Sei mesi senza Silvia

 

 

Sei mesi fa la profonda Africa inghiottiva una ragazza che spariva nel nulla, apparentemente senza lasciare alcuna traccia. Silvia Romano, 23 anni, viene rapita il 20 novembre del 2018 a Chakama, a 80 km da Malindi, in Kenya: da allora, un silenzio assordante aleggia attorno a tutta la vicenda.

Silvia Romano è una cooperante italiana, che lavora per l’associazione di volontariato Africa Milele Onlus. È nata a Milano, dopo la laurea triennale in mediazione culturale prende una decisione importante, coraggiosa: partire per l’Africa. Lavora con i bambini, per i bambini, in un villaggio dimenticato da Dio, dove non arrivano i giornali, non si capta neanche il segnale radio; un villaggio rurale dove si vive di agricoltura, di baratto, e dove ci sono bambini, tanti. Ma in un villaggio dove l’aspettativa di vita è intorno ai 40 anni (50, nella più ottimistica delle ipotesi), questi bambini spesso restano soli, senza genitori, senza famiglia, senza una guida, e l’unica loro speranza sono i volontari, i cooperanti, i collaboratori delle tante ong che operano senza sosta sul territorio.

Silvia è una di loro. Una ragazza giovane, intraprendente, che decide di spendere la propria vita per i più deboli, gli ultimi, quelli che sembrano dimenticati dal mondo; quei bambini, che dovrebbero essere il futuro, e invece troppo spesso vengono inghiottiti da un presente indifferente e menefreghista.

Silvia vive in mezzo a loro, li stringe, con i suoi braccialetti, le sue collane e i suoi vestiti colorati, cerca di trasmettere loro quella gioia di vivere che si riflette nei suoi occhi e nel suo sorriso, che ormai ci è così familiare. Cerca di trasmettere qualcosa che da piccoli non si dovrebbe perdere mai: la speranza.

Dal 20 novembre scorso Silvia non può più fare tutto questo: è stata rapita, caricata in spalla e portata verso il fiume, da una banda di criminali. Chi sono? Perché l’hanno fatto? Ma soprattutto: dov’è Silvia, adesso?

Risposte che tardano ad arrivare. False notizie, depistaggi, reticenze ad affrontare l’argomento: si parla di Silvia in Somalia, notizia poi smentita; Silvia finita nel giro dei trafficanti di avorio; Silvia che avrebbe assistito a una violenza, ed è stata rapita per evitare che denunciasse. Quello che è certo, è che Chakama non è un villaggio di passaggio, e chi ha preso Silvia vi si è recato con il precipuo intento di sequestrarla.

Ad oggi la procura di Roma indaga per sequestro di persona per finalità di terrorismo e ha ottenuto l’invio di una rogatoria internazionale con la quale gli inquirenti chiedono agli omologhi kenyoti di poter condividere gli elementi di indagine acquisiti dalla magistratura locale, soprattutto le testimonianze e l’attività istruttoria successiva al sequestro. Secondo i Ros dei Carabinieri Silvia è ancora viva, ma bisogna agire in fretta, perché il tempo è prezioso.

Sembra, dunque, che l’ingranaggio stia continuando a girare, nonostante un’apparente indifferenza: dal trambusto dei giorni immediatamente successivi alla scomparsa, in cui giornali e televisioni hanno parlato di lei, ipotizzando addirittura una risoluzione fulminea del sequestro, si è passati a una sorta di assopimento, interrotto giusto sporadicamente da qualche notizia sempre incerta e fumosa. La sensazione potrebbe sembrare quella, terribile, che l’Italia e non solo si sia scordata di lei: perché troppo spesso si dà più risalto a celebrare i connazionali morti, che non a lottare per quelli ancora in vita.

Ma, per una volta, la sensazione è errata: non tutti si sono dimenticati di questa giovane ragazza sorridente che abbraccia i bimbi africani; nessuno può, nessuno deve, dimenticarla. Perché Silvia è nelle pagine social dedicate a lei, che mobilitano un circolo virtuoso, ancorché virtuale, che serve a mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica su di lei; è in tutti gli striscioni che recitano “Silvia libera”; è nel “girotondo” organizzato nel suo quartiere a Milano, proprio in occasione dei sei mesi dalla scomparsa; è nell’attività silenziosa di tutti i volontari, i cooperanti, che continuano a lavorare; è nella prima pagina del sito di Africa Milele Onlus, dove si legge: «Con tanta speranza, continuiamo ad aspettarti».

Sì, anche noi ti aspettiamo, Silvia. Sebbene ci dicano che siamo la generazione dei bamboccioni, dei buoni a nulla, capricciosi, nullafacenti, comodisti; la generazione “sdraiata”, un tutt’uno con divani e poltrone, attaccati allo smartphone, al tablet, preoccupati solo a farci selfie adeguatamente filtrati prima di essere pubblicati sui social. Sebbene ci dicano che siamo disinteressati a tutto ciò che ci circonda, che non ci importa niente del clima, della politica, che non vogliamo lavorare, che non ci informiamo, non leggiamo, non studiamo. 

E mentre pensano a come rimproverarci, noi non ti dimentichiamo e ti aspettiamo. Perché tu rappresenti la parte migliore di noi; quella parte altruista, generosa, che non si gira dall’altro lato; quella parte che esce fuori dalla propria comfort zone, non per capriccio, ma perché ci crede davvero; quella parte che vuole cambiare questo mondo che si sta sgretolando davanti ai nostri occhi; quella parte che ancora non si rassegna, nonostante tutto. Tu ci credi, e noi ci crediamo con te.

Foto copertina presa da “Silvia Libera”