C’era una volta l’Europa, la terra promessa dei migranti

La strage di Pylos, con il naufragio di un’imbarcazione con a bordo più di 800 migranti, è la riprova di come l’Europa, un tempo considerata la “terra promessa”, stia sempre più diventando inospitale e violenta.


C’era una volta una terra promessa, e centinaia di migliaia di persone che sognavano di raggiungerla.

C’erano la siccità, la guerra, la fame, la voglia di un futuro migliore.
C’erano i sacrifici dei genitori che volevano assicurare un futuro ai figli.
C’erano figli e genitori che oggi non ci sono più.
C’erano dei colpevoli, e ci sono ancora, ma il loro sguardo è diretto altrove.

C’è un’Europa inospitale che si trova oltre un mare carnivoro, il quale, fin troppo spesso, non lascia spazio alla speranza dell’approdo. 

C’è un’Europa violenta oltre muri di cemento armato con barre di titanio presidiato da “eroi” provvisti di armi, pronti a “difendere” la patria da donne, uomini e bambini, la cui unica colpa è quella di aver cercato una vita migliore.

C’è un’Europa che stringe accordi con i carnefici, che punta il dito contro le vittime, che scarica le responsabilità sui mercenari e finge di cercare una soluzione a un fenomeno che non può – non dovrebbe –  essere fermato, ma solo gestito.

La strage di Pylos, con il naufragio di un’imbarcazione con a bordo oltre 800 migranti, di cui sono stati recuperati 82 corpi senza vita e almeno 500 mancano all’appello, viene vissuta dai responsabili come una disgraziata tragedia.

Mentre si contavano i minuti d’aria restanti ai cinque malcapitati del Titan, il barcone in cui erano stipati centinaia di disperati restava in balia delle acque dell’Egeo per almeno sette ore senza che nessuna autorità costiera muovesse un dito.

L’abbraccio tra due fratelli: uno è sopravvissuto al naufragio di Pylos (Foto Ansa)

La Guardia Costiera greca sostiene, al contrario, di non aver ricevuto alcuna richiesta di soccorso da parte dell’imbarcazione che, secondo il loro comunicato, si stava dirigendo autonomamente verso l’Italia.

L’incontro di tesi discordanti fa parte del processo di ricerca della verità. Tuttavia, il contesto spesso ci indirizza verso la versione più credibile, soprattutto se accompagnata da dichiarazioni di chi su quella barca c’era ed è rimasto in vita per raccontare.

«La Guardia costiera greca ci ha detto che ci avrebbe portato in acque italiane, che ci stavano spingendo. Era una nave da guerra. Poi la nostra barca si è ribaltata. Sono finito in mare, urlavo, non hanno fatto nulla per salvarci» racconta un ragazzo siriano sopravvissuto alla strage di Pylos.

La negazione e il rimpallo di responsabilità che seguono eventi come questo sono ormai un copione già visto. 

È accaduto dopo il naufragio di Lampedusa nel 2013, dove hanno perso la vita 386 persone; dopo quello nel Canale di Sicilia del 2015, con più di 900 morti; è successo dopo Cutro, dove sono scomparsi 94 migranti.

Continuerà ad accadere finché la rotta migratoria del Mediterraneo rimarrà la più pericolosa al mondo. E non smetterà certo di esserlo sin quando le istituzioni europee concederanno più fondi alle azioni di “protezione dei confini” che a quelle volte all’accoglienza dei migranti.

Sono lacrime di coccodrillo quelle di un’Unione Europea che ha dato alla Grecia 800 milioni di euro per la gestione dei confini e solo 600 mila per le operazioni di ricerca e soccorso.

Continueranno a esserci un mare di lacrime e di morti se non si invertirà la rotta, se le istituzioni non si impegneranno nella creazione di rotte migratorie sicure, invece di trattare le tragedie che si consumano davanti alle nostre coste come eventi casuali e inevitabili.


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