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La stagflazione in Germania e nell’Eurozona

Le principali economie dell’Eurozona, in particolare la Germania, si trovano ad affrontare uno scenario di stagflazione, con una crescita scarsa o assente accompagnata da un’elevata inflazione.


Diversi indicatori economici europei stanno puntando verso quella che viene definita stagflazione, cioè una crescita assente, stagnante, e una forte inflazione. Vediamone alcuni nel dettaglio, analizzando soprattutto quelli provenienti dall’economia tedesca, la principale economia dell’area euro.

Il primo forte campanello d’allarme per l’Eurozona è arrivato dalla doccia gelata della depurazione del dato sulla crescita del primo trimestre, che si è assestato su un calo dello 0,1 per cento. Questo calo ha fatto il paio con quello del trimestre precedente e ha consegnato l’economia continentale a quella che gli economisti definiscono “recessione tecnica”, ovvero un calo del prodotto interno lordo (pil) in due trimestri consecutivi.

Uno degli Stati che ha maggiormente inciso sul dato negativo europeo è stata la Germania. Il calo dello 0,3 per cento del primo trimestre, che era stato preceduto dalla diminuzione dello 0,5 per cento dell’ultimo trimestre del 2022, ha reso evidente le difficoltà in cui si dibatte l’economia tedesca a causa del morso dell’inflazione sui consumi delle famiglie che si stanno letteralmente inchiodando (-1,2 per cento). 

Il dato italiano, in questo caso, si è dimostrato in controtendenza, segnando un aumento dello 0,6 per cento, figlio del mantenimento di elevati consumi delle famiglie e dell’effetto trascinamento dei precedenti trimestri positivi.

Al netto del dato italiano, il cui andamento andrà confermato nei due prossimi trimestri, è l’economia europea nel suo complesso ad arrancare. Le stime sulla crescita dell’Eurozona rilasciate di recente dalla Banca Centrale Europea (BCE) hanno indicato una crescita dello 0,9 per cento quest’anno e dell’1,5 per cento per il prossimo: appena due mesi fa (maggio), la Commissione aveva pubblicato dati più rosei, con un pil all’1,1 per cento per il 2023 e all’1,6 per cento per il 2024. Come si può vedere, il declino è corposo.

Stagflazione, le stime degli indici IFO e PMI

Il dato fortemente negativo dell’economia tedesca è confermato dall’andamento marcatamente in calo dell’indice di fiducia delle imprese IFO, solitamente un buon predittore delle aspettative economiche future. Nelle stime appare evidente che «a giugno, l’indice di fiducia delle imprese IFO è crollato a 88,5 punti in ribasso dagli 91,5 punti di maggio. Le aspettative sono marcatamente pessimistiche e le valutazioni delle aziende sulla loro situazione attuale sono peggiori. Soprattutto, la debolezza del settore manifatturiero sta portando l’economia tedesca in acque turbolente». 

Lo stato grave dell’economia europea è corroborato dal dato dell’indice PMI (Purchasing Managers index) stilato dalla S&P Global. L’indice del mese di giugno del settore manifatturiero ha segnato il calo più marcato degli ultimi 37 mesi per l’Eurozona, attestandosi al 43,4 per cento (al di sotto del 50 per cento si tende verso una contrazione economica), contro il 44,8 per cento di maggio. 

Il comunicato del mese di giugno non lascia adito a dubbi: «L’ultima indagine HCOB PMI di giugno ha mostrato un intensificarsi della contrazione del settore manifatturiero dell’eurozona, con il calo al tasso maggiore della produzione dallo scorso ottobre, quando aumentarono le preoccupazioni riguardanti il prezzo e la fornitura energetica. La domanda di beni dell’eurozona è diminuita notevolmente alla fine del secondo trimestre, con deboli prestazioni delle vendite soprattutto evidenti in Austria, Germania e Italia. In particolare, il livello occupazionale è diminuito per la prima volta da gennaio 2021 e l’ottimismo delle aziende è crollato al livello minimo in sette mesi».

