Spiragli d’Europa da Londra. Conferme da Parigi

Lo abbiamo ripetuto più e più volte: dalle tornate elettorali del 2017, dall’Olanda alla Francia, passando per la Gran Bretagna e la Germania, sarebbe dipeso il futuro dell’Unione Europea così come la intendevamo. In attesa ancora del voto tedesco, con le elezioni politiche in Gb e le legislative in Francia, è possibile ormai giungere a una conclusione: l’euroscetticismo non avanza, non ha presa nello stato d’animo della gente. Di meriti veri e propri dell’Unione, obiettivamente, pochi. Semmai sarebbe più corretto parlare di mera resistenza trasversale (da destra a sinistra) delle forze politiche europeiste. E forse lo sarebbe ancora di più, parlare di inadeguatezza del fronte euroscettico.

È stato così, ad esempio, in Francia, dove Marine Le Pen non è riuscita a concretizzare il vantaggio avuto per mesi nei sondaggi presidenziali, favorendo il recupero e la conseguente vittoria al ballottaggio di Emmanuel Macron. E che a distanza di qualche settimana l’ha vista crollare al primo turno delle elezioni legislative di domenica. Evidenza di una crisi di rigetto post elettorale, soprattutto interna al Front National, di cui ad approfittarne è stato lo stesso Macron, che intravede adesso la maggioranza assoluta al Parlamento.

Ma la vera novità è giunta da Oltremanica, dove il voto dell’8 giugno sembra inquadrare una situazione differente rispetto a quella del post referendum del 23 giugno 2016. Dalla Brexit alla Brexit, a un anno di distanza quasi, il tema centrale dell’agenda politica europea resta sempre lo stesso. A cambiare, però potrebbero essere toni ed equilibri. Dal crollo di ogni certezza di poter tenere in piedi la baracca comunitaria alla speranza di poter avere ancora, forse, qualcosa da giocarsi nel tavolo delle trattative. Identificandoci con il volto dei diretti protagonisti: dal volto sconfitto di David Cameron, reo di aver sfidato la sorte referendaria a fini totalmente elettorale, alla faccia incredula di Theresa May, per aver perso nel giro di qualche mese il controllo di paese e partito in nome della sua hard Brexit.

In un anno, il panorama politico britannico sembra, quindi, totalmente cambiato. Non nella forma, visto che la May continuerà, presumibilmente, ad abitare le stanze di Downing Street 10. Ma, nella sostanza sì, eccome, visto che adesso la premier lo farà senza aver pieno controllo di quel Parlamento, di cui avrebbe desiderato una diversa composizione. Motivo? Aver strada libera, soprattutto dentro ai Tories, nell’attuazione dell’annunciata hard Brexit. Obiettivo non raggiunto, con la paradossale conseguenza di essersi pesantemente esposta ai “nemici” della fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Unione. Quelli interni, tanti, di cui la May si sarebbe volentieri sbarazzata, e da cui, invece, dovrà continuare a difendersi soprattutto per il controllo del partito. E in qualche modo quelli esterni, inquadrabili con i vertici comunitari, i quali adesso potrebbero, anzi dovrebbero sfruttare l’occasione per battere cassa sul tavolo delle trattative.

Mario Montalbano