Femminicidio, figlio della nostra epoca: non abbiamo mai smesso di essere streghe

Parliamo di femminicidio come di un fenomeno di attualità, figlio della nostra epoca, ma è solo la trasformazione di un sentimento di intolleranza nei confronti delle donne portato avanti da secoli. Giulia Cecchettin è solo una delle centinaia di migliaia di “streghe” messe al rogo dall’ignoranza dell’uomo.


Per ogni donna la cui vita viene improvvisamente spezzata, ci arrabbiamo, sgomitiamo e urliamo, tanto più forte quanto più accecanti sono le luci dei riflettori che vengono posizionati su quel volto.

Per ogni vita interrotta bruscamente da un uomo troppo debole per accettare un no, ci arrabbiamo, sgomitiamo e urliamo, ma non troppo forte, per non fare di tutta l’erba un fascio, per non ferire quegli uomini che non ci torcerebbero mai un capello.

Per ogni uomo debole, che non vuole riconoscersi in una specie capace di mostruose atrocità camuffate da amore, c’è una donna forte, pronta a giustificare le sue debolezze, pronta a perdonare la sua aggressività, ma mai disposta a morire per questo.

Per ogni donna forte, uccisa da un uomo debole cerchiamo le motivazioni in un mondo che sta cambiando, in un patriarcato ferito gravemente che resta attaccato a quell’ultimo flebile bagliore di vita e che da ciascuna morte viene nutrito. Eppure, di nuovo, nelle motivazioni che stanno dietro al delitto, c’è proprio poco.

La definizione stessa di femminicidio – s. m., uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale – sottolinea l’immobilità del sentimento di odio che la società ha costruito in millenni, asservendoci ad ancelle dei potenti, non rischiando di farci conoscere la nostra identità.

In un epoca che sembra troppo lontana dalla nostra quotidianità, una donna che mostrava al mondo le sue capacità, altro non poteva essere che una “figlia del demonio”. Agli inquisitori, naturalmente, non restava che bruciarle per liberare la società dal loro giogo.

In un epoca molto più vicina, invece, il delitto d’onore permetteva l’attenuazione della pena per chi uccideva il proprio coniuge dopo aver subito un danno alla propria immagine. In Italia, questo non può più avvenire dal 5 Agosto 1981, in molti Paesi del mondo questo continua ad accadere, e per meritare la morte, basta chiedere il divorzio.

Cos’hanno in comune una strega che brucia e una donna uccisa dal partner? Tutto. 

Il movente, ciò che spegne la loro vita non è in loro, ma in chi le guarda e non riesce a comprenderle, a domarle e non accetta di non poterlo fare.

Il patriarcato è il modo in cui la società ha tenuto a bada la paura dell’uomo dell’indomabile e, da sempre, ogni volta che qualcuna esce da quello schema, merita di morire.

Ieri, 5 dicembre, si sono svolti i funerali di Giulia Cecchettin, una delle morti più brucianti di quest’anno, una di quelle che ci ha fatto arrabbiare, sgomitare, urlare di più, per via di un riflettore le cui ombre ci volevano raccontare di una fuga d’amore. 

La storia di Giulia ci ha fatto arrabbiare, ma dovrebbe farci indignare, gridare, ribellare, il fatto che lei sia stata la numero 102 in Italia in questo 2023.

Il corpo di Giulia è stato ritrovato il 18 Novembre, il suo funerale, sei giorni dopo, è stato un enorme abbraccio di oltre 10 mila persone, che visto dall’alto ci fa sperare in un moto di cambiamento, ci fa pregare che la sua morte non sia stata vana.

Eppure, Giulia è stata la 102, ma oggi le donne morte di femminicidio in Italia sono 105.

La rabbia, le urla, i riflettori. Nulla ha potuto salvare la vita di Rita Talamelli, Vincenza Agrisano e Meena Kumari, morte a distanza di pochi giorni dalla ragazza che non avevamo ancora seppellito. 

Dopo qualche giorno la rabbia si placa, le urla si esauriscono e i riflettori si spengono e noi torniamo a essere streghe, pericolose e per questo in costante pericolo.

Con amarezza dobbiamo ammettere che si tratta di una storia che non può cambiare, finché l’uomo, ogni uomo, non imparerà a non aver più paura delle fiabe.


Immagine in copertina di ho visto nina volare

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