Holly e Benji, dopo 43 anni finisce il celebre manga sportivo

Holly e Benji, dopo 43 anni finisce il celebre manga sportivo

Dopo 43 anni, Yoichi Takahashi ha dichiarato la fine di uno dei manga sportivi più famosi di sempre, da cui fu tratto un anime popolarissimo in Italia: Holly e Benji.


Come preannunciato già da tempo, si conclude ufficialmente la saga di Holly e Benji. Dopo 43 anni di vita, Yoichi Takahashi il creatore del manga, saluta i suoi fan su X festeggiando la pensione da «artista di manga». Takahashi, 63 anni, ha motivato la sua scelta affinché possa «fornire storie a ritmi più veloci con maggiore libertà di espressione» senza dover affrontare la necessità di rispettare scadenze e requisiti come il numero di pagine e dimensioni del formato, che a suo dire lo rallentavano e stancavano maggiormente.

A terminare, in realtà, è il formato canonico di distribuzione: Takahashi ha infatti annunciato che continuerà a produrre storie su Tsubasa Ozora (altresì noto come Oliver Hutton) ma con modalità diverse, con uscite settimanali su un apposito portale online Captain Tsubasa WORLD dalla prossima estate. A questo punto della narrazione, Holly sarà il capitano della nazionale olimpica giapponese.

Holly e Benji, dopo 43 anni finisce il celebre manga sportivo

Le origini del manga di Holly e Benji

Il primo capitolo di Captain Tsubasa – così il nome in Giappone – era stato pubblicato sul settimanale Shukan Shonen Jump nel 1981 e ha vissuto un incredibile successo: la serie ha venduto infatti oltre 90 milioni di volumi e ha dato vita all’anime e a diversi videogiochi, distribuiti in più di 50 Paesi. 43 anni durante i quali la sua creazione, ha coccolato i sogni di gloria calcistica di un’intera generazione, soprattutto in Italia.

A partire infatti dal luglio del 1986, nei canali Mediaset – in particolare Italia 1, canale successivamente di altri molti classici manga giapponesi tra cui Dragonball, Lupin, Lady Oscar, e altri – con il titolo di Holly e Benji, traduzione dell’originale Capitan Tsubasa, l’anime arrivò nel nostro paese. Il successo italiano, specie in un momento in cui il nostro Paese era la capitale assoluta ed indiscussa del calcio globale, fu immediato. Holly e Benji diventò presto un cult, la rappresentazione anime dell’agonismo e della poesia del calcio visti dai bambini attraverso storie di bambini, i veri protagonisti all’inizio della narrazione.

I protagonisti della storia

Era il 1981 quando Tsubasa Ozora/Oliver Hutton muoveva i suoi primi passi nella “New Team” e da allora di strada e di carriera ne ha fatta. La storia parte quando Holly, un ragazzino giapponese con una passione e un talento smisurati per il calcio che sogna di vincere il mondiale con la nazionale del suo Paese e giocare in Brasile, si trasferisce insieme alla sua famiglia nella città di Nankatsu. Lì si iscrive alla scuola pubblica per l’ultimo anno delle elementari e si aggrega subito alla squadra della scuola, impegnata in una sfida con i rivali cittadini, la squadra di Benji.

Intorno alla figura di Holly comunque girerà una giostra di personaggi comuni un po’ a tutti i bambini nati negli anni ’80-90. Dal portierone appunto Benji Price, al maldestro Bruce – che grazie a Holly si trasformerà in un roccioso difensore – all’amico Tom Becker.

E poi Mark Lenders, l’antagonista per eccellenza; Julian Ross, talento smisurato frenato da problemi cardiaci; e i fratelli Derrick, quelli che volavano sul campo e davano spettacolo attraverso le loro micidiali “catapulte infernali”. Un gruppo di ragazzi che anno dopo anno, tra sfide e contro sfide con i propri club, si ritroveranno tutti insieme a rappresentare la squadra del proprio paese: il Giappone.

Possiamo, ad oggi, definire Holly e Benji come un anime che ha rappresentato l’immaginario ideale per ogni bambino appassionato di calcio, una storia giapponese che noi italiani abbiamo totalmente assorbito e fatta nostra. Una storia fatta di corse sfrenate su campi infiniti, acrobazie oltre il limite della fisica con tanto di interminabili azioni, di spalti stracolmi di spettatori come fosse una partita di Champions League (con annessa diretta televisiva e radiocronaca). Una storia, che dopo 43 anni, è giunta al fischio finale.

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