manifestazione, polizia senza codici identificativi

Codici identificativi e Polizia, uno scontro di prospettive

Gli eventi accaduti a Pisa e Firenze lo scorso 22 febbraio hanno riacceso il dibattito sull’utilizzo di codici identificativi per gli agenti di Polizia.


La predisposizione di codici identificativi per gli agenti di Polizia e l’introduzione di nuovi strumenti, come le cosiddette bodycam, costituiscono oggetto di un dibattito politico che, in Italia, perdura da oltre vent’anni. Di recente, tuttavia, la discussione su tali questioni ha ricevuto un nuovo impulso, principalmente a causa delle vicende verificatesi a Pisa e a Firenze lo scorso 22 febbraio.

Com’è oramai noto, la guerra a Gaza ha scosso il panorama geopolitico mondiale e l’opinione pubblica, generando, tra le varie conseguenze, reazioni di protesta in diversi Stati, con manifestazioni e cortei pro Palestina e avverso Israele. Sebbene connessi a tale scenario, gli eventi di Pisa e Firenze hanno guadagnato la rispettiva fama per circostanze diverse, legate alle cariche poste in essere dagli agenti di Polizia contro gli studenti manifestanti.

Codici identificativi e Polizia importanti nelle manifestazioni

Dai fatti sopra esposti, alcune questioni emergono evidenti: quali sono i limiti entro i quali la libertà personale e la libertà di riunirsi pacificamente, per come garantiti rispettivamente dagli artt. 13 e 17 della Costituzione, possono subire delle restrizioni dall’autorità? Qual è il relativo bilanciamento? Esistono – o è possibile prevedere – strumenti aggiuntivi che tutelino i cittadini che esprimono pacificamente le loro rimostranze in occasione di manifestazioni contro gli eventuali abusi dell’autorità competente, oltre a quelli già disciplinati? E quanto tali strumenti possono incidere sulla persona e sull’operato dei membri delle forze dell’ordine? 

Tali domande sono al centro del dibattito politico italiano sull’opportunità di adottare codici identificativi per gli agenti di Polizia. Nel dettaglio, l’argomento oggetto di analisi vede, nel contesto del nostro Paese, lo schieramento di due opposti orientamenti.

Da un lato, c’è chi ritiene – in particolar modo diversi partiti di sinistra e di centro-sinistra – che tali codici alfanumerici possano fungere da deterrente per le eventuali condotte illegittime e violente degli agenti, sottolineandone in tal senso il carattere necessario.

Di diverso avviso sono quelle forze politiche di destra e centro-destra che intravedono dietro all’introduzione dei codici identificativi un rischio – o, addirittura, una minaccia – per l’incolumità degli agenti stessi, per la rispettiva sicurezza personale, nonché per la relativa privacy.

Le medesime preoccupazioni sentite da quest’ultimo orientamento, per la verità, hanno trovato il supporto anche del Sindacato italiano unitario lavoratori polizia (SIULP), il Sindacato autonomo di polizia (SAP) e Federazione sindacale di polizia (FSP), i quali hanno mostrato la loro riluttanza nei confronti dell’adozione dei codici identificativi alfanumerici. Secondo gli stessi, infatti, oltre alla pericolosità di una tale introduzione, seppur normativamente regolata, un simile approccio verrebbe considerato come un sintomo di sfiducia verso le forze dell’ordine, acuendo potenzialmente il disprezzo per le stesse.

Corre l’obbligo, tuttavia, di fare una precisazione, per chiarire meglio lo stato dell’arte sulla questione. Ad onor del vero, infatti, le ordinanze che predispongono i servizi d’ordine delle manifestazioni contengono i nominativi degli agenti che saranno presenti sul posto. Il problema relativo all’identificazione degli stessi si pone, invero, durante il corso delle suddette manifestazioni, poiché i membri delle forze dell’ordine sono dotati di tenuta antisommossa, composta da casco, tuta e scudo; una divisa, questa, che rende il più delle volte (se non sempre) impossibile riconoscere il volto e, quindi, associare con certezza lo stesso ad un nome preciso.

Dal punto di vista legislativo, ad oggi la disciplina vigente di riferimento è il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS), approvato con Regio Decreto n. 773/1931. Negli ultimi vent’anni, diversi sono stati i disegni di legge presentati al fine di novellare l’attuale quadro normativo, senza raggiungere, tuttavia, il risultato sperato, in linea con gli standard internazionali.

Codici identificativi e Polizia importanti nelle manifestazioni

Con specifico riguardo a quest’ultimo punto, merita di essere menzionata la Risoluzione del Parlamento europeo del 12 dicembre 2012 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Ue, con la quale l’Istituzione comunitaria ha espresso la propria preoccupazione per il carattere sproporzionato della forza adoperata dalla Polizia durante eventi pubblici e manifestazioni nell’Unione. In tale occasione, l’Europarlamento ha invitato gli Stati membri ad incrementare il controllo giuridico e democratico delle autorità incaricate dell’applicazione della legge e del loro personale, garantendone la relativa assunzione di responsabilità, anche dotando gli agenti di «un numero identificativo».

Nonostante la risoluzione non sia un atto vincolante per i Paesi Ue, molti Stati membri hanno adottato nei rispettivi ordinamenti misure volte ad accogliere con favore le esortazioni del Parlamento europeo. Ad oggi, tuttavia, l’Italia non figura tra questi. E appare singolare come, a distanza di due decenni, ancora il dibattito politico non sia pervenuto ad una soluzione normativa in grado di bilanciare gli interessi in gioco.

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