Letteratura al femminile: cinque autrici che hanno stravolto la narrativa contemporanea

Una lunga gavetta per le autrici donne che hanno fatto molta strada, dall’uso di pseudonimi maschili per essere pubblicate fino ad arrivare ad oggi, dove la scelta della propria identità finalmente è solo ad appannaggio personale. Ecco cinque autrici che vi sconvolgeranno e che dovete assolutamente leggere.


Un hobby, una passione, un momento di evasione: questo e altro ancora è la lettura. Il treno di chi non può viaggiare e le miriadi di vite che ognuno di noi può vivere tra le pagine di un libro. Tanti gli scrittori e le scrittrici che ci hanno fatto sognare ed emozionare o che ci hanno lasciato dentro insegnamenti importanti. Quanta strada hanno fatto alcuni di loro per diventare dei mostri sacri fino a vedere i propri libri diventare best seller, ma nel mese delle donne come non possiamo che concentrarci sulla grande fatica che esse hanno fatto per affermare se stesse e il loro immenso talento.

Vita non facile per le autrici 

Non sempre l’accesso al mondo dell’editoria è stata cosa facile per le donne, che in passato hanno dovuto trovare degli espedienti per potersi fare pubblicare. Uno di questi è senza ombra di dubbio l’utilizzo dello pseudonimo maschile. Le sorelle Brontë, ad esempio, firmavano utilizzando gli pseudonimi maschili Currer, Acton ed Ellis e il cognome Bell per poter pubblicare le proprie opere.

Louisa May Alcott aveva scritto quasi 30 romanzi di intrighi e altri argomenti più spaventosi molto prima di raggiungere il successo e la fama con Piccole Donne, utilizzando lo pseudonimo AM Barnard. La doppia vita letteraria di Alcott non fu scoperta fino al 1940. In quei romanzi usò personaggi come assassini e rivoluzionari o travestiti e drogati di oppio.

Nel 1818, le prime edizioni di Frankenstein di Mary Shelley vengono pubblicate in forma anonima. Shelley non usava uno pseudonimo con gli editori e per questa ragione continuavano a tagliarle gli anticipi o pagarla meno. Eppure, lei andava avanti: doveva, perché non aveva altri mezzi per mantenersi.

autrici libro
Frankestein, o il moderno Prometeo, inizialmente pubblicato anonimo

Il caso recente più noto di scrittrici che usano pseudonimi maschili è quello di JK Rowling. I redattori di Joanne Rowling suggerirono di utilizzare due iniziali per il nome nel tentativo di renderlo ambiguo e aggirare i possibili pregiudizi di lettori e lettrici di fantasy rispetto a un’autrice donna. La scelta influenzò senza ombra di dubbio l’autrice che nel 2013 decise di pubblicare un thriller poliziesco, The Cuckoo’s Calling, sotto lo pseudonimo di Robert Galbraith. Come spiegato dall’autrice stessa, voleva lavorare senza aspettative e ricevere un feedback privo di condizionamenti.

Il caso Elena Ferrante

Questo è un caso particolare e, da come si evince dallo pseudonimo, qui non è un problema il non essere uomo. La scelta dello pseudonimo cade su un nome femminile per rafforzare la propria identità. L’autrice non si fa vedere in nessuna presentazione  o premiazione, Elena Ferrante non è, come a volte viene definita, una scrittrice anonima, e la sua non è un’identità falsa. Si tratta, piuttosto, di un aspetto della sua identità, un alter ego. Così come lei, ha seguito le sue orme in questa scelta la giovane autrice emergente Erin Doom.

Il grande successo della Ferrante che ha visto il suo lavoro varcare le pagine per tramutarsi in prodotto rai con L’amica geniale e Netflix con La vita bugiarda degli adulti, ha anche suscitato grande curiosità verso la sua persona, innescando la caccia alla sua identità. Ad esempio, il 2 ottobre del 2016 il giornalista Claudio Gatti pubblica la sua teoria secondo cui Elena Ferrante sarebbe anche Anita Raja, traduttrice e moglie dello scrittore Domenico Starnone.

Quello che mantiene presente è la parola, il suo esistere in quanto essere umano e contenitore di idee, prendendo le distanze dal proprio corpo. Una scelta che molti non perdonano nella società dell’immagine.

L’unica cosa che l’autrice ha deciso di mantenere visibile sono solo le sue idee, scegliendo di prendere le distanze dalla sua riconoscibilità fisica, associando il suo nome solamente al suo lavoro. 

Lo stravolgimento della narrativa contemporanea

La narrativa contemporanea si è arricchita di sottogeneri, metodi di scrittura e rielaborazione delle tematiche classiche come il retelling – rivisitazioni delle grandi storie che vengono modificate e riviste in epoche, culture ed età diverse – ormai in voga e molto amato soprattutto dai giovani lettori. E se parliamo di retelling non possiamo non nominare Madeline Miller, vero e proprio caso editoriale e prima pietra posata per il grande tempio del BookTok.

Miller ha un dottorato alla Brown University e ha insegnato drammaturgia e adattamento teatrale dei testi antichi a Yale. Le luci della ribalta si accendono nel 2013  con La Canzone di Achille premiato con l’Orange Prize nel 2012: il romanzo ripercorre la storia di Achille e Patroclo, dall’esilio di Patroclo adolescente all’incontro con Achille, per poi narrare l’addestramento dei due con il centauro Chirone, l’amore che nasce tra i due principi, la guerra di Troia e infine la morte e il successivo incontro nell’Ade dei due eroi.

