I primi passi della Bosnia-Erzegovina verso l’Ue

Il territorio della Bosnia ed Erzegovina, nel cuore della regione balcanica occidentale, comprende la Bosnia nella parte settentrionale, ed a Sud l’Erzegovina; è stato da sempre caratterizzato dall’omogeneità etnica della popolazione, di origine slava ed accomunata dalla medesima lingua, contrapposta ad una differenziazione religiosa, data la compresenza di islamismo, cristianesimo ortodosso, cattolicesimo.

All’indipendenza del Medioevo, sono seguite la dominazione turco-ottomana durata dal sec. XV al 1878, quella asburgica per una quarantina d’anni fino al 1918, l’integrazione della regione nella monarchia serba di Belgrado, successivamente nello Stato croato negli anni della seconda guerra mondiale, e poi nella Iugoslavia federale dal 1945 al 1992, anno in cui è stata proclamata l’indipendenza.

Nello stesso anno, in concomitanza con il riconoscimento internazionale della Bosnia ed Erzegovina come Stato sovrano, tra le varie componenti nazionali e religiose del Paese è scoppiata una guerra alla quale hanno partecipato indirettamente i Paesi confinanti e che ha visto gli interventi dell’ONU, della NATO e poi l’azione degli Stati Uniti che ha imposto la cessazione del conflitto nel 1995. Con gli accordi di Dayton, firmati il 21 novembre 1995 e ratificati il mese dopo a Parigi, venne ridisegnato l’assetto geografico ed istituzionale del Paese.

La Bosnia-Erzegovina sanciva così la propria integrità in una nuova e originale forma di unità politico-territoriale: Stato unico diviso in due entità, ciascuna dotata di un proprio Parlamento e governo, una croato-musulmana (Federazione croato-musulmana, 51% del territorio), l’altra serba (Republika Srpska, 49% del territorio), oltre al distretto di Brčko nella Bosnia nordorientale, già assegnato alla Repubblica serba e diventato autonomo nel 1999 in seguito ad un arbitrato internazionale.

La Federazione croato-musulmana è guidata da un presidente ed un vicepresidente alternativamente croato e musulmano; il potere legislativo spetta al Parlamento, composto da Camera dei rappresentanti e Camera popolare. Anche la Repubblica serba è guidata da un presidente ed un vicepresidente, ed è presente l’Assemblea nazionale.

La presidenza centrale della Repubblica è formata da 3 membri, eletti a suffragio universale per due anni, in rappresentanza delle tre etnie (un musulmano, un serbo, un croato); presiede per primo, colui che ha ottenuto la maggioranza dei voti, poi a rotazione ogni 8 mesi.

Il Parlamento centrale è formato da due Camere: la Camera dei rappresentanti (42 deputati eletti a suffragio diretto ogni 4 anni, 28 croato-musulmani e 14 serbi), e la Camera del popolo (5 delegati per ogni etnia nominati ogni 4 anni). L’esecutivo centrale è formato da un Consiglio dei ministri, nominato dalla presidenza con conseguente approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti. Il Presidente del Consiglio dei ministri deve essere di etnia diversa dal Presidente di turno della triade presidenziale.

Nonostante l’ingarbugliata situazione interna, da molti anni la Bosnia-Erzegovina tenta di diventare un paese membro dell’UE, ed il 15 febbraio 2016, il presidente della Bosnia-Erzegovina Dragan Čović ha consegnato a Bert Koenders, Ministro degli Esteri dell’Olanda, Presidente di turno dell’Unione Europea, la richiesta ufficiale di adesione all’Unione Europea, alla presenza dell’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’UE Federica Mogherini e del Commissario UE per l’Allargamento, Johannes Hahn.

In sede europea la candidatura è stata accolta con un certo ottimismo: Federica Mogherini ha affermato che si tratta di un’ottima notizia e di un forte messaggio per il futuro dei cittadini bosniaci. C’è ottimismo anche nelle parole di Johannes Hahn, pur precisando che è l’inizio di un periodo di duro lavoro e che non si può diventare Paesi membri nel giro di pochi mesi.

Un percorso, quello di integrazione nell’UE, avviato nel 2007 con la firma dell’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione (AAS), che mira ad affiancare la Bosnia-Erzegovina a Slovenia e Croazia, i primi paesi dell’ex-Jugoslavia ad entrare nell’Unione, rispettivamente nel 2004 e nel 2013. Anche Serbia e Montenegro, entrambi paesi confinanti con la Bosnia-Erzegovina, hanno da tempo intrapreso il percorso di integrazione europea.

