Spigolature della Spigolatrice: il lato oscuro dell’arte pubblica italiana

La Spigolatrice di Sapri, la scultura di Emanuele Stifano, ha fatto discutere molto. Proponiamo un’analisi critica con l’intervento della professoressa Savettieri e un’intervista all’autore.


Con regolare concorso si seleziona un’opera pubblica. Finisce che, in barba ai criteri estetici, alle dinamiche tra oggetto, soggetto, osservatore e contesto, viene approvata una statua che vanta maestranze locali a discapito di contenuti, narrazione e identità. Maria Teresa Falce, la diretta interessata, assessora alla cultura di Sapri (Salerno) ha studiato medicina e non ha competenza in ambito artistico e vien da chiedersi con che parametri siano stati giudicati i progetti proposti da chi ha risposto al bando. L’assessora Falce ha delega alla Scuola, Cultura, Salute e Sanità, come se queste competenze fossero tutte inscrivibili in un unico insieme, come se un medico possa sapere come avvengono le residenze d’artista o, viceversa, un critico d’arte possa sapere quali scelte sono piú adeguate all’azienda sanitaria regionale. 

Un culo a chilometro zero

Quando le istituzioni italiane impareranno ad assegnare gli incarichi per competenza, evitando situazioni degradanti? Ciò che in Italia è stata declassata a polemica di “quelle rompiscatole delle femministe capitanate dalla Boldrini” che si esaurisce sui social – e a cui tutti indistintamente possono partecipare come tanti piccoli Bonito Oliva – è motivo di imbarazzo a livello europeo.

Del sessismo di cui è impregnata la storia della Spigolatrice di Sapri si è parlato in BBC come su Euronews, dal Meditarraneo al Baltico. Osservando i curricula di assessori e assessore alla cultura in Italia, risulta raro trovare persone con una formazione adeguata all’incarico che ricoprono e in grado di operare scelte assennate in tema di opere d’arte pubbliche (le scelte d’altronde vengono operate in base alle necessità della politica locale).

L’intervista alla storica dell’arte Chiara Savettieri

E di scelte e teoria dell’arte noi ragioneremo in questo articolo, con la Professoressa Chiara Savettieri, storica dell’arte e ricercatrice dell’Università di Pisa che, riguardo la Spigolatrice, ha già scritto una riflessione su Facebook. La professoressa Chiara Savettieri che, tra le altre cose, è insegnante di Metodologia della Ricerca storico-artistica e di Storia della critica d’arte, ha risposto ad alcune nostre domande sul caso dell’opera installata a Sapri.

Partiamo da un presupposto: che differenza passa tra un bravo artigiano e un artista? «Un artigiano si caratterizza per un “savoir faire” tecnico: a lui interessa il prodotto come oggetto ben fatto, non si pone necessariamente il problema di esprimere qualcosa di nuovo o di originale, di giocare con un codice preesistente, di creare dei rimandi ad altre opere, o di inserire novità che possano conferire un senso all’oggetto. L’artista invece ci fa vedere il mondo sotto un’ottica nuova, ci fa scoprire aspetti della realtà che non conoscevamo. L’artista usa la tecnica non solo per realizzare un oggetto ben fatto, ma per esprimere qualcosa di interessante, di utile, di profondo, di nuovo: piega la tecnica alla sua intenzione artistica, che diventa l’aspetto prioritario».

Perché, secondo lei, le persone che hanno manifestato fastidio verso la statua, sono state appellate come, “bigotte che si scandalizzano per un culo”? «La critica di bigottismo deriva dalla convinzione che nel 2021 il mostrare le curve di una donna in un’opera sia una cosa ormai scontata e che può scandalizzare solo chi è prigioniero di un’idea retriva del sesso e della donna. In realtà questa critica ha come presupposto l’idea che mettere il corpo di una donna in versione sexy in uno spazio pubblico non ponga alcun problema: non ci si rende conto cioè che questo spazio pubblico viene indelebilmente segnato da una immagine lì fissata e sotto lo sguardo di tutti, che non veicola nessun altro messaggio se non quello del corpo come oggetto di desiderio. 

