ignazio visco

Banca d’Italia, l’ultima relazione annuale di Ignazio Visco

Lo scorso 31 maggio, il Governatore della Banca d’Italia, nelle Considerazioni Finali della Relazione Annuale, ha lanciato diverse indicazioni.


Quella dello scorso 31 maggio non è stata la classica Relazione Annuale della Banca d’Italia (BdI). Il tono delle Considerazioni Finali del Governatore Ignazio Visco sono sembrate per metà un bilancio e per metà un’indicazione programmatica sulle necessità che in futuro avrà il Paese. Probabilmente ciò è dovuto alla particolare situazione dell’oratore, che si congederà dalla carica che riveste a fine anno.

Molti autorevoli commentatori hanno visto nelle parole del Governatore un richiamo nei confronti delle politiche del Governo in carica: forse, più semplicemente, si è dichiarato il reale stato di salute dell’economia e della finanza italiana, senza infingimenti o manovre volte ad ottenere consenso elettorale.

Diversi passaggi sono degni di nota nella relazione e, di seguito, ne riporteremo alcuni per analizzarne il contenuto e, soprattutto, per dare voce al documento stesso.

Il primo riguarda la politica monetaria stabilita dalla Banca Centrale Europea (BCE), alla quale il Governatore sembra indicare una via volta alla gradualità nelle scelte e un’attenzione alle conseguenze: “L’orientamento della politica monetaria deve continuare a essere definito in modo da garantire un rientro progressivo, ma non lento, dell’inflazione verso l’obiettivo. Il ritmo e la portata dell’aggiustamento delle condizioni monetarie sono già stati senza precedenti, così come lo erano state le pressioni deflazionistiche degli anni passati e i rischi connessi con la pandemia, che ci avevano spinto a condurre, e poi mantenere, i tassi ufficiali su livelli negativi. L’impatto delle nostre decisioni sull’economia e sui prezzi dovrebbe manifestarsi pienamente nei prossimi mesi; dopo aver portato i tassi di riferimento in territorio restrittivo, occorre ora procedere con la necessaria gradualità”.

L’indicazione è quella di evitare ulteriori restrizioni monetarie che potrebbero influire sulla crescita economica, innescando una forte recessione le cui conseguenze, specialmente per quel che concerne i debiti sovrani, potrebbero essere complesse da gestire.

Un filo conduttore dell’intera Relazione riguarda il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), considerato da Visco rivoluzionario in quanto primo esempio di una politica fiscale redistributiva in chiave europea e il primo caso di indebitamento comune dei Paesi dell’Unione.

In diversi punti sottolinea come i principali beneficiari dovranno essere particolarmente responsabili sull’uso di queste risorse, perché dal successo del PNRR dipende una sua ulteriore evoluzione e, magari, una sua conferma: “Se le misure nazionali finanziate con questi programmi avranno successo, potranno costituire i primi passi nella direzione di un’unione economica pienamente integrata. I paesi che beneficiano maggiormente di queste risorse – il nostro in primo luogo – oltre ad avere un’occasione storica per affrontare problemi di lunga durata, hanno anche l’onere di dimostrare, con risultati tangibili, l’effettiva utilità di una tale maggiore integrazione”.

Più avanti nella Relazione, il Governatore Visco risulta essere ancor più incisivo sulla necessità di dare una rapida attuazione al PNRR: “Miglioramenti del PNRR sono possibili. Nel perseguimento di eventuali modifiche bisogna però tenere conto del serrato programma concordato con le autorità europee; al riguardo, un confronto continuo con la Commissione è assolutamente necessario, nonché utile e costruttivo. Non c’è tempo da perdere. Si discute di presunte insufficienze nel dibattito collettivo riguardo al suo disegno, dell’orizzonte temporale limitato per il raggiungimento degli obiettivi, delle possibili carenze nella capacità di attuarne le misure, ma va sottolineato con forza che il Piano rappresenta un raro, e nel complesso valido, tentativo di definire una visione strategica per il Paese”.

Nella parte centrale della Relazione, il Governatore si sofferma sulla condizione del mercato del lavoro nel nostro Paese, sottolineandone alcune carenze e difficoltà. Un riferimento molto interessante è fatto sulla contrattazione a tempo determinato e sulle condizioni salariali eccessivamente penalizzanti, in particolare per le giovani generazioni: “In molti casi, però, il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate; la quota di giovani che dopo cinque anni ancora si trova in condizioni di impiego a tempo determinato resta prossima al 20 per cento. Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un’occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate; come negli altri principali paesi, l’introduzione di un salario minimo, definito con il necessario equilibrio, può rispondere a non trascurabili esigenze di giustizia sociale”.

