PNRR e parità di genere, una questione di economia

Secondo la Banca d’Italia, l’aumento dell’occupazione femminile al 60% previsto dal PNRR basterebbe a far crescere il Pil nazionale del 7%.


L’ultima fotografia del mondo del lavoro al femminile in Italia è un ritratto in chiaroscuro. 

Secondo l’ultima nota congiunta di Banca d’Italia e Ministero del lavoro sui numeri del lavoro dipendente in Italia, la ripresa dell’occupazione femminile nel 2021 è stata segnata, ancor più di quella maschile, dal suo carattere temporaneo e, quindi, precario. Le donne, penalizzate nella prima fase della pandemia anche a causa degli accresciuti carichi familiari, continuano a trovarsi in difficoltà nel mercato del lavoro e, così, il divario di genere si allarga. 

Eppure, proprio la Banca d’Italia ha da tempo indicato come un maggiore accesso femminile al mercato del lavoro, che ne innalzi il tasso di occupazione all’obiettivo stabilito dagli Stati membri con la Strategia Lisbona II (60%), si assocerebbe “meccanicamente” a un PIL più elevato del 7 per cento, anche in presenza di una riduzione della produttività media.

È questo l’obiettivo a cui punta il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che entro il 2026 vorrebbe superare la fatidica soglia del 60 per cento attraverso una serie di stanziamenti diretti e indiretti del valore di 38,5 miliardi di euro, di cui 3,1 in misure mirate alle donne e altri 35,4 destinati a misure indirettamente riconducibili al riequilibrio di genere. 

In particolare, i fondi destinati al gender gap dal PNRR si muovono su più fronti. Da un lato, ci sono i programmi che intendono promuovere fortemente lo sviluppo dell’imprenditoria femminile: è il caso, ad esempio, del “Fondo impresa donna”, ma anche della revisione delle procedure di reclutamento nella Pubblica amministrazione o la definizione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere, ovvero l’approccio “Equal Salary”. 

Come è specificato all’interno del PNRR, la previsione che nelle nuove assunzioni derivanti dai progetti almeno un terzo (dunque una quota pari al 30 per cento) sia rivolto alle donne ha fondamento e legittimità giuridica come categoria di “azione positiva”. 


In particolare, la quota è giustificata dalla eccezionalità della situazione, dalla gravità strutturale delle criticità che intende rimuovere e dal regime temporalmente limitato dell’operazione, che si muoverà appunto nel triennio 2024-2026. Misure che, secondo le stime del MEF, dovrebbero essere in grado di imprimere un impatto rapido e misurabile sulle politiche di sviluppo. 

Del resto, a fotografare i fattori critici della questione sono i numeri, aggravati dalla crisi economica generata dalla pandemia da Covid-19: nel corso del 2020, infatti, il tasso di occupazione femminile in Italia si è attestato al 49 per cento, con una riduzione di 1,1 punti percentuali rispetto al 2019 e un divario rispetto a quello maschile di ben 18,2 punti percentuali. Proprio l’impatto del Covid-19 sull’occupazione femminile, inoltre, ha fatto arretrare il rapporto tra tasso di occupazione di madri e non madri, facendo registrare un calo sostanziale rispetto all’anno precedente.

Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dal Centro studi di Confcommercio, il tasso di occupazione delle donne nella fascia 15-64 anni al Sud «è precipitato al 33 per cento», contro un tasso di occupazione del 59,2 per cento al Centro-Nord e del 63 per cento nell’Ue-27, ossia 30 punti indietro al resto dell’Italia e dell’Europa. 

Dati così critici impongono una riflessione più profonda sull’allocazione delle risorse. Dei 38,5 miliardi stanziati dal PNRR per la disparità di genere, infatti, il 91 per cento (35,4 miliardi) sono destinati a misure solo indirettamente riconducibili al riequilibrio di genere.

Al netto dei 400 milioni (0,2 per cento) ancora allocati all’imprenditorialità femminile, rimane per le dipendenti solo una componente composita, dove si mettono insieme le «nuove assunzioni di donne e di giovani e la fiscalità di vantaggio per il lavoro al Sud».

L’obiettivo di un’occupazione femminile al 60 per cento resta quindi ancora sostanzialmente utopico, ma necessario per la crescita di tutto il Sistema Paese.


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