Non solo Santa Rosalia, in Sicilia c’è anche San Calogero

La Sicilia è ricca di Santi Patroni e Protettori, spesso salvatori associati a periodi di epidemie e carestie. Oltre a Santa Rosalia, conosciuta in tutto il mondo, nel mese di luglio vede un’altra celebrazione, meno conosciuta ma importantissima per i fedeli: quella dedicata a San Calogero


Le tradizioni popolari, in Sicilia, sono espletate dalla fede e dalla devozione ai santi, in modo particolare a quelli che, nel secolo della peste nera e delle carestie, del 1350 circa, hanno guarito e liberato intere città con le loro preghiere e le loro azioni.

A questi vengono affidati voti religiosi, promesse, sogni, grazie e speranze di intere generazioni di famiglie. I festeggiamenti nelle città sono così sentiti a tal punto che la venerazione di costoro viene rivestita da un folklore popolare inaudito durante l’anno e, per l’appunto, accentuato durante il periodo della ricorrenza di tale festività, trasformando urbanisticamente così interi quartieri, vie, case e zone delle città. 

Come nel caso di Santa Rosalia, la “Santuzza” che liberò la città di Palermo dalla peste.

Il festino di Santa Rosalia a Palermo

Amata, venerata e osannata dai palermitani, la Santuzza viene festeggiata il 14 e il 15 luglio (giorno in cui si svolge la processione religiosa), e il 4 settembre, data in cui si svolge la famigerata “acchianata” al Monte Pellegrino, dove i fedeli giungono a rendere omaggio al santuario della Santuzza, ottima salita per chi, oltre alla fede, ama il trekking.

Nella settimana del Festino del 14-15 luglio, tutta la città di Palermo si trasforma: viene travolta da un’orgia di colori delle luminarie, dei drappi appesi ai balconi storici di Corso Vittorio Emanuele e dai profumi e sapori di babbaluci col prezzemolo, calia e simenza, gelo di melone, torroni e caramelle. 

Emblematico è il momento in cui il carro della Santuzza, costruito ogni anno (negli ultimi anni) a regola d’arte dagli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Palermo, arriva al centro dei Quattro Canti, il sindaco vi sale sopra e pronuncia per tre volte le fatidiche parole “Viva Palermo e Santa Rosalia”, e in coro tutta la popolazione palermitana, turisti e curiosi approdati a Palermo in occasione del festino ad applaudire.

Non solo Santa Rosalia, in Sicilia c’è anche San Calogero

Si narra che, proprio in occasione di questo solenne momento, l’operato del sindaco e dell’amministrazione comunale siano messi a giudizio dalla cittadinanza in base alla prevalenza acustica di applausi o fischi: se gli applausi sovrastano i fischi vuol dire che l’andamento della gestione della cosa pubblica è positivo; diversamente, se i fischi prevalgono sugli applausi, l’operato non è di gradimento della cittadinanza. Un po’ come una prova del nove, una risposta a un sondaggio di gradimento sull’operato del sindaco e della sua amministrazione in corso d’anno.

La festa di San Calogero

Ad Agrigento, e in tutta la provincia, il salvatore dalla peste si chiama Calogero, un monaco venuto da Calcedonia (Istanbul, Turchia) di origini cristiane, giunto nelle rive della Sicilia sud-occidentale, inizia a peregrinare in tutti i paesi della provincia, portando fede, conforto e speranza nelle case degli ammalati agrigentini colpiti da tifo, lebbra e peste. La testimonianza del conforto e delle guarigioni è rappresentata dalla cieca fede verso il Santo nero che ancora oggi ci perviene in eredità. 

Si racconta che le famiglie agrigentine, che avevano un membro della famiglia ammalato, dopo aver tentato tutte le pratiche mediche e sanitarie dell’epoca, si affidavano a San Calogero per la guarigione: così San Calogero si recava in visita davanti l’uscio delle case delle famiglie, col suo Vangelo, accompagnato da una cerva, e una volta avvenuto il miracolo di guarigione, le famiglie fornivano al Santo, in segno di gratitudine e riconoscenza, del pane con semi di finocchietto, i cosiddetti “muffuletti”, in quantità molto generose

Non solo Santa Rosalia, in Sicilia c’è anche San Calogero

Da lì, nei secoli successivi si è tramandata la tradizione di gettare, dai balconi e dalle finestre dei palazzi delle vie delle città della provincia, i muffuletti al passare della processione con il simulacro del santo nero portato a spalla dai portatori devoti, e il quale arrivo è scandito dal ritmo dei tamburi e dalla musica della banda musicale, oltre che dal chiasso dei grandi e dei giovani che vanno ‘appresso a San Calò’ a raccogliere il pane per mangiarlo, portarlo a casa e magari mangiarlo farcito con mortadella al pistacchio, con le melanzane fritte, con le panelle o con la granita di limone. 

Il livello di devozione nei confronti del Santo nero si è andato sempre più consolidando negli anni, resistendo persino agli stop necessari dovuti allo scoppio dell’ultima pandemia di covid-19, tant’è vero che si è invocata l’intercessione di San Calogero, nel 2020, per guarire e far cessare presto la pandemia. A valore di questa tesi ci sono i biglietti aerei delle ferie degli emigrati siculi al nord Italia, negli States, in Canada, in Europa, in Australia e in tutto il mondo, staccati in concomitanza di questa caratteristica festività che altro non è che una delle elevate sfumature culturali della rappresentazione dell’essenza siciliana.

Per comprendere a pieno l’emozione derivata dall’uscita dal santuario di San Calogero, e il passaggio del simulacro vista dai balconi delle vie dei percorsi in cui passa la processione, occorre andare di persona personalmente in Sicilia per provarlo in prima persona.

Nella città di Agrigento, i festeggiamenti durano una settimana, e vanno dalla prima alla seconda domenica di luglio, con grandi fuochi d’artificio finali e ritorno nell’omonima chiesa; a Porto Empedocle (‘a Marina) si festeggia San Calò nella prima domenica di settembre; a Naro il 18 giugno; a Realmonte e Canicattì il primo fine settimana di agosto; a Sciacca il 6 giugno, subito dopo la Pentecoste. Per conoscere tutte le città della provincia agrigentina che festeggiano San Calogero basta intonare le note della canzone del celebre cantante siculo Gian Campione. 

Insomma, il principio che è sempre vivo, si rinnova negli anni e si tramanda tra le generazioni, e per concludere con il titolo in oggetto, un’esclamazione tipica del gergo giurgintano: E CHI FICIMU ‘NU SCURDAMU? EVVIVA SAN CALO’! (trad.: E che ce ne siamo dimenticati? Viva san Calogero!).

di Silvia Boccadoro


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