Francoforte il 12,2%, Parigi l’11,3%. Non molto meglio sono andate le piazze finanziarie straniere, che hanno chiuso dopo le dichiarazioni della Lagarde: Londra ha perso il 9,8%, New York il 10%. Il differenziale fra il decennale italiano e quello tedesco ha sfondato quota 260 punti e anche i differenziali dei vecchi PIGS (acronimo che indica Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) hanno visto un netto peggioramento. La tempesta ha coinvolto anche il differenziale francese.

Le posizioni espresse dalla Presidente della BCE non sono, come sembrano pensare in molti, figlie di un errore, di una “gaffe”: esse sottintendono un cambio di posizione della Banca Centrale al quale assisteremo nei prossimi mesi. Gli equilibri nell’Eurotower sono cambiati, la Presidente si appoggia adesso ai cosiddetti “falchi” e ne esprime la posizione.

Non è un caso che le esatte parole della Lagarde siano state dette in precedenza da uno dei rappresentanti tedeschi nel Board della BCE, Isabel Schnabel, considerata un “falco moderato”. Questo sta a indicare che molto probabilmente bisognerà aspettarsi un interventismo molto ridotto da parte della principale istituzione federale europea, con effetti che potrebbero essere gravi. La stagione del “whatever it takes” di Mario Draghi è tramontata, come ha sottolineato a inizio conferenza stampa la stessa Lagarde.

I fondamenti teorici alla base del cambio di impostazione sono quantomeno problematici. Nel tentativo di stimolare l’economia europea e schiodarla dalla deflazione cui sembra saldamente ancorata, la BCE a guida Draghi ha inondato il mercato di liquidità. Anche se non ha ottenuto i risultati sperati, questo perché il “cavallo non vuole bere”, quantomeno ha fermato il peggioramento della situazione e l’avvitarsi definitivo dell’eurozona in una deflazione più profonda. Nell’agire in questo modo la BCE ha dato fiato alle economie più dissestate dell’area concedendo tempo e ossigeno.

I critici di questo approccio ne sottolineano le distorsioni: il crollo della redditività bancaria, in particolare di quella della vecchia area del marco (non è un caso che Deutsche Bank continua a non essere in grado di risollevarsi) e la fine della funzione disciplinante dei mercati che avrebbero dovuto “bastonare” i paesi coi conti in disordine costringendoli ad applicare nuova austerità. La nuova Presidente sembra condividere le posizioni dei critici e questo è stato evidente nelle misure prese nella giornata di giovedì.

Cosa ha deciso la BCE giovedì? Sostanzialmente, ha lasciato invariati i tassi di interesse e ha approvato uno stimolo di 120 mld l’anno in nuova liquidità. Queste misure non sono bastate ai mercati che hanno potuto confrontare le misure europee con quelle dei principali competitori. La Federal Reserve negli Stati Uniti ha approvato misure molto più pesanti, tagliando i tassi di interesse di mezzo punto e stanziando uno stimolo per l’economia di 1500 mld l’anno.

Come se non fossero bastate queste misure, ha ulteriormente ridotto, nella nottata di domenica (a mercati chiusi), il tasso di interesse di un punto, portandolo ai minimi e messo in campo un bazooka da acquisto titoli di 700 mld annui. Anche la Banca d’Inghilterra ha messo in campo misure più forti, riducendo anch’essa di mezzo punto il tasso d’interesse (fissandolo al minimo storico) e concedendo alle banche residenti di utilizzare il proprio cuscinetto di rischio per stimolare l’economia.

Anche la Banca centrale cinese ha abbassato le riserve richieste agli istituti di credito, rendendo disponibili oltre 550 mld di remimbi (78 mld di dollari) e contemporaneamente variando la natura di alcuni crediti deteriorati verso livelli superiori, espandendo le possibilità di credito per il mercato. La Banca centrale canadese ha tagliato i tassi dello 0,75%. Alla luce di queste misure, i mercati si aspettavano dalla BCE un intervento più incisivo, con una riduzione anche minima dei tassi di interesse e l’utilizzo di un bazooka “alla Draghi”, quindi dell’ordine di 60-80 mld di stimolo al mese. Anche la pochezza di questo stimolo spiega il crollo delle piazze finanziarie.

Dopo le frasi fuori luogo della Lagarde, sono arrivate le rettifiche da parte sia della BCE che delle Istituzioni europee. La prima si è espressa per bocca del suo capo economista, Philip Lane, uno degli uomini più vicini a Mario Draghi, che ha rilasciato una dichiarazione importante nel blog della Banca Centrale: «Siamo pronti a fare di più e ad adottare tutti i nostri strumenti, se necessario, per garantire che gli elevati spread che vediamo in risposta all’accelerazione della diffusione del coronavirus, non mettano a rischio la trasmissione della nostra politica monetaria in tutti i Paesi della zona euro».

