Quando Gino Bartali evitò la guerra civile
L’Italia del 1948 è un Paese più spaccato che mai. Superate le rivalità post 8 settembre ’43 che avevano dilaniato la penisola in una guerra fratricida ed oltrepassato il bivio istituzionale col referendum del 2 giugno ’46, gli italiani si ritrovano nuovamente divisi. La rivalità politica moderna riflette due visioni del mondo, ben inquadrate nello scenario della Guerra Fredda. Da un lato la Democrazia Cristiana, dall’altro il neonato Fronte Democratico Popolare costituito da socialisti e comunisti; è l’Italia di Alcide De Gasperi e di Palmiro Togliatti.
Le prime elezioni politiche della nostra storia repubblicana si tengono il 18 marzo 1948, fra le pressioni delle nuove superpotenze (statunitense e sovietica) ed una tensione sempre più crescente. I risultati elettorali segnano una schiacciante vittoria della DC (48,5% dei suffragi) sul Fronte (31%): Alcide De Gasperi viene nominato capo del Governo. Le forti inquietudini che avevano caratterizzato l’aspra campagna elettorale non sono sopite ed esplodono alle 11,30 del 14 luglio, quando Antonio Pallante, giovane siciliano legato agli ambienti dell’estrema destra, attenta alla vita di Togliatti, in piazza Montecitorio a Roma, ferendolo gravemente. In diverse zone industriali scoppiano tumulti e rivolte, saltano le comunicazioni radio, la CGIL proclama lo sciopero generale ed il ministro dell’Interno Mario Scelba ordina repressioni spesso sanguinose nei confronti delle manifestazioni non autorizzate. L’Italia si ritrova ancora una volta sull’orlo della guerra civile! Tuttavia, i massimi dirigenti del partito comunista italiano, in primis lo stesso Togliatti, la cui operazione chirurgica va a buon fine, invitano alla calma, rifiutandosi di cavalcare l’onda della protesta.
In questo contesto storico, la delegazione italiana aveva da poco iniziato il Tour de France, priva di due atleti importanti quali Fausto Coppi e Fiorenzo Magni. La squadra, diretta dal leggendario Alfredo Binda, punta tutto sul trentaquattrenne Gino Bartali, che ben pochi considerano in grado di ripetere l’impresa del Tour 1938. Non è facile per gli italiani presentarsi Oltralpe. La “pugnalata alla schiena” inflitta dal Regio Esercito all’Armée de Terre soltanto otto anni prima ha lasciato un profondo squarcio, soprattutto morale, che verrà suturato con grande fatica nel corso degli anni. Di conseguenza i nostri corridori non sono propriamente i benvenuti, e più di una volta vengono fatti oggetto di insulti ed invettive.
La Grande Boucle, scattata il 30 giugno, ha nel bretone Louison Bobet il ciclista favorito. Impostosi a Biarritz e Cannes, conquista sin dalla sesta tappa la maglia gialla con la ferma intenzione di tenerla fino a Parigi; il distacco accusato da Bartali è superiore ai 20’ già a metà corsa ! Buona parte dei giornalisti e dei fotografi italiani fanno rientro in patria, sia perché per i nostri corridori non sembrano più esserci speranze di successo sia per le notizie provenienti dall’Italia a seguito dell’attentato a Togliatti.
Il 14 luglio la corsa osserva un giorno di riposo in coincidenza della festa nazionale francese. In serata il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi telefona ai corridori italiani, pregando Bartali di vincere “perché qua c’è una grande confusione”. Tra lo scoramento per gli scarsi risultati ottenuti, la paura per le vicende italiane e la voglia di rivalsa nei confronti di quanti lo considerano ormai a fine carriera, il Ginettaccio riparte confidando nelle tappe alpine per ribaltare la classifica.
La carovana si muove da Cannes verso Briançon, ad un passo dal confine con l’Italia. La tappa prevede le salite di Allos e di Vars e soprattutto il terribile col d’Izoard, un’ascesa di 16 km al 6,9% con scollinamento a 2361 metri. Sui tornanti di questa salita durissima, destinata ad entrare nella leggenda del ciclismo, l’atleta toscano stacca gli avversari, facendo il vuoto alle sue spalle. Al traguardo il capitano della squadra italiana precede di 6’18” Alberic Schotte e di 9’15” Fermo Camellini. La maglia gialla Louison Bobet è letteralmente crollata, accusando un ritardo di 19′ abbondanti. Con questa impresa Bartali riaccende le speranze di vittoria, piazzandosi adesso a soli 2’ dallo stesso Bobet.
Il 16 luglio è in programma un altro “tappone”: 263 km da Briançon ad Aix-les-Bains, con le salite del Galibier, Croix de Fer, Grand Coucheron e Granier. Bartali concede il bis, rifilando nuovamente grandi distacchi ai diretti rivali per la classifica generale: tappa vinta e maglia gialla conquistata! Il terzo successo di tappa consecutivo, ottenuto il 17 luglio sul traguardo di Losanna sigilla il trionfo di Bartali, ormai padrone della Grande Boucle.
Le gesta sportive sulle strade francesi tengono gli italiani incollati alle radioline ed unitamente ai ripetuti inviti alla calma da parte dei leader politici, creano un particolare mix che permette al nostro Paese di uscire gradualmente da una situazione drammatica: si fermano i ferocissimi scontri di piazza ed il rischio di una guerra civile viene scongiurato. I giornalisti, prima impietosamente critici nei confronti del ciclista fiorentino, ora lo incensano per le sue prodezze. La passerella conclusiva sui Campi Elisi di Parigi vede il trionfo dell’intramontabile campione italiano, capace di bissare il successo nella corsa a tappe a 10 anni di distanza. In classifica i distacchi inflitti agli avversari sono enormi: 26’16” per Alberic Schotte, 28’48” per Guy Laperbie, con Bobet giù dal podio ad oltre mezz’ora.
Quando il 25 luglio Bartali sale sul gradino più alto del podio parigino, la situazione nel nostro Paese si è definitivamente placata. L’intreccio politico-sportivo ha visto il Ginettaccio protagonista di un’impresa leggendaria dal doppio valore: ha vinto il Tour per salvare l’Italia, ha salvato l’Italia vincendo il Tour.
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