L’AAS è uno strumento di diritto dell’Unione Europea che può sancire la liberalizzazione degli scambi, fissare tariffe, disciplinare le importazioni e le esportazioni, prevedere forme di assistenza tecnica e finanziaria per accompagnare lo Stato nel processo di riforme concordato. Vista la complessità di un intervento a lungo termine, l’AAS istituisce degli organi ad hoc come Commissioni, Consiglio e Comitati parlamentari. In questo modo, permette di avviare e rafforzare relazioni bilaterali fra l’Unione Europea e la Bosnia-Erzegovina e uniformare la propria la legislazione agli standard europei.

Purtroppo la ratifica dell’AAS non ha portato ad un miglioramento della situazione politico-economica della Bosnia-Erzegovina: dopo le proteste scoppiate nel 2014 poco o nulla è cambiato ed alle elezioni di ottobre sono stati i soliti partiti a vincere. La situazione bosniaca è piuttosto complicata: alto livello di disoccupazione, classe politica inadeguata, lotta alla corruzione poco efficace, amministrazione pubblica poco trasparente, società ancora divisa secondo le tre nazionalità preponderanti.

Lo stesso AAS porta con sé alcune difficoltà: infatti il testo, essendo stato negoziato più di dieci anni fa, necessita di molti aggiornamenti. Sono proprio l’impegno necessario e le riforme da portare avanti a creare preoccupazione in alcuni cittadini.

La candidatura della Bosnia ha sorpreso anche per un’altra ragione: da anni i politici del Paese non riuscivano ad accordarsi sul cosiddetto “meccanismo di coordinamento”, ovvero lo strumento giuridico che permetterà di dialogare efficacemente con Bruxelles, e sembrava che un accordo sulla materia fosse ancora lontano. Invece, il 9 febbraio diverse agenzie di stampa hanno diffuso la notizia che la gazzetta ufficiale avrebbe pubblicato in giornata il meccanismo di coordinamento adottato, rendendolo di fatto una legge.

La notizia ha sorpreso non solo i cittadini, ma anche numerosi politici locali, che accusano il governo statale di aver approvato segretamente l’accordo. Per la gazzetta, il meccanismo è stato approvato il 26 gennaio, ma, come molti hanno denunciato, quel giorno non era prevista nessuna seduta.

L’atteggiamento della Bosnia è stato quello di fare il minimo necessario per passare al passo successivo: la precondizione per siglare l’AAS era la riforma della polizia e nel 2005 c’era un certo ottimismo sulla riuscita della riforma, ma ben presto i negoziati fra i vari livelli di governo bosniaci arenarono, rifiutando l’iniziale e ambiziosa bozza. Infine, è stata approvata una riforma sulla polizia molto limitata ed utile soltanto a permettere di siglare l’AAS.

Questione chiave per il paese è la riforma della Costituzione: da tempo analisti e studiosi affermano la necessità di una riforma costituzionale che snellisca il sistema e permetta a tutti i cittadini di partecipare alla vita politica del Paese, come suggerito dalla sentenza Finci-Sejdic (2009) della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Proprio tale sentenza era stata posta nel 2012 quale condizione necessaria per la continuazione del cammino bosniaco verso l’UE.

Secondo il Trattato dell’Unione Europea, il paese candidato ad entrare nell’Unione, deve soddisfare i criteri di ammissibilità, noti come i criteri di Copenaghen, poiché definiti dal Consiglio europeo che si è svolto a Copenaghen nel giugno 1993. Tali criteri sono: la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela, l’esistenza di un’economia di mercato affidabile e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione; la capacità di assumere e attuare efficacemente gli obblighi inerenti all’adesione, compresi gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria.

Junker ha già fatto sapere che non ci saranno nuovi membri dell’UE durante il suo mandato e secondo alcuni analisti la Bosnia impiegherà circa dieci anni a compiere tutte le riforme necessarie.

La speranza è che nel frattempo la classe politica bosniaca maturi e impari a collaborare con la società civile che, dopo le grandi proteste del 2014, cerca di far sentire la propria voce. Una volta che l’AAS sarà aggiornato, bisognerà superare quello che probabilmente è il più grande ostacolo: la Bosnia-Erzegovina deve parlare con una sola voce.

Di conseguenza, l’UE quando si confronta con la Bosnia-Erzegovina deve consultare i rappresentanti delle due entità, oltre che della presidenza nazionale. Questa situazione non consente di avviare una riforma costituzionale, per cui sarà necessaria l’istituzione di un meccanismo di coordinamento ad hoc fra le istituzioni bosniache per rapportarsi con l’Unione Europea altrimenti per l’ingresso si dovrà attendere chissà per quanto tempo ancora!

Francesca Rao