Il richiamo della foresta

Ad appena un mese dal suo insediamento, Bolsonaro ha firmato un ordine esecutivo che sottrae la gestione dei confini dei territori alle popolazioni indigene.


Di Francesco Puleo – Chi pensava che le uscite di Jair Bolsonaro fossero pura propaganda utile solo a spostare voti, dovrà ricredersi. Ad appena un mese dal suo insediamento, il nuovo presidente brasiliano ha già firmato una serie di ordini esecutivi che preparano il terreno alla realizzazione di alcune delle politiche annunciate durante la sua campagna elettorale.

Tra questi, il provvedimento che ha avuto un’eco maggiore a livello internazionale è quello che ha sottratto la gestione dei confini dei loro territori alle popolazioni indigene della foresta amazzonica, affidata al ministero dell’agricoltura guidato da Tereza Cristina. Ministro del governo uscente, Cristina è nota per avere approvato una legge a settembre dello scorso anno che ha reso più “flessibile” l’uso di pesticidi, andando incontro agli interessi delle lobby nazionali e internazionali dell’agribusiness.

Il provvedimento del 2 gennaio ha trasferito dalla Fondazione nazionale degli Indigeni (Fundaçao Nacional do Indio) al Ministero dell’Agricoltura la competenza dell’identificazione e della demarcazione dei territori che appartengono agli indios. La Fondazione (conosciuta anche come FUNAI) nacque nel 1967 in seguito a un’indagine interna al governo brasiliano dalla quale emersero accuse di abusi e massacri a carico dell’agenzia a quel tempo incaricata di facilitare l’integrazione con le comunità indigene (lo SPI, Serviço de Proteção ao Índio).

Da quell’inchiesta prese spunto un articolo del celebre reporter Norman Lewis del 1969, intitolato «Genocidio in Brasile»: quel giorno il mondo scoprì che 143 funzionari del governo brasiliano erano accusati di oltre mille crimini contro gli indigeni, con un bilancio agghiacciante di circa 6 milioni di morti.

In un contesto di espropriazioni e omicidi sistematici da parte di allevatori e agricoltori senza scrupoli, le attività di identificazione e demarcazione delle terre sono state il principale strumento di protezione di queste comunità, coerentemente con i principi sanciti dalla Costituzione democratica entrata in vigore nel 1988 dopo vent’anni di dittatura militare. Oggi tutto questo è rischio. «Nemmeno un centimetro quadrato in più agli indios», ha detto Bolsonaro.

bolsonaro

D’altronde, che il nuovo presidente cerchi un dialogo costruttivo con le comunità dell’Amazzonia per coniugare i loro interessi con quelli dei proprietari agricoli e con le esigenze dello sviluppo economico è quantomeno improbabile: celebre è la sua dichiarazione di alcuni anni fa secondo cui «l’indio, non parla la nostra lingua, è puzzolente – è il minimo che possa dire – e viene qui, senza la minima educazione, a fare lobby.»

E non sembra che Bolsonaro abbia cambiato idea, dal momento che appena due mesi fa ha pronunciato queste parole: «Nessuno vuole maltrattare l’indiano. Ora, vedi, in Bolivia abbiamo un indiano che è presidente. Perché in Brasile dobbiamo tenerli in riserva, come se fossero animali negli zoo?».

La guerra agli indios si inserisce in un contesto internazionale radicalmente cambiato rispetto a pochi anni fa. In concomitanza con l’elezione di Trump negli Stati Uniti, l’America Latina si è progressivamente spostata a destra, con l’eccezione del Messico di Lopez Obrador e della Bolivia di Evo Morales. In Venezuela, com’è noto a tutti, il governo di Nicolas Maduro sta attraversando una crisi senza precedenti.

In tutto il mondo, infine, assistiamo all’ascesa di forze sovraniste che intendono mettere in discussione il multilateralismo e la cooperazione internazionale in materia di commercio e non solo: il ritiro unilaterale del Brasile di Bolsonaro dal Patto globale per le migrazioni (il Global Compact) e il rifiuto di ospitare la Conferenza dell’ONU del 2019 sono un chiaro segnale in questa direzione.

Lo stesso si può dire di altre misure controverse approvate a gennaio dal governo: tra queste, il controllo e il coordinamento delle attività delle organizzazioni non governative. D’altronde il 12 ottobre, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali, Bolsonaro aveva detto: «Metteremo fine all’attivismo in Brasile». E dieci giorni dopo, riferendosi ai sostenitori di Lula e del PT, aveva aggiunto: «Questi fuorilegge rossi verranno banditi dalla nostra patria. Ci sarà una pulizia di quelle mai viste prima nella storia del Brasile». Dalle parole ai fatti?