Con il secondo successo, Circe, l’autrice racconta il probabile prima e dopo di questo personaggio che Omero ci ha regalato: uno dei personaggi femminili più affascinanti e complessi della mitologia classica. La particolarità della narrazione della Miller è il suo andare oltre il racconto conosciuto, spostando i riflettori sulle relazioni dei personaggi. Altra particolarità che ha reso virali i retelling di Madeline Miller è l’effetto lacrime: uno degli hashtag utilizzati per le sue opere è “libri per piangere”.

Dalla Corea con delicatezza e crudezza: Han Kang

Nata nel 1970 la scrittrice Han Kang, figlia d’arte (suo padre è Han Sŭngwŏn), arriva in Occidente con notevole ritardo rispetto l’anno di pubblicazioni dei suoi lavori. Tra i più popolari e di maggior successo troviamo Atti Umani e La Vegetariana, quest’ultimo testo assolutamente sconvolgente. È tutto fuorché un’opera ascetica: alimentazione forzata, sesso non consenziente, malattia mentale, disordini alimentari e famiglia tossica.

C’è tutto questo dietro la scelta della protagonista di intraprendere la via del vegetarianesimo. Non è un manifesto verso l’abbandono del consumo della carne, non è un percorso verso l’illuminazione. Al contrario è un progressivo declino verso il totale annullamento di se stessa. La scrittura di Han Kang così asciutta, chirurgica e onirica però verso l’incubo, lascia interdetti e affascinati. 

La Vegetariana esce in Corea nel 2007 ma solo nell’ultimo periodo ha preso piede nel nostro mercato agevolato dalla dilagante attenzione verso la cultura K-pop in ambito musicale e cinematografico. Una scrittura difficile come quella della Kang non avrebbe di certo avuto facile diffusione prima di tutto questo, è come se ci fossimo ben preparati prima di avere tra le mani opere difficili da “digerire” come questa.

Il racconto dell’altro lato della medaglia: Ottessa Moshfegh

Come immaginiamo le vite di giovani donne americane, belle, bionde, alte e magre? Il personaggio che racconta Ottessa Moshfegh (nata a Boston nel 1981) non è proprio come ci si aspetta. Soprattutto in uno dei suoi romanzi più famosi che (manco a dirlo) ha spopolato anche sul BookTokitalia: Il mio anno di riposo e oblio. Prendi una donna bella, ricca e annoiata da tutto, dalla sua relazione tira e molla, dai troppi soldi e dalla sua bellezza, che decide di prendersi una pausa. Nulla di strano se non che la pausa equivale ad un anno di ibernazione fisica e psichica. Grazie all’aiuto della peggiore psichiatra di New York, assume molteplici farmaci e decide di mettere in pausa tutta la sua esistenza.

Questo personaggio è l’antieroe per antonomasia, sgradevole, incomprensibile, apatica, eppure ci si può ritrovare sorpresi e spaventati dentro le sue riflessioni in un modo fin troppo comodamente. Anche l’autrice ha iniziato nel 2015 a praticare l’assenza, però dal mondo dei social, sparendo del tutto da ogni piattaforma. Rimangono solo le sue opere, postate migliaia di volte dai lettori entusiasti e rapiti dalla scrittura e dai personaggi di Ottessa Moshfegh. Non sono le trame, di cui spesso è difficile parlarne per via di una certa inconsistenza, ma sono le sensazioni che trapelano dai pensieri dei personaggi a volte eccentrici, malati, deviati e grotteschi a darci il suo veleno dolce e amaro.

L’importanza dell’educazione: Tara Westover

Un’altra autrice capace di introspezione creando una storia di formazione universale che tratta il tema della formazione e della capacità di aprire gli occhi verso nuove prospettive è di certo Tara Westover. Il suo capolavoro L’educazione è una sorta di memoir dell’autrice stessa. Narra di lei e dei suoi fratelli cresciuti in una famiglia mormona dell’Idaho: lontani dalla società, non hanno frequentato la scuola, non sanno nulla dell’olocausto o delle torri gemelle e dell’attentato, non sono nemmeno iscritti all’anagrafe.

Dormono con lo zaino pronto per una vicina fine del mondo. Il padre è un uomo dostoevskiano, carismatico quanto folle e incosciente, fino a diventare pericoloso. Il fratello maggiore Shawn è chiaramente disturbato e diventa violento con le sorelle. La madre cerca di difenderle, ma rimane fedele alle sue credenze e alla sottomissione femminile prescritta. Fino a quando Tara non scopre l’educazione e con essa la possibilità di emanciparsi e trovare la strada per una nuova vita. 

Quello che troviamo in questo libro sono i difficili legami familiari e la voglia di riscatto. Un romanzo duro, molto crudo ma pieno di forza e speranza. Oggi Tara Westover è una docente di Storia presso una delle università più prestigiose del mondo, ed è un risultato impressionante se si pensa che ha messo piede per la prima volta in una scuola solo a 17 anni, sapendo a malapena leggere e scrivere. La forza di voler cambiare ha portato l’autrice a distaccarsi dalla sua famiglia e a portare la sua esperienza come esempio per altre persone nella sua condizione.

«Penso di aver perdonato i miei genitori, anche se non mi sono riconciliata con loro. L’ho fatto per me stessa: il mio perdono, in un certo senso, non li riguarda nemmeno. L’ho fatto quando ho capito che quello che mi è successo non è colpa mia e non lo meritavo. Li ho perdonati quando mi sono perdonata» (tratto da una bellissima intervista per VanityFair).

La voglia di affermarsi, di portare avanti le proprie idee e le proprie passioni utilizzando la scrittura e risollevandosi, alle volte, dalla propria condizione: questi gli elementi che uniscono queste cinque autrici che vale davvero la pena di scoprire e leggere almeno una volta nella vita.


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