L’erotismo riguarda la sfera privata, ma non necessariamente la sfera pubblica. La televisione e i media degli ultimi 30 anni ci hanno abituato all’irruzione di un erotismo molto volgare nella quotidianità, e questo fa erroneamente credere che anche un’opera situata in un luogo accessibile a tutti possa essere sensuale e solleticare il desiderio maschile. Non dobbiamo usare nessun moralismo quando parliamo di arte, ma molto dipende appunto dalla destinazione. 

Se la statua fosse stata destinata a un giardino privato, soddisfacendo il gusto del committente, non ci sarebbe stato nulla da obiettare. Ma quando parliamo di un monumento pubblico che in teoria dovrebbe esprimere o ricordare dei valori in cui si riconosce la comunità, una statua del genere è del tutto fuori luogo. Che valori propone? Tutta una comunità, compresi i bambini, si possono riconoscere in questa immagine? Insomma lo spazio urbano non può diventare uno scenario simile a un reality show, se lo facesse verrebbe a mancare proprio il suo senso civico».

Abbiamo assistito alla contrapposizione della statua alla rappresentazione pittorica di Millet. Effettivamente nella storia dell’arte, possiamo osservare diverse rappresentazioni della figura della spigolatrice, in special modo tra la metà e la fine dell’Ottocento. Perché opere come Ruth di Hayez, in cui la raccoglitrice è rappresentata a seno scoperto, non possono essere assorbite dall’estetica proposta nella statua di Emanuele Stifano? «Prima di tutto va detto che la nudità c’è sempre stata fin dall’antichità e che fondamentalmente era riservata alla rappresentazione di dee e figure mitologiche. Ma una premessa va fatta: parliamo di epoche in cui non c’era alcuna esposizione pubblica del corpo femminile, che invece nella società odierna è sovraesposto nel mezzi di comunicazione, sui social, nella pubblicità. 

Le spigolatrici (1857) – Jean-François Millet

Fatta questa premessa, va sottolineato che il nudo, in quanto appannaggio della divinità e indissolubilmente legato al sublime modello dell’arte antica, ha sempre avuto una funzione “nobilitante” e capace di conferire alla scena rappresentata un carattere universale. Nella tradizione iconografica ad esempio la Verità è nuda e così le personificazioni allegoriche sono spesso nude o con seni scoperti. La Libertà, durante la Rivoluzione francese, aveva un seno scoperto (di qui la tanto citata sui social “Libertà che guida il popolo” di Delacroix che nulla ha a che vedere con la Spigolatrice proprio perché si inserisce in una precisa tradizione iconografica e allegorica). 

In questi casi la nudità ha poco a che vedere col corpo come oggetto erotico: si inserisce in un codice di rappresentazione secolare, ben saldo. Poi certo possiamo anche immaginare che tutti i nudi della storia dell’arte costituiscano una sublimazione del desiderio maschile, ma certamente, solo questo, non spiega le opere perché l’arte è sempre qualcosa di complesso se non ambiguo. 

Quando Manet presenta la prostituta Olympia con la stessa posizione di una Venere, sta operando o meglio sta giocando proprio con la tradizione che lega il nudo alla divinità per capovolgerla e dirci che nella modernità le Veneri sono le donne vere, le stesse prostitute molto frequentate da artisti e da gente altolocata. Tutto questo per dire che dietro il nudo di grandi artisti c’è sempre un’operazione di interpretazione o di scarto rispetto a un codice, senza contare poi che la raffigurazione del nudo, maschile e femminile, per secoli è stato il banco di prova della perizia tecnica e formale degli artisti (nelle Accademie infatti lo studio del nudo era fondamentale per accedere alla pittura di storia, cioè il genere di pittura considerato più elevato perché raffigurava nobili scene mitologiche e bibliche): raffigurare un nudo è estremamente difficile, cioè il nudo è per gli artisti, in primo luogo, un problema formale da risolvere. 

Altra precisazione. Esiste l’arte pornografica dall’antichità in poi e grandi artisti si sono cimentati in essa come Giulio Romano, autore di una serie di disegni “hot” intitolata significativamente i “Modi”. Ma, seguendo la categoria antica del decorum, nessuno di loro ha mai pensato di esporre nudi e scene di sesso in pubblico (del resto sarebbe stato loro vietato): si tratta di opere a destinazione privata (oppure situate nei bordelli) che facevano parte di un genere a sé stante. Così molte donne seminude con evidenti allusioni sessuali del Settecento libertino (si pensi a certe tele di Boucher per fare un nome) erano collocate in spazi privati, nei cosiddetti boudoir (luoghi di piacere). 

