Afghanistan: due anni di diritti negati dai Talebani

A due anni dal ritorno dei Talebani al potere, l’Afghanistan vive una delle peggiori crisi umanitarie al mondo. A pagarne lo scotto più alto sono le donne.


Il movimento islamico fondamentalista, colpito dagli USA perché accusato di connivenza con Al-Qaida e il suo leader Osama Bin Laden, ha annunciato poche ore dopo la presa di Kabul la nascita dell’Emirato islamico dell’Afghanistan e il ripristino come legge vigente della Shari’a, nella sua interpretazione più rigida e fondamentalista. Una vittoria per il gruppo che ha subito una metamorfosi indolore da movimento armato a governo proclamato emirato, una sconfitta per l’Afghanistan che, da due anni, sta vivendo la sua peggiore crisi umanitaria.

A partire da gennaio 2021 l’Afghanistan ha attraversato un periodo di siccità che ha portato il governo a dichiarare, nel giugno 2021, lo stato di emergenza. Questa situazione climatica ha peggiorato le condizioni di vita già difficili, causate dal conflitto in corso da anni e dalla terza ondata della pandemia da Covid-19, creando ingenti danni ai mezzi di sostentamento della popolazione e aggravando la situazione di insicurezza alimentare della popolazione.

Secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite, sono state 400 mila le persone costrette a lasciare la propria casa dall’inizio dell’anno, unendosi a 2,9 milioni di sfollati interni già presenti nell’emirato.

A questa situazione allarmante, si aggiunge la “guerra all’oppio” voluta dai talebani, i quali hanno imposto il divieto di coltivare oppiacei a causa degli effetti nocivi sulla salute. Se consideriamo che l’eroina ricavata dall’oppio afghano costituiva il 95% del mercato in Europa, si può facilmente comprendere quanto questo divieto abbia impattato sul sostentamento dei coltivatori.

Il contesto di estrema emergenzialità in cui versa la popolazione afghana è esasperato ancora di più dall’accanimento del governo talebano nei confronti dei diritti delle donne. 

Secondo l’ultimo rapporto di Human Rights Watch, i talebani hanno ristretto gravemente il diritto delle donne all’istruzione e al lavoro, oltre che la libertà di movimento e riunione. 

Nel dicembre 2022, le autorità hanno vietato alle donne di collaborare con tutte le organizzazioni non governative, comprese le Nazioni Unite, con eccezione di quelle impegnate in alcuni specifici ambiti (salute, alimentazione, istruzione primaria). 

Il divieto ha evidentemente danneggiato la possibilità delle donne di mantenersi. 

In Afghanistan, ad oggi, la donna non può uscire di casa per andare a lavoro o a scuola senza un accompagnatore maschio. Inoltre, non è permesso che le donne vengano visitate o curate da medici maschi e, visto il divieto di lavorare per le donne-medico, ciò significa che il genere femminile è stato escluso dall’assistenza sanitaria.

Come si legge in un rapporto del Consiglio per i diritti umani della Nazioni Unite, la condizione delle donne in Afghanistan è tra le peggiori al mondo. Qui la discriminazione è grave, sistemica e istituzionalizzata e viene posta al centro dell’ideologia di governo.

A due anni dal ritorno dei Talebani al potere, l’Emirato Islamico dell’Afghanistan è l’unico Paese al mondo a negare l’accesso all’istruzione alle donne. 

Un Paese instabile, affamato, isolato e non riconosciuto dalla comunità internazionale che non può che continuare a fornire aiuti, in parallelo alle sanzioni, per assicurare la sopravvivenza di una popolazione già stremata.

I Talebani sono ancora saldi al comando e non sembrano esserci seri nemici interni in grado di destabilizzarli la momento. L’economia, nonostante la grave crisi umanitaria, non mostra segni di implosione a breve termine. Il governo, così come il Paese, si limita a non affondare, ma, continuando su questa china ci si può aspettare solo un lento ed inesorabile declino.


Immagine di copertina di Jan Chipchase 

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