proteste contro Netanyahu in Israele

Quali sono i fronti di opposizione a Netanyahu

Benjamin Netanyahu si trova nuovamente ad affrontare numerose proteste mentre porta avanti la sua campagna militare contro Gaza. Qual è l’attuale situazione?


Ancora una situazione scomoda e barcollante per Benjamin Netanyahu e la sua campagna contro Gaza. Questa settimana, infatti, decine di migliaia di manifestanti si sono uniti ai parenti degli ostaggi detenuti nella Striscia, richiedendo un immediato cessate il fuoco per aiutare nella liberazione di chi ancora rimane sotto il controllo dei combattenti di Hamas.

Le proteste, tuttavia, non si sono limitate a questo: infatti, molti manifestanti richiedono ora anche che il presidente israeliano si dimetta dal suo ruolo, e richiedono nuove elezioni, che Netanyahu non potrebbe mai vincere nelle condizioni attuali.

Al momento, infatti, Benjamin Netanyahu si trova in una posizione piuttosto precaria, dato che si trova ad affrontare anche divisioni interne alla sua stessa coalizione di governo, dovute in particolare ad un limite di tempo per la coscrizione di ulteriori soldati tra le fila degli ebrei israeliani, in particolare gli ultraortodossi che si dedicano allo studio della Torah invece di unirsi all’esercito. Si tratta di una divisione interna tra i partiti di ultradestra religiosi e quelli secolari che potrebbe portare, nel lungo termine, a un ulteriore contrasto che farebbe vacillare l’operato del governo.

I manifestanti, nel frattempo, sono stati accolti dai getti d’acqua della polizia, e sedici tra loro sono stati arrestati. E altre proteste si sono scatenate anche tra i riservisti, proprio per via della divisione citata sopra in merito all’esercito e alla coscrizione irregolare.

proteste contro Netanyahu in Israele

Nel frattempo, anche nella politica internazionale il governo israeliano inizia ad affrontare opposizioni, come ad esempio la richiesta urgente di indagini dalla Polonia per un attacco contro dei volontari “erroneamente identificati come membri di Hamas”, secondo la ricostruzione degli eventi avvenuta in un secondo momento.

Ma la vera sorpresa viene dalla risposta degli Stati Uniti. Joe Biden, almeno nella sfera politica, sembra aver criticato il piano di attacco a Rafah, dicendo che Israele sta decisamente violando le regole in merito al trattamento dei civili presenti nella regione, e che il supporto degli States potrebbe essere ristretto in certi ambiti, come la consegna di armi per continuare a combattere; per ora, tuttavia, gli Stati Uniti non sembrano avere agito in merito a questa minaccia, nonostante l’attacco a Rafah continui.

Una decisione controversa che è arrivata dalla Knesset, inoltre, sembra creare nuove possibili tensioni: si sarebbe deciso, infatti, di applicare una legge che impedisce a certi canali di comunicazione stranieri di lavorare, se dovessero rappresentare una minaccia per Israele.

La prima vittima di questa legge sarebbe Al-Jazeera, finanziata dal governo del Qatar, e che spesso si sarebbe espressa contro il governo di Israele. Tuttavia, la legge rappresenta un risvolto preoccupante, in quanto, sebbene per adesso la sola vittima sia ben definita, si viene a creare un pericoloso precedente per la libertà di stampa nello stato ebraico, che potrebbe avere il potere di chiudere qualsiasi fonte avversa in una forma che approccia l’autoritario. Una spirale pericolosa per uno stato che risulta sempre meno un rappresentante della democrazia, anche tra gli alleati.

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