Nella sua dichiarazione, Lane ha sottolineato come il quantitative easing sia una misura flessibile: può essere usata se le condizioni lo rendono necessario per concentrare gli acquisti su un singolo bond nazionale. Questo tipo di azione sarebbe del tutto nuova e rivoluzionaria, quasi una pietra tombale sulla no bail out clause dei Trattati dell’Unione Europea e dello Statuto della BCE: “This means that there can be temporary fluctuations in the distribution of purchase flows both across asset classes and across countries in response to “flight to safety” shocks and liquidity shocks”.

Dopo aver rassicurato i mercati dei titoli di stato, con lo spread fra i titoli dei paesi periferici e il bund tedesco che è immediatamente sceso, Lane è intervenuto con specifico riguardo agli strumenti ancora in mano alla BCE per stimolare l’economia europea: «Il consiglio direttivo mantiene l’opzione di futuri tagli dei tassi, se giustificati da un inasprimento delle condizioni finanziarie o da una minaccia al target di inflazione a medio termine».

I mercati hanno subito reagito alla dichiarazione, rimbalzando e chiudendo in netto rialzo, seppur non riuscendo a coprire interamente le perdite del giovedì. Altre dichiarazioni rassicuranti sono arrivate da Fabio Panetta, membro del Board della BCE, che ha sottolineato come l’Eurotower abbia stanziato oltre 3000 mld di liquidità aggiuntiva per il settore bancario, a patto che questi liquidi fossero destinati all’economia reale.

Dichiarazioni di forte sostegno sono arrivate al nostro Paese da parte della Commissione europea. La Presidente, Ursula Von der Leyen, ha assicurato il suo forte sostegno all’Italia e ha promesso diverse misure. La principale prevede l’attivazione della “clausola della crisi generale” che è stata approvata nella riunione dell’Eurogruppo di lunedì. Alla base di questa decisione, vi sarebbe una stima fatta dai tecnici di una recessione dell’Eurozona di un punto percentuale. L’attivazione della clausola permetterebbe che tutte le misure una tantum prese per contrastare l’epidemia siano scomputate dal conto del rapporto deficit/Pil: questo darebbe ulteriori margini di manovra al nostro Governo per ulteriore spesa.

La Presidente ha, inoltre, sbloccato 35 mld di avanzi di finanziamento, spostandoli verso il sostegno ai Paesi in difficoltà. Infine, ha tuonato fortemente contro le misure di blocco di forniture mediche messe in campo in particolare da Francia e Germania, minacciando l’apertura di una procedura d’infrazione contro questi Stati. Questa presa di posizione sembra avere avuto effetto sbloccando la circolazione del materiale sanitario, in particolare verso il nostro Paese. L’Eurogruppo ha approvato tutte le misure prese dalla Commissione e in particolare sia l’applicazione della clausola sulla crisi generale.

Nonostante tutte le misure di stimolo fiscale e monetario, i mercati finanziari continuano a essere trascinati al ribasso dai numeri provenienti dall’economia reale, col picco di Wall Street che ha segnato, nella giornata di ieri, il peggiore risultato dal 1987, -13%, nell’indice Dow Jones. I dati provenienti dalla Cina su vendite al dettaglio e produzione industriale hanno segnato numeri devastanti: -20,5% la prima, -13,5% la seconda.

Questi numeri hanno reso evidente come la chiusura anche solo di una parte del Dragone abbia affondato l’economia: il timore è che il blocco del continente europeo e statunitense possano avere effetti ben peggiori, ben oltre il -1% indicato per l’Unione e di circa il -3% per gli Usa, secondo la stima fatta da Bloomberg.

In conclusione, tornando al continente europeo, quello che si può osservare è come le Istituzioni europee si muovano senza un coordinamento interno. Mentre la Commissione e l’Eurogruppo spingono nel tentativo di sostenere i Paesi in difficoltà, ma col problema di avere scarsi poteri reali di condizionamento (in particolare la Commissione), la Banca centrale sembra volersi ritrarre dal suo ruolo, decidendo di non usare “la cassetta degli attrezzi” lasciata da Mario Draghi.

Addirittura quanto visto da parte dell’Eurotower è stato uno spettacolo indecoroso, col tentativo dei tecnici di spegnere l’incendio causato da una Presidente che appare appiattita sull’asse tedesco in modo ideologico, senza alcuna considerazione delle condizioni socioeconomiche del continente, in una sorta di replay di quanto fatto dal predecessore Trichet che, in piena crisi finanziaria, alzava i tassi per limitare le spinte inflazioniste. Una Presidente probabilmente inadatta al ruolo che ricopre data la tempesta che si sta abbattendo sull’economia continentale e mondiale. Andiamo incontro a uno scenario con numeri da dopoguerra: ci servono statisti di alto calibro per contrastarli.


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