Le immagini che diventano storia: dalle Twin Towers alla Kabul di oggi

Le immagini che sono arrivate da Kabul in queste settimane sono forti e toccano la sensibilità di molti segnando, di fatto, un momento spartiacque: un prima e un dopo occupazione americana. Ma le immagini che fanno la storia sono il risultato dell’effetto che queste suscitano nell’osservatore, o c’è di più? 


L’essere umano ha sempre usato le immagini per raccontare la storia e le storie, adoperando stili narrativi e simbolismi in grado di fare presa sulla massa. In questo articolo osserveremo alcune immagini fotografiche relative alla storia recente, e cercheremo di scoprire da chi sono state scattate dando spunti di riflessione sul tema dell’implementazione, dell’alfabetizzazione al linguaggio visivo (ormai imperante nella comunicazione moderna). 

Le immagini, in questo caso quelle fotografiche, sono di per sé ambigue: chi scatta una fotografia opera delle scelte che determinano la narrazione finale allo scopo di attivare un processo di comunicazione tra oggetto, soggetto e osservatore. Non a caso si parla di linguaggio visivo. Ci sono delle immagini che si fanno vessilli della storia dell’umanità. Recentemente abbiamo visto immagini provenienti dall’Afghanistan che hanno “scosso” il pubblico raccontando con potenza momenti di tragedia umana.

Immagini di consumo

Queste sono solo l’ultimo esempio di una narrazione che entra di forza nella sfera emotiva dell’osservatore ma che, dopo essere state “consumate”, non hanno alcun effetto reale. Sono testimonianze di momenti da dare in pasto al grande pubblico. La prova di questo è la costanza con cui vengono proposte nonché il rapporto con la caption, spesso ridotta a meno di un rigo. Questo rapporto è fondamentale per comprendere un’immagine, considerato che, come detto in precedenza, ogni frame è una scelta che include ed esclude qualcosa.

Il/la fotografo/a sceglie cosa inquadrare, cosa comprendere e cosa escludere dall’inquadratura, cercando non solo una narrazione che possa dare mercato alla foto, ma anche ricercando un equilibrio estetico che esula dal mero shot. Qui si mira a entrare nella storia delle immagini. Ma osserviamo più da vicino in che maniera è possibile entrare in questo Olimpo. 

Falling man di Richard Draw, 2001, ritrae un uomo che cade da una delle Twin Towers. Come possiamo osservare, la tragedia e l’equilibrio compositivo qui giocano un ruolo fondamentale: l’uomo cade “a proiettile” inserendosi perfettamente nel ritmo delle linee parallele dell’edificio, interrotto solo dalla flessione di una delle gambe che ci ricorda che stiamo osservando un essere umano in un momento tragico.

Non dobbiamo comunque credere che questo tipo di immagini siano frutto di un “single shot”, tante volte sono frutto di diversi tentativi fatti da diverse angolazioni e perfino da fotografi diversi. Ne è un esempio il caso della fotografia storica The tank man di cui esistono diverse versioni di cui una sola, quella di Jeff Widener – fotografo di Associated Press – è diventata “simbolo” di quel momento storico.

immagini tienanmen

In questo scatto si racconta un momento simbolico della resistenza alla repressione di Pechino in cui un uomo – ancora oggi sconosciuto – si pone davanti una colonna di carri armati.  In questo caso la fotografia diventa testimonianza politica più che mera narrazione. 

In quella giornata ben quattro fotografi hanno catturato l’evento dall’Hotel Beijing: Charlie Cole per Newsweek, Stuart Franklyn per Magnum, Jeff Widener per l’Associated Press, Arthur Tsang Hin Wah per Reuters. Le fotografie ritraggono lo stesso soggetto ma la scelte tecniche ed estetiche dei diversi fotografi hanno fatto sì che solo una, quella più emotivamente forte  (che mette l’osservatore in una posizione privilegiata) e con i particolari piú evidenti, rimanesse impressa nella memoria collettiva. 