Veniamo ad Hayez. La sua Ruth non è una raccoglitrice qualunque ma è una delle figure femminili bibliche che nella tradizione sono state rappresentate anche nude. Quindi Hayez si inserisce in un codice preciso. La Spigolatrice di Stifano non ha nulla a che vedere con queste tradizioni. L’autore non usa un codice legato al nudo per modificarlo e trasformarlo come hanno fatto tanti artisti, tant’è che ha dato importanza ai glutei che nella tradizione artistica occidentale non hanno mai generato, come invece il seno (emblema di maternità peraltro), dei significati allegorici (è protagonista solo in certe opere dell’arte antica raffiguranti ad esempio Venere – la Venere callipigia – oppure nel celebre ermafrodito dormiente, quindi restiamo nell’ambito della mitologia e delle favole antiche). 

Ruth (1835) – Francesco Hayez

Lo scultore ci ripropone un modello che vediamo tutti i giorni in Tv. Non è neppure un corpo idealizzato secondo il modello antico (cosa che avrebbe forse reso meno disturbante la statua e ne avrebbe forse fatto emergere un pallido significato allegorico): è la copia di un tipo di corpo ipertrofico e sodo che circola nei media senza che ci sia quella complessità di rimandi e significati che cerchiamo nelle vere opere d’arte».

Cosa si sente di dire alle amministrazioni che hanno approvato questo progetto? «Direi di ricordarsi che lo spazio pubblico non può essere concepito alla stregua degli scenari televisivi e che l’installazione di una statua non può prescindere da pregresse valutazioni di ordine estetico e civile. Sarebbe forse utile farsi aiutare da esperti nella valutazione delle proposte per un monumento pubblico. Quest’ultimo, peraltro, non deve necessariamente essere un’opera d’arte nel senso da me esposto sopra (sarebbe bello se così fosse, ma è poco realistico): può anche essere un oggetto di artigianato, ma in ogni caso deve essere concepito per soddisfare e interessare lo sguardo non solo di un settore della popolazione maschile, ma tutta quanta la comunità, perché per la comunità è fatto. 

Non necessariamente deve esprimere alti valori, ma neppure cadere nel voyeurismo bieco. Meglio un monumento pubblico neutro piuttosto che una rappresentazione che riflette un gusto discutibile fatto apposta per solleticare lo sguardo maschile. In un’epoca in cui si dibatte sul corpo della donna come oggetto, e in cui c’è nei media una sovraesposizione del corpo femminile che le altre epoche della storia non hanno conosciuto, è del tutto fuori luogo riproporci una rappresentazione di donna che incarna quei cliché che la società si deve sforzare di superare. 

Insomma, decidere di connotare uno spazio urbano con una statua non è un atto né scontato, né banale e non va fatto in modo approssimativo (non siamo in una trasmissione di intrattenimento), perché è un atto politico nel senso più alto e dunque implica un forte senso di responsabilità e una coscienza del ruolo civico di chi governa. Una scelta fuori luogo finisce per riflettere inevitabilmente e in modo ineluttabile un modo di intendere la “res publica” riduttivo, banale ed estremamente povero».

La rivendicazione dello scultore

Eco Internazionale ha contattato l’autore Emanuele Stifano per porre alcune domande che riportiamo di seguito.

Che tipo di ricerca artistica ha condotto prima della messa in opera della statua? Dove è possibile reperire informazioni sul suo percorso artistico? Non abbiamo trovato un sito ufficiale che descriva la sua pratica. «Non mi aspettavo l’ondata di polemiche, ma le critiche che sono state mosse sono state occasione per chiarire il mio punto di vista e far conoscere la mia ricerca artistica. Ho letto di tutto, dalle insinuazioni più leggere ad accuse più esplicite. Sono una persona molto riservata e soprattutto rispettosa di tutte le persone che mi circondano, lontanissimo da me qualsiasi intento sessista o erotico. Non è la prima volta che decido di “spogliare” il più possibile una mia opera, l’ho fatto con Palinuro che è coperto solo da un leggero drappo, l’ho fatto con Logos che è integralmente nudo. È una scelta stilistica la mia, il corpo della donna accende il dibattito più facilmente, ma per me non vi è differenza tra i sessi. 

