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Stati Uniti e Medio Oriente, l’incerta linea di Biden

L’amministrazione Biden cerca di districarsi tra il desiderio di distanziarsi dalla regione e le crisi che continuano a richiedere un coinvolgimento che rimane comunque instabile.


L’obiettivo delle ultime amministrazioni statunitensi in Medio Oriente è stato grossomodo simile, ovvero limitare il coinvolgimento degli Stati Uniti nella regione, sebbene con risultati diversi e limitati. Fino a qualche settimana fa, infatti, il focus dell’interesse statunitense nella regione era circoscritto alla mediazione nella questione israelo-saudita e al monitoraggio delle ambizioni nucleari iraniane.

Va detto che sull’amministrazione Biden grava un’eredità piuttosto disordinata per quanto concerne la gestione delle relazioni internazionali con il Medio Oriente considerata l’irregolarità dell’approccio Trump alla regione; tuttavia, l’assalto di Hamas contro Israele non ha fatto che riconfermare quanto sia illusorio che gli Stati Uniti possano realmente declassare l’importanza del Medio Oriente nella gestione della propria politica estera. 

In generale, l’intento programmatico dell’attuale presidente degli Stati Uniti è stato quello di allontanarsi dal Medio Oriente per meglio concentrarsi sulle questioni più scottanti in agenda, quali la ripresa dopo la pandemia e le relazioni con la Cina e la Russia. Con una progressiva diminuzione degli investimenti e del coinvolgimento militare, Biden intendeva tener buono grossomodo tutto il suo elettorato con un approccio più cauto rispetto a quello del suo predecessore. 

Anche la persecuzione degli obiettivi strategici nella regione è stata blanda ed incerta, nonostante l’importanza cruciale di quest’ultima. Ne sono una prova i vani tentativi di allentare le tensioni con l’Iran tramite modeste ricompense economiche ed intese informali, sebbene non sia mai stato plausibile che tali misure e la mitigazione delle sanzioni sarebbero state sufficienti.

L’incertezza e la contraddittorietà di questo approccio ha raggiunto il suo apice in Afghanistan: l’esecuzione fallimentare a causa del mancato coordinamento nel ritiro delle truppe statunitensi dal territorio afghano ha significativamente minato l’immagine di Washington sullo scenario internazionale. L’avvenimento ha anche accelerato il calo degli indici di approvazione pubblica tra gli elettori a causa delle immagini del ritiro confusionario delle truppe e dei relativi costi umani conseguenti alla sua implementazione. 

A riportare ulteriormente gli Stati Uniti sulle complesse dispute geopolitiche in Medio Oriente è stata la questione israelo-palestinese, già a partire dal 2021 a seguito del conflitto tra Israele e Hamas. In particolare, la crisi ha portato l’amministrazione lavorare con gli attori regionali chiave (come, ad esempio, l’Egitto) al fine di identificare, pianificare e implementare delle misure per arginare il conflitto. In ogni caso, anche in quest’occasione la linea d’azione è stata la medesima: interventi brevi, diplomazia limitata e piena adesione alla linea di progressivo distacco già avviata in precedenza.

Conseguentemente ai recenti attacchi di Hamas, la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Adrienne Watson ha dichiarato che gli Stati Uniti «condannano inequivocabilmente gli attacchi non provocati dei terroristi di Hamas contro i civili israeliani». La posizione presa è inequivocabile: gli Stati Uniti (e il sistema di informazione pubblico statunitense) sposano la narrazione che semplifica il conflitto della regione tra l’”antagonista” palestinese che attacca unprovoked e Israele costretta unicamente a reagire, rei di aver tentato (in ogni caso sin dall’inizio dell’insediamento dell’amministrazione Biden) di tenere a distanza il conflitto israelo-palestinese. 

È indubbio che il catapultarsi nella complessità della crisi della regione rende pericolante lo status del presidente che guarda alla rielezione nel 2024, oltre a distoglierlo dal vessillo della sua attuale politica estera, cioè la guerra in Ucraina. Per il momento, Biden si impegna ad accelerare il supporto militare aggiuntivo a Israele e a scoraggiare qualsiasi soggetto dall’approfittare della situazione.

Anche in questo caso, l’iper-partigianeria e l’estrema polarizzazione interna non permetteranno all’amministrazione di procedere con un approccio solido e stabile in politica estera. L’incertezza nell’azione e lo scontro con la realtà dei fatti rendono (ancora) gli Stati Uniti un attore globale contraddittorio, riflesso di un’amministrazione fondamentalmente disattenta. La linea di condotta che verrà adottata nei prossimi mesi sarà decisiva per decretare quale influenza e quanta credibilità avranno gli Stati Uniti sulla scena mondiale. 


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