Il tracollo economico della Germania

L’ultimo anno ha incrinato la posizione economica internazionale della Germania. Le ricette economiche che avevano portato l’economia teutonica a crescere vertiginosamente non sembrano più funzionare.


Quella tedesca è un’economia che mostra enormi difficoltà. Il World Economic Outlook (WEO) del Fondo Monetario Internazionale, i cui dati sull’economia mondiale abbiamo già analizzato in precedenza, sottolinea come quest’anno si chiuderà negativamente con una decrescita di circa mezzo punto. Le altre previsioni gravitano su dati simili, con una contrazione che si aggirerebbe tra lo 0,3% e lo 0,6%. 

Anche il dato sull’inflazione mostra un andamento non positivo, evidenziando una persistenza che altre economie sono riuscite ad evitare. Diversamente dagli anni precedenti, quest’anno, sempre secondo quanto riportato dal WEO, l’inflazione tedesca (6,3%) si mostra al di sopra di quella media dell’Eurozona (5,6%) e persino al di sopra di quella italiana (6%). Anche per i prossimi anni, sebbene la tendenza sia quella di un graduale rientro verso l’obiettivo inflattivo della Banca Centrale Europea, la Germania mostrerà una tendenza al rientro più lenta rispetto alla media della zona Euro. 

L’unico dato confortante per l’economia tedesca, e per le economie europee in generale, è la tendenza al mantenimento dei livelli occupazionali, se non addirittura a un aumento dell’occupazione, anche se, come vedremo, questa potrebbe essere il risultato di un fenomeno non del tutto positivo per l’economia globale.

A queste condizioni macroeconomiche non idilliache, ha dato una mazzata ulteriore la recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca che ha dichiarato illegittimo lo spostamento di 60 mld di euro, effettuato nel 2021 con una legge di variazione di bilancio, dal settore della lotta al Covid-19 al contrasto al cambiamento climatico, a causa della violazione della regola del “freno al debito”.

Come facilmente intuibile, questa sentenza ha creato una voragine nei conti pubblici, e messo a rischio i fondi per la transizione climatica tedesca, creando serie difficoltà al Governo che ha dovuto “congelare” la spesa del settore. Le ripercussioni non saranno, come evidente dalle cifre di cui stiamo parlando (l’equivalente di due finanziarie italiane), lievi sull’economia nel suo complesso, anche se è troppo presto per valutarle nel dettaglio.

Le difficoltà in cui si sta imbattendo l’economia tedesca provengono dalla trasformazione in itinere dell’economia globale. Dopo la “fine della storia” e il trentennio di fortissima integrazione economica e commerciale mondiale, sembra che il fenomeno chiamato globalizzazione viva una fase di reflusso con evidenti ricadute per la Germania.

Un grafico presente nelle Previsioni economiche d’autunno della Commissione Europea, i cui dati abbiamo analizzato a grandi linee in precedenza, mostra quella che oggi, date le nuove condizioni economiche, definiamo come “esposizione” dell’Eurozona nei confronti della Cina per l’anno 2022 e che, qualche anno orsono, avremmo definito come “integrazione” commerciale tra le aree economiche.

Per altro, il grafico in alto è riportato in un box di approfondimento intitolato “Spillover effects to the EU from a potential sharp slowdown in China”, che lascia facilmente intuire che una ulteriore evoluzione negativa della crisi economica cinese, caratterizzata da una forte bolla immobiliare, da un fortissimo indebitamento di quelli che potremmo definire gli “enti locali” e dagli effetti di questi fenomeni sui consumi, avrebbe profondi effetti per le nostre economie. Come si può evincere, la nazione europea con legami commerciali più profondi col dragone asiatico è la Germania, sia rispetto al rapporto con le esportazioni nel suo complesso, sia rispetto al rapporto delle esportazioni con il Pil.

Il raffreddamento delle condizioni commerciali globali e la sua frammentazione sempre più evidente in “blocchi” sono anche determinati dalla politica commerciale americana nei confronti della Cina, il cosiddetto “decoupling”, dovuto a quella che è stata percepita come una sfida egemonica cinese, che sta incrinando le relazioni commerciali mondiali ed ha effetto anche sul quadro europeo. La pandemia e il blocco commerciale successivo hanno parimenti mostrato gli effetti che una integrazione commerciale profonda può provocare, soprattutto a livello dei rischi.

