I limiti economici dell’Unione Europea: cosa rende l’Unione così fragile?

Quello che molti sembrano indicare come uno dei mali dell’Unione Europea, cioè la libera circolazione dei suoi cittadini membri, è considerato essere uno dei requisiti fondamentali della sua area valutaria comune. La letteratura economica, in particolare la letteratura che si occupa delle unioni monetarie, sottolinea come la libera circolazione di capitali, persone e merci sia una condizione necessaria per il mantenimento della valuta comune. Quali sono le ragioni di questa necessità?

La libera circolazione è una delle valvole principali di sfogo da usare durante i cosiddetti shock asimmetrici che possono colpire un’area valutaria. Semplificando, poniamo ad esempio che due paesi si trovino in presenza di uno shock asimmetrico: il primo vive una situazione di contrazione dell’attività economica (recessione) con annesso calo degli occupati ed esplosione della disoccupazione, nel secondo paese, invece, esiste una situazione economica diametralmente opposta con un boom economico e forte richiesta di manodopera da impiegare nelle fabbriche.

Qualora ci trovassimo di fronte ad una situazione in cui vi sono due valute separate, lo shock si riequilibrerebbe attraverso il tasso di cambio e cioè: la valuta del paese in espansione si apprezzerebbe, rendendo le sue esportazioni meno appetibili, al contrario la valuta del paese in recessione si deprezzerebbe rendendo più vantaggioso il prezzo dei suoi prodotti. Questa manovra valutaria raffredderebbe l’economia del paese in espansione e rilancerebbe quella del paese in recessione ristabilendo l’equilibrio.

Ovviamente se si è all’interno di una unione monetaria la valvola di sfogo rappresentata dal tasso di cambio non è utilizzabile. Quindi cosa sarebbe utile in questo caso? Proprio Schengen. La libera circolazione dei cittadini, infatti, permetterebbe ai disoccupati del paese in recessione di spostarsi per cercare lavoro in quello in espansione riequilibrando, attraverso lo spostamento di manodopera, lo shock asimmetrico. Naturalmente lo spostamento di manodopera da un paese all’altro non sarebbe molto semplice perché sarebbe ostacolato da una serie di barriere culturali e linguistiche, ma qualora non ci fosse Schengen non ci sarebbe alcun modo di alleviare lo shock fra i due paesi.

Che cosa succederebbe, infatti, senza Schengen? In parte lo abbiamo sperimentato in questi anni. Il paese in recessione, con una spesa pubblica quasi bloccata, dovrebbe permettere dosi “da cavallo” di deflazione per rendere nuovamente competitive le sue esportazioni e provare attraverso il traino estero di re – innescare la crescita nel paese.

Tutto ciò sembra ricordare la situazione di questi anni ed, in effetti, è così. Si potrebbe a questo punto sostenere che il trattato di Schengen non abbia modificato molto il quadro economico. In realtà basta pensare a quanti italiani hanno potuto in questi anni emigrare verso altri paesi dell’Unione per costruirsi un futuro. Se queste persone, in gamba e capaci, non l’avessero fatto, l’uscita dalla recessione sarebbe stata ancora più lunga e dolorosa.

In conclusione, quello che potrebbe essere considerato come una sorta di demonio (Schengen), non è altro che la base di qualunque Stato che si rispetti. Proprio l’Italia si è sviluppata, infatti, tranne in fasi sporadiche, anche grazie alla migrazione Sud – Nord, permettendo di alleviare la situazione economica al Sud e di lanciare lo sviluppo economico del Nord, con un benessere complessivo del paese. Ovviamente questo non vuole giustificare la mancanza delle politiche di sviluppo per il meridione, ma se l’obiettivo del futuro è la creazione di uno Stato federale europeo, la libera circolazione dei suoi cittadini non può che esserne l’architrave su cui costruirlo.

Francesco Paolo Marco Leti


 

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