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Parità di genere, poche le risorse stanziate nel PNRR

Il 24 giugno 2021 la Commissione europea ha approvato il PNRR italiano. Ancora un’occasione persa per la parità di genere nel mercato del lavoro.


La parità di genere nel mercato del lavoro sembra essere uscita dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato dal Parlamento italiano lo scorso 26 aprile e successivamente dalla Commissione europea il 24 giugno scorso, fatte salve formule di rito e obiettivi sul ridimensionamento del gender gap genericamente indicati.

Nella prima bozza del 9 dicembre 2020, il PNRR individuava 4 obiettivi di fondo – chiamati Linee strategiche – e la “Parità di genere” si posizionava in quarta posizione, subito dopo la “Modernizzazione del Paese”, la “Transizione ecologica”, la “Inclusione sociale e territoriale”. Mentre queste tre sono state confermate nelle versioni successive del testo, espandendosi in varie Missioni, la quarta era già stata ridimensionata in un sottoinsieme della Missione 5, denominata “Parità di genere, equità sociale e coesione territoriale”.

La seconda bozza del 29 dicembre ha poi fornito nuovi e più importanti dettagli. Si è infatti reso noto attraverso la Scheda Componente M5C1 (Missione 5, Componente 1), centrata sulla “Parità di genere”, che la linea progettuale può contare su 4,52 miliardi, pari solo al 2,3% del totale delle risorse del Piano (196 miliardi). Peraltro, questa linea non si focalizza sull’imprenditorialità femminile – cui sono offerti solo 400 milioni di euro, circa lo 0,2 % del totale – né sull’occupazione delle dipendenti, sulle loro difficoltà di accesso e di carriera, sulla forzata inattività, sui differenziali retributivi, sulla segregazione e la discriminazione. 

Alle vere piaghe di inefficienza e iniquità che storicamente hanno ostacolato la formazione di una cultura sulla parità di genere e continuano ad impedire un accesso paritario al mercato del lavoro italiano a prescindere dal genere – come dimostrano gli ultimi dati del Gender Equality Index – il PNRR ha allocato davvero pochi spiccioli. Si concentra invece su target sicuramente importanti ma estranei rispetto al focus principale, come l’incremento della natalità indotto dall’assegno unico del Family Act o su target solo indirettamente o scarsamente correlati – quali la conciliazione tra impegni di lavoro e di cura – dove la spesa pubblica dovrebbe favorire l’intera famiglia e non esclusivamente la lavoratrice.

Tutte le piaghe più prettamente legate all’accesso paritario al mercato del lavoro non sono state curate e, purtroppo, non lo saranno nei prossimi anni attraverso questo Piano, per ragioni culturali e istituzionali che ancora impediscono contemporaneamente di accrescere il benessere e la ricchezza economica del nostro Paese, puntando di più sulla selezione meritocratica e, perciò, affidando una quota più elevata di posti di lavoro alle donne. 

Come dimostrano i dati dell’European Institute for Gender Equality (EIGE), è chiaro un fatto: se nella popolazione femminile e in quella maschile la distribuzione delle competenze è all’incirca uguale, il 45esimo percentile donna escluso dal mercato è più produttivo del 55esimo percentile uomo in esso incluso.

Nella versione definitiva del Piano, approvata il 12 gennaio dal Consiglio dei ministri, non solo la “Parità di genere” scompare dal titolo sia della Missione 5, rinominata “Inclusione e coesione”, sia della sua Componente specifica M5C1, ma emerge anche con chiarezza che, una volta correttamente trasferito il “Piano nidi e servizi prima infanzia” alla Missione “Istruzione e ricerca”, il PNRR non dedica alla promozione della donna nel mercato del lavoro risorse significative. 

In esso, infatti, a parte i 400 milioni (circa lo 0,2%) ancora allocati all’imprenditorialità femminile, rimane per le dipendenti solo una voce esplicita: una componente composita dove si mettono insieme le “nuove assunzioni di donne e di giovani e la fiscalità di vantaggio per il lavoro al Sud”, non allocandovi neppure un euro dei 196 miliardi totali del PNRR, né dei quasi 210 miliardi previsti per progetti “in essere” e “nuovi”. 

Tale voce, infatti, si finanzia per 4,47 miliardi unicamente con il React-EU, cioè con fondi europei che si aggiungono ai programmi di coesione già in essere e che sono pensati dall’UE per aiutare le regioni più danneggiate dalla pandemia: dunque a copertura di misure urgenti di breve termine nel Mezzogiorno, non di strategie di lungo corso per l’ammodernamento strutturale del Paese.

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Per tentare di attingere a questi finanziamenti, la questione femminile rischia di subire gravi distorsioni, trasformandosi in una sorta di assistenzialismo o, peggio ancora, alla stregua di forme di aiuto per categorie portatrici di handicap. Una contorsione che rischia di risultare infruttuosa se si considera che i fondi di coesione (React-EU) non potrebbero che privilegiare la fiscalità di vantaggio nel Meridione piuttosto che il rafforzamento delle lavoratrici italiane.

Nella “Visione d’insieme” del PNRR si legge che «il gender mainstreaming caratterizza l’intero Piano», in quanto «l’empowerment femminile», come «le prospettive occupazionali dei giovani e lo sviluppo del Mezzogiorno sono perseguite in tutte le Missioni».

Vanno tuttavia notate le grandi differenze in queste tre «priorità trasversali» evidenziate dal PNRR. Per i giovani sono previsti quasi tutti i 27 miliardi della Missione “Istruzione e ricerca” e molti dei 37 miliardi erogati in favore di “Digitalizzazione e innovazione” della Pubblica amministrazione e del sistema produttivo, mentre a proposito del Sud si assicura che «nella definizione delle linee progettuali sarà esplicitata la quota di risorse complessive destinata al Mezzogiorno» ex ante ed ex post, ritenuta prossima al 50%. 

Per la questione di genere, invece, il PNRR si limita a scrivere che «per progredire sul piano di una effettiva parità di genere» è necessario «innalzare l’occupazione femminile sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo». Le intenzioni positive purtroppo non saranno sufficienti ma si rende necessario coprire ogni Missione e ogni Componente del PNRR con una percentuale femminile, da precisare ex ante e verificare ex post.

Perseguire l’eguaglianza di genere, infatti, non è solo una questione di etica: la condizione delle donne in un Paese è un indicatore del benessere di un’economia e di una società e ogni volta che si riduce la disparità di genere si aprono nuove opportunità che creano benefici a tutti, non solo alle donne.


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