L’uso della foto come testimonianza storica, fotografia documentaria e democratizzazione del mezzo fotografico: Migrant mothers, scatto famosissimo dell’americana Dorothea Lange, è un monito per il futuro. In uno scatto dal sapore intimo con una storia curiosa. 

Apparsa per la prima volta nel 1938 su un giornale di San Francisco, questa foto è parte di un progetto di documentazione fotografica affidata alla Lange dalla Federal Farm Administration allo scopo di documentare gli effetti della Grande Depressione.

«Ho visto e mi sono avvicinata alla madre affamata e disperata, come attratta da una calamita», ha detto Lange alla rivista Popular Photography nel 1960. Aveva notato una zona in cui erano accampati lavoratori migranti mentre guidava sulla Highway 101. Il maltempo aveva distrutto il raccolto locale di piselli e i raccoglitori erano senza lavoro, aggravando ancora di piú la loro situazione. Ha affermato che la donna le aveva detto che aveva 32 anni, che lei e i suoi figli vivevano di verdure surgelate e uccelli che i bambini avevano ucciso e che aveva appena venduto le gomme della sua auto per comprare del cibo.

Poco dopo la pubblicazione delle foto sul San Francisco News, il governo degli Stati Uniti annunciò che avrebbe inviato cibo al campeggio dei raccoglitori di piselli, ma quando il cibo arrivò la donna ancora anonima e la sua famiglia erano spariti. Anche se la sua immagine è stata ampiamente riprodotta su copertine delle riviste fino ai francobolli, la donna sembrava essere svanita.

Fotografie diventate identità

Lange non ha chiesto il nome alla donna, né ha scoperto la sua storia, pratica che nell’ultimo decennio del ‘900 verrá ampiamente discussa e criticata tanto da formare guide contro la cosiddetta “fotografia predatoria”. Ai giorni nostri, infatti, ci si pone molto diversamente verso la fotografia documentaria, tanto da far nascere commissioni che monitorino e preservino l’eticità della produzione foto documentaristica. 

La caratteristica principale della fotografia di documentazione è infatti la narrazione. Ogni narrazione viene elaborata dalla prospettiva di chi la racconta ed è importante considerare questo punto per evitare la creazione di stereotipi che possano ledere sia singoli individui che intere comunità. In questo senso possiamo osservare come la fotografia di Robert Capa sia stata determinante per raccontare la guerra civile spagnola. Possiamo osservare nella fotografia una madre migrante che fugge con i suoi figli attraversando la montagna.


Caroline Brothers (Brothers 1977:147) osserva come il potere dell’immagine derivi dal contrasto degli esseri umani viventi con la durezza apparentemente inanimata della montagna e della strada. Sottolinea che gli sguardi dei bambini sono diretti alla retrospezione dell’obiettivo, suggerendo non solo l’infinito del viaggio, ma anche la responsabilità della madre nei loro confronti, sottolineata dal fatto che tiene in braccio il più piccolo. 

Nell’immagine seguente possiamo vedere lo stesso principio applicato decenni dopo nel contesto della guerra siriana. Nella seconda immagine si nota come, oltre alla durezza, il quadro sia pervaso dalla sensazione di insicurezza generata dal contesto di un campo profughi. Questo tema relega la donna al suo ruolo più passivo: il presupposto che il suo unico ruolo sia quello di madre ed eventualmente di oggetto sessuale in balia degli eventi. Diventano anche in qualche modo rappresentativi di un intero paese/popolazione, generando stereotipi, che è ciò che i documentaristi moderni vogliono combattere. 

La singola storia genera stereotipi, che privano le persone della dignità, enfatizzando le differenze piuttosto che le somiglianze. “Migranti” e “donne” sono due soggetti usati per espropriare, ma le storie e la narrazione possono essere usate anche per potenziare e ri-umanizzare, riparare la dignità spezzata. Eppure, la democratizzazione del mezzo fotografico ha fatto sì che si verificassero veri e propri assalti allo scatto clamoroso che non prende in considerazione il rispetto per il soggetto fotografato.

