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Convenzione ONU sul Cybercrime, intervista a Giuseppe Di Giacomo Pepe

Abbiamo intervistato Giuseppe Di Giacomo Pepe, delegato dell’Università LUMSA per la stipula della Convenzione ONU sul Cybercrime.


Il cybercrime è, ad oggi, uno dei temi più dibattuti, anche a seguito della portata del fenomeno, che ha reso necessario un rinnovato impegno, sul piano internazionale, per fronteggiare una forma di criminalità sostanzialmente priva di riferimenti territoriali e strutturalmente transnazionale. 

La creazione di un Comitato ad hoc, ad opera delle Nazioni Unite, rappresenta un’interessante opportunità per creare un forum di dibattito internazionale, che coinvolga non solo gli Stati, ma anche la società civile. Di questo e tanto altro, abbiamo parlato con Giuseppe Di Giacomo Pepe, delegato LUMSA per la stipula della Convenzione ONU sul Cybercrime.

Giuseppe Di Giacomo Pepe è un giovane dottorando di ricerca in Mediterranean Studies. History, Law and Economics, presso la LUMSA di Palermo, dove sta sviluppando una tesi in Diritto Internazionale. Dopo aver conseguito una laurea in Giurisprudenza nel medesimo Ateneo ed una seconda laurea in Relazioni internazionali presso la LUISS Guido Carli, ha approfondito la conoscenza del mondo delle istituzioni e della diplomazia, soprattutto grazie a diversi master conseguiti presso la Società italiana per l’organizzazione internazionale (SIOI). 

Recentemente, ha preso parte ai lavori della terza sessione del Comitato ad hoc delle Nazioni Unite per l’elaborazione di una convenzione internazionale sul contrasto all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a fini criminali, che costituisce un importante passo avanti per la cooperazione intergovernativa in un settore di importanza ormai cruciale. 

Cosa ti ha condotto a New York?

«Dal 29 agosto al 9 settembre 2022 ho partecipato ai lavori della terza sessione del Comitato ad hoc delle Nazioni Unite per l’elaborazione di una convenzione internazionale sul contrasto all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a fini criminali. Si tratta di un comitato intergovernativo istituito dall’Assemblea generale con la risoluzione 74/247 del 27 dicembre 2019, che prevede la partecipazione non solo degli Stati, ma anche di rappresentanti di organizzazioni non governative, organizzazioni della società civile, del settore privato e istituzioni accademiche.

È in questo solco che si inserisce la partecipazione del Dipartimento di Giurisprudenza della LUMSA di Palermo, che ha presentato la propria candidatura con una delegazione presieduta dal Prof. Giuseppe Puma (professore associato di Diritto internazionale) e costituita da studiosi di diritto internazionale, penale e processuale penale. In occasione della prima seduta del Comitato, la nostra delegazione è stata ammessa tra gli stakeholder del mondo accademico. Si tratta dell’unica università italiana ammessa a partecipare. 

I lavori hanno avuto inizio nel febbraio 2022, ma, a motivo delle restrizioni legate alla pandemia, non è stato possibile partecipare in presenza alle prime due sessioni. A partire dalla sessione estiva, tuttavia, è stata data la possibilità ai multistakeholder di inviare un proprio delegato e il gruppo LUMSA ha scelto me come proprio rappresentante. I lavori si sono tenuti presso il Quartier generale delle Nazioni Unite, a New York».

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Giuseppe Di Giacomo Pepe

Nel contesto della tua esperienza, cosa ne pensi del cybercrime?

«L’obiettivo del Comitato è la redazione della prima convenzione internazionale di portata globale sul contrasto al cybercrime (ne esistono altre in ambito regionale, si pensi alla Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica stipulata del 2001 nel contesto del Consiglio d’Europa). Il cybercrime rappresenta una delle sfide attuali più importanti che la Comunità internazionale si trova ad affrontare.

Si tratta di uno degli aspetti negativi legati alla c.d. “rivoluzione informatica”, che ha portato nelle nostre vite uno strumento di cui ormai non possiamo più fare a meno: Internet. Tale strumento ha modificato non già soltanto l’interazione tra individui, ma anche le relazioni internazionali. Se i benefici sono innumerevoli, altrettanti sono i rischi. 