Proprio per questo, si assiste ad aziende che stanno riportando fasi di produzione, in precedenza delocalizzate, dentro le aree commerciali originarie, generando quell’incremento dei valori occupazionali che abbiamo visto in precedenza, riducendo però la produttività complessiva e aumentando il prezzo dei prodotti finiti (generando quindi inflazione), a causa della minore efficienza della specializzazione produttiva locale. Non a caso, l’aumento dell’occupazione non ha provocato un aumento della crescita economica, che è rimasta pressoché stazionaria.

Il problema è che questo nuovo scenario di disintegrazione commerciale sta scuotendo dalle fondamenta il modello economico tedesco. La Germania, fin dal secondo dopoguerra, ha fondato la sua crescita su un modello che economicamente viene definito come “piccola economia aperta” nel quale lo sviluppo è demandato principalmente al traino delle esportazioni e in cui lo Stato ha una funzione di regolatore al fine di favorire la competitività nazionale sui mercati esteri, anche attraverso strumenti di compressione salariale.

Questo modello, con alterne vicende nell’arco degli ultimi settanta anni, ha funzionato fondandosi sulla tendenza storicamente avvenuta di un sempre maggiore allargamento dei mercati internazionali, sino a comprendere il mondo intero. Quello attuale appare il primo momento di reale appannamento di questa evoluzione e gli effetti, per le economie maggiormente votate all’esportazione, sono evidenti.

In assenza di stimoli esterni, la Germania dovrà rassegnarsi a cambiare paradigma o a soffrire nell’attesa di un nuovo rifiorire della globalizzazione. In realtà, un primo cambio di rotta si è mostrato nella fase successiva alla pandemia in cui lo Stato tedesco ha abbandonato le classiche ritrosie e ha pesantemente investito nel sostegno all’economia interna e alla domanda aggregata nazionale.

Ancor più sorprendente è stato il via libera dato all’indebitamento comune europeo per far fronte agli investimenti comunitari previsti dal “Next Generation EU”. La regola ferrea del pareggio di bilancio o dell’avanzo primario, applicata in salsa europea con il rigido parametro del “drei komma null”, cioè il 3% massimo del disavanzo nel rapporto deficit-Pil, ha ceduto a una serie di politiche di stimolo fiscale, soprattutto in chiave di transizione climatica ed energetica, di cui il settore industriale tedesco aveva, ed ha, un grosso bisogno.

La recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca, però, mette a rischio questa evoluzione in un momento in cui è ancor più necessaria. La richiesta del Governo tedesco della sospensione della regola del “freno al debito”, successiva alla sentenza, si rende ancor più necessaria in questo momento, nel quale la riduzione degli investimenti pubblici rischia di avvitare ulteriormente il calo della produzione e del Pil. 

In conclusione, le difficoltà tedesche non sono sicuramente delle buone notizie per l’Eurozona. Le piccole vendette che l’ex ministro greco Panagiotis Lafazanis (in carica nella fase più calda del confronto fra Governo greco e Istituzioni economiche internazionali) si sta prendendo, invitando la Germania a vendere le sue isole per ripianare la voragine di bilancio aperta dalla sentenza, o indicando nella richiesta di aiuto alla “Troika” la soluzione per stilare un programma di “risanamento” delle finanze pubbliche, non è molto costruttivo, sebbene sia comprensibile date le dosi di austerity e di macelleria sociale imposti alla Grecia successivamente alla sua crisi del debito.

La realtà, come già più volte scritto, è che le economie europee sono fortemente connesse e non è un caso che molte realtà imprenditoriali del nostro Paese temano gli effetti della crisi sui nostri scambi commerciali o come, addirittura, ne stiano già subendo le conseguenze. L’Eurozona è a livello economico e commerciale fortemente integrata e, se non si porrà rimedio in qualche modo alle difficoltà tedesche, un effetto contagio, purtroppo, sarà altamente probabile.


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