Un riferimento molto interessante riguarda la demografia del nostro Paese in forte crisi. Al riguardo, viene indicato come la soluzione dello sbilanciamento della “piramide demografica” possa provenire soltanto da una più intensa partecipazione nel mercato del lavoro delle categorie maggiormente ai margini, come donne e giovani, da un allungamento dell’età lavorativa e dall’introduzione di manodopera immigrata: “Anche nell’ipotesi molto favorevole di un progressivo innalzamento dei tassi di attività dei giovani e delle donne fino ai valori medi dell’Unione europea, nei prossimi venti anni la crescita economica non potrà contare su un aumento endogeno delle forze di lavoro: gli effetti del calo della popolazione nelle età centrali potranno essere mitigati nel medio periodo, oltre che da un allungamento dell’età lavorativa, solo da un aumento del saldo migratorio (che pure nello scenario di base l’Istat prefigura pari a 135.000 persone all’anno, più del doppio degli ultimi dieci anni, dopo una media di oltre 300.000 nel precedente decennio). Un recupero della natalità dai livelli particolarmente bassi del 2021, per quanto auspicabile, rafforzerebbe l’offerta di lavoro solo nel lunghissimo periodo”.

Un aumento della natalità adesso avrebbe effetti solo fra almeno sedici/diciotto anni (periodo di raggiungimento della maggiore età dei nascituri) o, più realisticamente, fra una trentina dato l’allungamento del periodo di vita dedicato agli studi.  

Vi è, infine, un riferimento critico ai progetti di riforma fiscale preannunciati dal Governo in carica e, in particolare, alla cosiddetta “flat tax”. La posizione non è nuova anzi, al contrario, sono ben note le critiche della BdI a tale riforma e già espresse nelle parole dell’Audizione del Capo del Servizio Assistenza e Consulenza Fiscale, Giacomo Ricotti: “Restano aspetti non del tutto chiariti in tema di tassazione personale. Il modello prefigurato dalla delega come punto di arrivo – un sistema ad aliquota unica insieme a una riduzione del carico fiscale – potrebbe risultare poco realistico per un paese con un ampio sistema di welfare, soprattutto alla luce dei vincoli di finanza pubblica; comunque ne andranno attentamente valutati gli effetti redistributivi. La sfida sarà tradurre in pratica i principi cui si ispira la delega tenendo insieme i vincoli di bilancio pubblico, l’equità orizzontale e verticale. Nelle more dell’introduzione della flat tax, l’estensione dei regimi sostitutivi potrebbe ridurre l’equità del sistema”. 

Sempre nella medesima Audizione vengono rilevati ulteriori problemi riguardo le coperture della Riforma nel suo complesso: “Da ultimo, ma non meno importante, si richiama la necessità che la delega trovi le opportune coperture. Molti degli interventi prefigurati comporteranno perdite di gettito”.

Non stupisce, quindi, che nella propria Relazione la posizione di Ignazio Visco possa essere molto cauta sul punto: “La razionalizzazione delle norme e la semplificazione degli adempimenti possono dare certezza e stabilità al sistema, contenendo i costi amministrativi. Nessun intervento può realisticamente prescindere dai vincoli posti dal nostro elevato debito pubblico, né dai principi di progressività e capacità contributiva sanciti dalla Costituzione”. Le critiche riguardano, in particolare, la sostenibilità della Riforma, per quel che concerne il debito pubblico, e l’equità, con riferimento alla progressività e alla capacità contributiva. 

Nel complesso, in conclusione, quelli che vengono considerati, in qualche caso, dei rilievi critici nei confronti dell’Esecutivo in carica altro non sono che una presa d’atto delle difficoltà del contesto e della struttura economica del nostro Paese. Sarebbe più saggio prenderne atto nell’azione politica, nel tentativo di porvi rimedio e superarle, tenendo nel debito conto anche la fonte da cui provengono, la Banca d’Italia, a lungo considerata, a buon diritto, una riserva degli uomini migliori della Repubblica.

... ...