Prima ancora di realizzare il bozzetto, mi sono documentato sul lavoro e sugli abiti, l’ho fatto attraverso altre opere d’arte figurativa e testi storici. Non era mio interesse però realizzare un’opera che fosse fedele rappresentazione di un lavoro, di un abito, di una calzatura. L’arte deve andare oltre, essere universale e riconoscibile, deve alludere a un’epoca, a un episodio, a un sentimento in modo libero, non è un documento storico, bensì un prodotto della mia mente e delle mie mani. 

La mia spigolatrice vuole essere una ragazza fiera, sicura di sé che è travolta dalla forza del mare alle sue spalle e si innamora di un giovane e di un ideale, tanto da lasciare il lavoro nei campi; insomma è molto più di una contadinella stanca e sfatta come qualcuno avrebbe voluto. È un risveglio di coscienza. 

Per quanto riguarda il mio percorso, lavoro principalmente il marmo, a questa si affianca il bronzo e la terracotta. Curo ogni mia opera dall’inizio alla fine, dalla scelta del blocco di marmo nelle cave di Carrara alle ultime rifiniture. Sono un autodidatta, ho studiato e sperimentato in autonomia, da quasi 20 anni mi dedico con passione e dedizione alla scultura. Ho collaborato per alcuni anni anche con un laboratorio di Carrara».

Ha considerato il contesto socio-culturale in cui si inserisce la sua opera? Cosa intende con “mi sono documentato”? La sua pratica di ricerca come si svolge? «Mi sono documentato attraverso fonti dell’epoca ovviamente, testi e opere. Ma solo per pura conoscenza, mi sono poi allontanato dal modello fedele della contadina ottocentesca. Ovviamente l’ho fatto consapevolmente, non è solo il lato b che le contadine non mostravano: anche le spalle nude, le clavicole così marcate, i piedi scalzi. Ma la mia opera non era destinata a un museo di civiltà contadina. 

Mi stupiscono queste critiche perché mi stupisce che molte persone sembrano confondere l’arte con un saggio storico. Non mi interessa modellare o scolpire uno scarponcino per andare in campagna a lavorare, preferisco mostrare il piede nudo nella sua eleganza e armonia. La mia spigolatrice non doveva mostrare quali erano gli abiti da lavoro dell’epoca, doveva mostrare la sua bellezza, il suo coraggio, il suo innamoramento. L’arte è un prodotto libero. 

Circa il contesto socio-culturale, cosa dire, la mia opera era destinata a un meraviglioso lungomare, ho sfruttato la vicinanza del mare e ho fatto sì che la brezza reale fosse coinvolta nell’opera. La statua è stata collocata in Italia, paese libero e democratico che di arte, bellezza, nudi e forme è pieno. Una censura per me è impensabile».

Commenti a margine dei due contributi

Dalle risposte si evince superficialità e immaturità artistica (che non vuol dire incapacità tecnica). L’attenzione alla relazione tra oggetto, soggetto, spazio e osservatore non viene nemmeno presa in considerazione e sembra che l’autore sia interessato, più che alle dinamiche che dovrebbero orbitare intorno a un’opera, al prodotto finito e ben fatto – tipicità dell’artigiano, come abbiamo visto in precedenza. 

La genericità delle argomentazioni e la leggerezza con cui l’autore affronta il tema mostra ancora una volta quanto sminuente sia la rappresentazione delle donne nel contesto medio Italiano e apre a domande. Ci chiediamo, ad esempio, cosa sarebbe successo se un/a assessore/a competente avesse affidato la Spigolatrice a una artista donna, magari con una maturità artistica avanzata in grado di prendere in considerazione uno studio teorico, etico e le dinamiche che implica, invece di un uomo che ha ritenuto sufficiente “documentarsi per conoscenza” senza porsi troppi altri problemi o domande e lavorando sui luoghi comuni che aleggiano sulla natura della pratica artistica. Ed è sempre una questione di scelte.


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