I tre Paesi che mostrano le difficoltà maggiori sono il nucleo del settore manifatturiero europeo: in particolare, Germania e Italia sono le principali potenze industriali europee. Quali sono le cause di questo improvviso e marcato peggioramento? Il commento al dato dell’indice PMI da parte del capo economista della Banca Commerciale di Amburgo è cristallino:

«È sempre più evidente che il settore industriale ad alta intensità di capitale sta reagendo negativamente all’impennata del tasso d’interesse della BCE. Le aziende intervistate hanno ridotto i loro livelli occupazionali per la prima volta da gennaio 2021, e l’attività di acquisto è calata ad uno dei tassi peggiori dell’indagine. I tagli dei prezzi di vendita per il secondo mese consecutivo non destano nessuna sorpresa considerata la debolezza della domanda e il rapido tasso di deflazione dei costi. Geograficamente parlando, la contrazione è stata generale, visto che a giugno tutte le quattro nazioni principali dell’eurozona sono rimaste in contrazione. In termini di nuovi ordini, in Germania la debolezza della domanda è più pronunciata, seguita dall’Italia e dalla Francia».

Sul banco degli imputati è, quindi, finita la politica monetaria fortemente aggressiva praticata dalla BCE, la cui efficacia sembra però essere lenta. Il tasso di inflazione nella zona dell’Euro diminuisce secondo i dati di Eurostat, ma il rallentamento è molto più lento di quanto la stretta monetaria incida. 

Ancora più lento è il calo della cosiddetta inflazione di fondo – quella cioè al netto della componente energetica, notoriamente più volatile – pari soltanto allo 0,1 per cento e che addirittura cresce dello 0,1 per cento, se eliminiamo oltre la componente energetica quella alimentare e dei prodotti legati al tabacco. Incredibile risulta, infine, il dato inflattivo tedesco che ha segnato una crescita dell’inflazione dal 6,3 per cento di maggio al 6,8 per cento di giugno.

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Credit Crunch e interdipendenza europea

La politica monetaria restrittiva, inoltre, sta mostrando i primi effetti sul mercato del credito – effetti molto pesanti. Nella ricognizione del settore del credito pubblicata dalla BCE, la Euro Area Bank Lending Survey (BLS) relativa al primo trimestre dell’anno, è possibile verificare come sia avvenuto un drastico calo nella concessione dei prestiti sia nei confronti delle imprese, sia ai privati per l’acquisto di abitazioni, sia come credito al consumo. 

Contestualmente, si sono irrigidite le condizioni bancarie sulla concessione dei prestiti, toccando vette che non si raggiungevano dai tempi della Crisi del Debito Sovrano. Le aspettative per il secondo quarto, inoltre, prevedono un’ulteriore stretta al credito e un peggioramento delle condizioni dello stesso a livello europeo.

In conclusione, sebbene i dati mostrino allo stato attuale una condizione a macchia di leopardo con alcuni Paesi che reggono l’urto della crisi ed altri che mostrano evidenti cenni di cedimento, è molto probabile attendersi per i prossimi mesi un peggioramento complessivo delle condizioni economiche dell’Eurozona. Il nostro Paese, in particolare, presenta dati ancora buoni, soprattutto nel mercato del lavoro, ed è lecito non attendersi peggioramenti prima dell’autunno, grazie anche al fattore di spinta che proviene dai settori turistico e culturale lungo i mesi estivi. 

Se il Governo fosse in grado di ottenere i finanziamenti della terza e quarta tranche del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), probabilmente saremmo in grado, grazie a queste risorse esogene e al loro effetto moltiplicativo nel tessuto economico, di scampare del tutto una fase recessiva che appare nel novero delle possibilità per il quarto trimestre di quest’anno. Al netto delle contingenze italiane, un peggioramento dell’economia dell’Eurozona è all’orizzonte, a causa del fatto che l’economia maggiormente in difficoltà al momento è quella tedesca, le cui ramificazioni e la cui profonda interdipendenza nel tessuto economico europeo è indubbia. 

La debolezza del consumo, e quindi della domanda anche di importazioni, e la persistenza dell’inflazione, con i suoi effetti erosivi sul reddito disponibile, e quindi ancora una volta sui consumi, in Germania tenderà a riverberarsi prima o poi su tutte le economie ad essa collegate, con serie ripercussioni. La chiusura del rubinetto del credito potrebbe rappresentare il colpo definitivo per famiglie e imprese, rendendo ancora più incisiva la stagflazione già presente.


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