Quando la guerra uccide anche senza combattere

Di Marco Cerniglia – Il 7 febbraio 2018, alla Camera dei Deputati, è stato presentato un
documento molto importante: la relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’utilizzo di amianto e di uranio impoverito nelle operazioni della Difesa.

Il rapporto finale sarebbe ricco di dettagli alquanto sconvolgenti: sarebbe stata riscontrata infatti una grave mancanza di norme e prassi sulla sicurezza e sulla salute dei militari e del personale civile in zone di guerra. I mezzi militari, ad esempio, risultano pieni di amianto, e ciò avrebbe causato 1.100 morti per patologie correlate a questo materiale solo nella Marina Militare.

Altrettanto grave il resoconto sull’uranio impoverito a cui sono stati esposti i soldati e il resto del personale: risaltano due specifici casi emersi nel corso dell’inchiesta, i cui atti acquisiti nelle rispettive audizioni sono stati poi trasmessi presso le procure della Repubblica competenti.

Il primo caso riguarda il militare Antonio Attianese, vittima di una patologia sorta in seguito della sua permanenza in Afghanistan, che avrebbe denunciato le minacce di alcuni superiori, e l’ostruzionismo riguardo al problema. Il secondo caso viene sollevato dal tenente colonnello medico Ennio Lettieri, che, come direttore dell’infermeria del Comando Kfor, avrebbe diretta testimonianza, durante la sua ultima missione in Kosovo, di una fornitura idrica altamente cancerogena destinata al contingente italiano.

La commissione, nella sua relazione finale, avrebbe citato anche il parere del professor Giorgio Trenta, presidente dell’Associazione italiana di radioprotezione medica, il quale, assieme ad altri esperti, avrebbe confermato la responsabilità dell’uranio impoverito nella formazione di tumori.

Il professore, in un secondo momento, affermerà che le sue parole sono state travisate; tuttavia Gian Piero Scanu, presidente della commissione, non accetta la nuova dichiarazione del professore. La perizia giurata, depositata presso la Corte dei Conti in Abruzzo, riporta parole ben diverse da quelle riferite in un secondo momento da Trenta; negando la responsabilità dei proiettili all’uranio impoverito di generare le nanopolveri causa di forme tumorali, il professore ritratta quanto riferito in un documento giurato depositato agli atti di un procedimento giudiziario.

Lo Stato Maggiore della Difesa rigetta ogni accusa di dolo e di disinteresse, anche a seguito delle dichiarazioni rilasciate dal professor Trenta. Viene anche ribadita «la più completa disponibilità alla collaborazione e l’assoluta trasparenza di tutte le loro attività».

«I vertici militari – continua la replica della Difesa – sentono come prima responsabilità e dovere quello di preservare e difendere la salute del proprio personale in ogni circostanza. Le Forze armate italiane mai hanno acquistato o impiegato munizionamento contenente uranio impoverito».

Ciò sarebbe stato confermato anche dalle commissioni tecnico-scientifiche ingaggiate dalle 4 Commissioni parlamentari che dal 2005 ad oggi hanno indagato su tale aspetto. «Ispezioni in siti militari, aree addestrative e poligoni, con decine di analisi di suoli e acque hanno escluso presenza di uranio impoverito da munizionamento; e spiace che tale dato oggettivo e inoppugnabile sia stato omesso nelle dichiarazioni pubbliche della Commissione».

Dalla commissione, poi, viene richiesto alla magistratura di operare sistematicamente a tutela dei militari. Rimane tuttavia la paura che l’attuale senso di impunità dei responsabili continui ad affermarsi, lasciando tutto senza una risoluzione.


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