Parlamento europeo, UE

Parlamento europeo contro Commissione europea, un ricorso alle porte

Il Parlamento europeo ha annunciato di voler promuovere un ricorso contro la Commissione europea, per lo sblocco di parte dei fondi destinati all’Ungheria.


Lo scorso 14 marzo, la Presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha annunciato la volontà di incaricare i servizi giuridici dell’Eurocamera di presentare un ricorso dinanzi la Corte di Giustizia dell’Unione Europea contro la Commissione europea.

Nel dettaglio, a parere dell’Europarlamento, l’Esecutivo comunitario non ha agito in conformità a quanto previsto dall’ordinamento dell’Ue, scongelando parte dei fondi che erano stati bloccati a seguito delle asserite e ripetute violazioni del principio dello Stato di diritto commesse dall’Ungheria.

Entrando nel merito della questione, è opportuno soffermarsi preliminarmente sugli eventi principali che hanno condotto il Parlamento europeo ad abbandonare il tavolo del dialogo con la Commissione europea.

Parlamento europeo contro Commissione europea

Com’è oramai noto, al fine di fronteggiare gli effetti socio-economici derivanti dalla crisi pandemica e di fornire in tal senso un supporto agli Stati membri, è stato istituito il Next Generation EU (NGEU), un piano per la ripresa e per la resilienza composto da risorse concesse a titolo di prestiti, nonché di sovvenzioni o contributi a fondo perduto.

Senza soffermarsi sui tecnicismi che caratterizzano il NGEU, bisogna tuttavia precisare e ricordare che l’erogazione delle relative somme era stata subordinata alla presentazione di piani nazionali (cc.dd. Recovery Plan), nei quali i Paesi Ue che intendevano beneficiare delle suddette risorse dovevano indicare le riforme e gli obiettivi da raggiungere nel breve e nel medio periodo. Solo l’avvenuta realizzazione dei target periodici avrebbe consentito agli Stati membri di ricevere, attraverso un processo di rateizzazione, i fondi del NGEU.

In aggiunta al quadro sopra delineato, è stato altresì introdotto il Regolamento 2020/2092, che consente di adottare misure opportune qualora violazioni dei principi dello Stato di diritto in un Paese Ue che compromettono, o rischiano seriamente di compromettere, in modo sufficientemente diretto la sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione o la tutela degli interessi finanziari dell’Unione.

La discordia: le risorse europee per l’Ungheria

Proprio alla luce di tale legislazione, la Commissione europea aveva adottato due decisioni attraverso le quali aveva congelato i fondi in favore dell’Ungheria. Nello specifico, il Governo ungherese guidato dal primo ministro Viktor Orbán aveva posto in essere azioni sistematiche che avevano prodotto, quale effetto, quello di deteriorare la condizione dello Stato di diritto all’interno del Paese, in particolare con riferimento alla violazione dell’indipendenza della magistratura.

Accanto a tale primo aspetto, la Commissione europea aveva rilevato, inoltre, la mancata conformità dell’Ungheria alle condizioni orizzontali abilitanti necessarie all’erogazione delle somme, tra cui il rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE (CDFUE).

Nonostante il dibattito sull’Ungheria costituisca ormai un punto nevralgico nel dibattito politico comunitario, la tensione si è acuita lo scorso 13 dicembre 2023. Proprio in tale data, la Commissione europea ha deciso di sbloccare 10,2 miliardi di euro di fondi in favore dello Stato ungherese, ritenendo che le riforme relative al sistema giudiziario realizzate dal Governo Orbán fossero sufficienti per garantire l’indipendenza della magistratura. Va precisato che, nella medesima occasione, la stessa Commissione europea ha confermato come il rischio per il bilancio dell’Unione fosse rimasto invariato dal dicembre 2022.

Il giudizio del Parlamento europeo sull’Ungheria

La decisione dell’esecutivo comunitario ha scatenato la reazione del Parlamento europeo, che in passato, attraverso diverse risoluzioni, aveva sottolineato la gravità della situazione all’interno dello Stato ungherese sia con riferimento alla violazione dello Stato di diritto, sia con riguardo alla mancata conformità alla CDFEU, nonostante l’esame effettuato dalla Commissione europea sul punto. 

Parlamento europeo contro Commissione europea

In tale prospettiva, nella sua Risoluzione del 18 gennaio scorso, l’Europarlamento ha sottolineato la propria preoccupazione circa la situazione di vari gruppi vulnerabili, in particolare donne, persone LGBTIQ+, rom, migranti, richiedenti asilo e rifugiati, vittime di continue violazioni dei diritti fondamentali, in assenza di istituzioni indipendenti in grado di proteggerli o che abbiamo la volontà di proteggerli.

Accanto a quanto precisato, gli eurodeputati hanno rimarcato gli effetti negativi che il deteriorato Stato di diritto in Ungheria sta producendo, comportando il controllo dei media statali e privati da parte del potere politico, nonché un costante abuso delle già permissive leggi sul lavoro e un notevole degrado ambientale.

L’azione contro la Commissione europea

Stante la presa di posizione della Commissione europea, l’Eurocamera ha confermato la propria volontà di attivare l’art. 149 del proprio Regolamento interno, che consente agli eurodeputati di adire la Corte di Giustizia, nel caso in cui ritengano che vi sia stata una violazione dei Trattati Ue, al fine di garantire la legislazione dell’Unione e la sua attuazione.

Nel dettaglio, lo strumento che il diritto primario comunitario prevede in tali ipotesi è il ricorso per annullamento, disciplinato dall’art. 263 del TFUE, attraverso cui la Corte medesima esercita un controllo di legittimità sugli atti degli organi, degli organismi e delle Istituzioni dell’UE, tra cui la Commissione europea.

Il Parlamento europeo potrà presentare il proprio ricorso entro il 25 marzo. In quel caso, spetterà alla Corte di Giustizia valutare l’operato dell’Esecutivo comunitario. Per il momento, si può solamente constatare come il virus dello scontro Bruxelles-Budapest si sia diffuso all’interno dell’Ue, divenendo un vero e proprio contrasto tra Istituzioni comunitarie.

Uno scenario, questo, che sotto il profilo politico presenta non poche problematiche, considerato che l’attuale Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha deciso di ricandidarsi per un secondo mandato e che, nella seconda metà dell’anno, la Presidenza del Consiglio dell’Ue verrà affidata all’Ungheria.

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