Siamo sempre stati ossessionati dall’immagine

La digitalizzazione ha trasformato la natura della fotografia e ha avviato una seconda ondata di democratizzazione. Come osserva Marvin Heiferman nel suo saggio nel libro Photography changes everything, una foto fatta con la pellicola era quasi sempre un oggetto fisico, qualcosa da tenere tra le mani (pensiamo agli album fotografici di famiglia che fungevano da archivio di ricordi). Secondo una statistica condotta da Stats.com su Instagram vengono caricate in media 60 milioni di foto ogni giorno.

Durante la crisi migratoria che ha visto Calais al centro della rotta migratoria europea, migliaia di fotografi non professionisti hanno assaltato la cosiddetta Giungla di Calais alla ricerca dello scatto che li legittimasse come fotografi, o soltanto per mera visibilità social senza pensare, in moltissimi casi, che esporre a cuor leggero rifugiati anche minorenni allo sguardo del grande pubblico può essere per loro molto pericoloso e la narrazione che ne deriva può oltremodo ledere la loro dignità. Questo esempio ci fa capire la pericolosità della democratizzazione se non si hanno i mezzi teorici ma solo quelli tecnici.

Abbiamo fino ad ora osservato i vari aspetti di come una fotografia può diventare storica, documentazione da archivio o semplicemente un’altra fotografia da consumismo visivo e quanto l’essenza stessa dell’immagine sia ingannevole ed ambigua. 

Le immagini non solo sono frutto di una scelta da parte dell’autore, ma possono essere modificate alla bisogna. E da sempre si è tentato di modificare le fotografie per assecondare propaganda politica e rafforzare identità ideologiche. Ne è un esempio il caso della bandiera rossa sul reichstag in cui i soldati furono messi in posa con la bandiera. In seguito il fotografo ha aggiunto il fumo delle esplosioni e ha rimosso un orologio dal polso di uno dei soldati. 

Esemplare anche il caso della presa di Porta Pia a Roma (20 settembre 1870), si diffusero numerose foto delle mura con soldati e bersaglieri morti o nell’atto di sparare. Erano fotoritocchi realizzati ritagliando e duplicando in modo grossolano i soldati. Il risultato è stato di rendere epica, agli occhi degli italiani, un’azione di guerra che invece era stata molto veloce (grazie all’artiglieria) e poco pericolosa dato che le truppe pontificie in realtà opposero una resistenza quasi nulla. 

immagini porta pia

Arrivando ai giorni nostri, 11 gennaio 2015: Il quotidiano israeliano ultraortodosso The Announcer ha cancellato con Photoshop da una delle foto ufficiali le rappresentati politiche femminili – la Cancelliera tedesca, Angela Merkel nello specifico – presenti alla manifestazione cancellandole dalla narrazione di un evento “storico”.


Non dobbiamo lasciarci comunque ingannare da questi eventi; l’integrità etica non è sempre messa in discussione a fini propagandistici. La documentazione fotografica degli eventi della storia vede una serie di scatti che sono testimonianza reale del passaggio dell’essere umano e del suo cammino su questa terra e oltre. Di seguito due esempi lampanti: l’impronta dell’uomo sulla luna e lo scatto del 1945 di Christian Schiefer, a Milano, Piazzale Loreto, che testimonia l’esposizione dei gerarchi fascisti giustiziati (Fonte: Archivio di Stato del Canton Ticino).

immagini sbarco luna

Nella documentazione fotografica degli eventi storici entrano a gamba tesa anche gli scatti scientifici eseguiti tramite sovrapposizione di immagini e dati, ma su questo argomento é più indicato che sia Katie Bouman, professoressa associata al California Institute of Technology, specializzata nelle tecniche di trattamento delle immagini, a spiegarvi il meccanismo e il senso di queste meravigliose tecniche che portano la fotografia di documentazione della storia dell’essere umano e della sua evoluzione ad un livello successivo.


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