L’uso delle ICT (Information and Communication Technologies) per scopi criminali a livello internazionale è ormai noto a tutti. Tutti ricordiamo il messaggio “Soldati americani, stiamo arrivando, guardatevi le spalle. Isis”, comparso nel 2015 sull’account Twitter del comando centrale militare statunitense per il Medio Oriente. Ci si trovava nel cuore delle operazioni della “Cyber-jihad” condotta dal cyber-califfato nel nome di Allah.

Gli esempi che potrebbero essere citati sono tantissimi. Un recente studio di Trend Micro Research, condotto sul 2021, dimostra un incremento globale del 42% degli attacchi cyber rispetto all’anno precedente. Non è difficile immaginare che, con l’attuale conflitto russo-ucraino, tale percentuale sia aumentata considerevolmente nel 2022. 

Tutto ciò porta a considerare due aspetti. Il primo che il cybercrime è caratterizzato da un’accentuata dematerializzazione (assenza di riferimenti territoriali) e dalla transnazionalità, con conseguenti problemi in termini di accertamento della responsabilità. Il secondo che soltanto i Paesi maggiormente sviluppati dal punto di vista tecnologico possono riuscire a difendersi dai rischi della criminalità informatica. La Convenzione ONU punta a intervenire sulle problematiche legate a questi due aspetti, soprattutto in considerazione degli enormi rischi a cui sono esposti i Governi, i servizi pubblici e le infrastrutture essenziali». 

Qual è la posizione sostenuta dalla Delegazione LUMSA nell’ambito dei lavori della Convenzione?

«Ogni sessione convocata dal Segretariato del Comitato ad hoc si occupa di uno specifico aspetto della Convenzione. Le prime due si sono concentrate su oggetto, scopo e struttura della Convenzione, nella terza, invece, sono stati esaminati gli aspetti relativi alla cooperazione internazionale, all’assistenza tecnica e alle misure di attuazione.

L’intervento della Delegazione LUMSA si è concentrato sull’importanza del coinvolgimento della società civile nel negoziato in corso e sulle misure di attuazione della stipulanda Convenzione. 

Riguardo al primo aspetto, la Delegazione ha sostenuto che la partecipazione di enti non statali, provenienti dalla società civile, non può che rappresentare un elemento essenziale nella lotta alla criminalità informatica. 

Come rilevato, per sua natura, il cybercrime è strettamente legato all’uso della tecnologia, di conseguenza esso cambia con l’evolversi della stessa. In considerazione di ciò, la risposta della Comunità internazionale non può che essere globale, ma soprattutto deve fare affidamento a conoscenze tecniche sempre più approfondite. Ecco perché la partecipazione dei multistakeholder è di primaria importanza: la condivisione di idee provenienti da campi di specializzazione differenti (accademia, settore privato, organizzazioni non governative) può permettere di individuare soluzioni più efficaci. 

Riguardo alle misure di attuazione, l’intervento della Delegazione si è inserito nell’acceso dibattito sull’individuazione di uno specifico organo deputato a tali compiti. Le misure di attuazione giocano un ruolo fondamentale per evitare che la Convenzione possa cadere in disuso, proprio in considerazione della mutevolezza del cybercrime poc’anzi menzionata. La Delegazione ritiene che, a prescindere dalla natura e dalla composizione dell’organo che verrà individuato (Conferenza delle parti, Segretariato ecc.), esso debba essere dotato di adeguati poteri volti ad assicurare l’adozione di strumenti efficaci».

Qual è il concetto che vorresti rimarcare, alla luce delle esperienza fatte e guardando al futuro?

«Uno dei primi interventi ai lavori della terza sessione è stato quello dell’Ambasciatore del Costa Rica. Egli ha parlato degli attacchi cyber a danno dei Ministeri delle finanze e della sanità del suo Paese, subiti qualche mese prima. Le attività di import/export sono state bloccate per settimane, causando ingenti perdite economiche. La situazione è stata così grave da portare il Presidente Chaves a parlare di “emergenza nazionale”. 

L’accorato discorso dell’Ambasciatore si è concentrato su un aspetto che vorrei richiamare: l’impossibilità di un Paese a fronteggiare tali problemi da solo. Ciò porta ad affermare che la cooperazione internazionale sul tema è di fondamentale importanza. D’altra parte, come rilevato, ci si trova innanzi a una criminalità dematerializzata e senza confini geografici, che impone l’esigenza di intervenire con soluzioni concertate a livello internazionale.

I lavori del Comitato seguiranno fino al 2024 e la Delegazione LUMSA continuerà a partecipare attivamente, cercando di dare il proprio contributo».

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